Dopo il 2 giugno: una riflessione

 

La celebrazione, anche quest'anno, della «Festa della Repubblica» il 2 giugno, con gran parata di forze militari in Via dei Fori Imperiali a Roma, sollecita inevitabilmente una riflessione.

Nel suo messaggio teletrasmesso del giugno il Capo dello Stato ha elencato, allineandoli uno dopo l'altro in modo indiscriminato, un insieme di fenomeni «di intolleranza e violenza di qualsiasi specie» (un'espressione che a molti ha ricordato quegli «opposti estremismi» contro i quali, un tempo, diceva di lottare la Democrazia Cristiana). E ha denunciato «insofferenza e ribellismo verso legittime decisioni dello Stato democratico» (con trasparente allusione alla giusta protesta delle popolazioni della Campania sulle quali, da 14 anni, le industrie capitalistiche del Nord scaricano - con la complicità degli imprenditori locali e della camorra - i veleni e i rifiuti tossici che inquinano le campagne meridionali).

Dopo di che, Giorgio Napolitano ha chiesto ai cittadini italiani «uno sforzo straordinario di solidarietà e unità». Belle e alate parole… Ma pronunciate in una Roma dove, qualche giorno prima, l'ex caporione del MSI Giorgio Almirante (l'uomo che - durante la repubblica di Salò - emanò un decreto per la fucilazione dei partigiani e nel 1942, sulla rivista «La difesa della razza», scrisse parole infami a difesa delle leggi razziali mussoliniane) era stato celebrato  a Montecitorio da Fini-Gasparri-La Russa-Alemanno, da Cossiga-Andreotti-Violante (con Bertinotti e Casini fra il pubblico). E c'è chi progetta di dedicare a quel fucilatore una strada nella «nuova Roma» del sindaco Alemanno!

Unità con tutti? Anche con i fascisti? No!

Solidarietà? Anche con i «cittadini» che sfruttano il lavoro umano, che provocano le quotidiane morti bianche in fabbrica, che perseguitano i nomadi, gli immigrati, i diversi? Nessuna solidarietà dei lavoratori con questi «cittadini» dell'odierna Repubblica italiana, nella quale dominano - in larghi strati della popolazione - l'individualismo borghese, l'egoismo piùù sfrenato, la ricerca a tutti costi del profitto!

Fu forse per una Repubblica come questa che versarono il loro sangue, durante la Guerra di liberazione, i garibaldini che combattevano sulle montagne, i gappisti che combattevano nelle città del Nord e del Centro-Italia?

No! Era una Repubblica in cui fossero eliminati per sempre lo sfruttamento capitalistico e tutti i privilegi, le ingiustizie e i soprusi delle classi dirigenti borghesi.

«Si lottava per cambiare il mondo […] Noi volevamo distruggere la proprietà privata, volevamo che il lavoro fosse un bene di tutti, un diritto di tutti. Aspiravamo a una società senza sfruttati né sfruttatori, e da questo mi pare che siamo ancora monto lontani»: Fioravante Zannoni (in A. M. Bruzzone e R. Farina, La Resistenza taciuta).

«La lotta di liberazione a Torino ha avuto un'impronta ben precisa. L'impronta immediata, è chiaro, era quella di "via lo straniero dall'Italia" e naturalmente "via il fascismo"; ma con contenuti di classe, "via i padroni". Istintivamente tutti gli davano un contenuto di questo tipo. Volevano il socialismo. […]Gli operai volevano il potere»: E. R., un operaio comunista dell'Officina Grandi Motori della FIAT (in L. Lanzardo, Classe operaia e Partito comunista alla Fiat).

 «Allora la discussione era sempre sullo sviluppo di una società socialista, il cui modello era l'Unione Sovietica. Avremmo costruito l'uomo nuovo, impegnato, laborioso, capace di costruire un mondo senza sfruttati né sfruttatori»: Silvano Consolini, un operaio delle Officine Reggiane (in S. Tatò, A voi, cari compagni).

Per i comunisti, per gli operai più avanzati e consapevoli, c'è un solo modo di «festeggiare la Repubblica»: portare avanti con decisione la lotta per farla finita una volta per sempre con questa società dell'ingiustizia e del privilegio: per una Repubblica socialista dei lavoratori italiani!

 

     4 giugno 2008                                                                           Piattaforma Comunista

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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