Ricorre
quest'anno il centenario della pubblicazione (1902) del Che fare?, l'opera con
la quale Lenin pose le basi teoriche per la costruzione di un partito di tipo nuovo rispetto ai tradizionali partiti
socialdemocratici, il partito bolscevico: un centenario che stranamente (o non
troppo stranamente) è stato passato sotto silenzio dalla maggior parte delle
forze politiche che in Italia si richiamano al marxismo-leninismo.
Spontaneità e coscienza:
l'attualità del Che fare?
Viviamo, in
questi ultimi anni, in una situazione politica nella quale la vigorosa ripresa delle lotte operaie, da un lato, e,
dall'altro, lo sviluppo - in seno alla
piccola borghesia e alle masse popolari - di
ampi movimenti di opinione, in
larga misura giovanili, che criticano
in modo sempre più radicale gli aspetti più alienanti e più disumani della
"civiltà" capitalistica hanno
introdotto novità positive nel panorama politico attuale. Ma il
"radicalismo" di questi movimenti non va oltre la denuncia dei
"mali" del capitalismo, condotta fondamentalmente sul piano
"etico", e non indica soluzioni che si distinguano in modo
sostanziale dal riformismo (rivestito di panni più moderni): il movimento
"no global" ne è l'espressione più eclatante. Spontaneismo ed economicismo regnano sovrani nel movimento sindacale e
nel "movimento dei movimenti".
Per questo la
battaglia teorica e politica condotta da Lenin contro ogni forma di
economicismo e di tradeunionismo spontaneista è sempre straordinariamente
attuale. Anche oggi i comunisti debbono lottare contro le due deviazioni
fondamentali dell'"economicismo" denunciate da Lenin: quella secondo
cui occorre "dare alla lotta economica stessa un carattere politico"
(cioè ridurre tutto alla lotta - pur
necessaria - per le riforme, o, più semplicemente ancora, "per i
diritti", come oggi si dice), e quella secondo la quale "la lotta
economica è il mezzo più largamente applicabile per trascinare le masse alla
lotta politica attiva" (per cui l'agitazione politica deve sempre seguire l'agitazione economica).
La classe
operaia - attraverso la sua stessa
esperienza di lotta - può elevare il livello della sua coscienza di classe fino
a rendersi conto dell'antagonismo
irriducibile che la contrappone, come classe, alla borghesia sfruttatrice,
può acquisire quegli "embrioni" di coscienza che le fanno avvertire
l'esigenza dell'abolizione del
sistema salariale. Ma ciò non significa che il proletariato possa spontaneamente acquisire anche la
coscienza socialista. Ciò non è
stato mai detto da Marx e da Engels, e Lenin ha avuto il grande merito storico
di aver approfondito e sviluppato la teoria marxista su questo fondamentale nesso
di problemi.
Gli operai,
attraverso la loro esperienza di lotta, possono giungere a contrapporsi non più
come singoli o come gruppi isolati, ma come classe alla classe antagonista:
quando ciò avviene, spiega Marx, la loro lotta acquista la dimensione della
politicità. Ma ciò non significa ancora che la loro lotta sia una lotta politica rivoluzionaria, cioè una
lotta che si ponga consapevolmente il
fine della conquista del potere per abbattere la borghesia capitalistica e
sostituire al suo Stato un nuovo tipo di Stato, la dittatura del proletariato, nel cui ambito sia possibiie liquidare
il modo di produzione capitalistico, gestire l'economia secondo un piano
centralizzato e costruire il socialismo
come premessa storica del comunismo. E' questo il salto di qualità decisivo nello sviluppo della coscienza di classe.
Come Lenin
chiarì magistralmente nel Che fare?, in
polemica con gli economicisti del suo tempo, anche quando la lotta economica
supera il suo primo ed elementare livello (quello delle rivendicazioni
meramente sindacali e di categoria) e acquista, a un secondo livello, una
dimensione politica in quanto cerca di
strappare al governo determinate misure economiche a vantaggio dell'intera
classe ("lotta economica contro i padroni e contro il governo"),
essa non supera l'ambito "tradeunionista": è lotta politica tradeunionista, non ancora lotta politica rivoluzionaria. Non si eleva al grado più alto della
coscienza di classe, quello della coscienza socialista.
Questo più alto
livello non può essere acquisito dalla massa
operaia in modo spontaneo, "per così dire dall'interno, con la lotta
economica, partendo cioè solo (o almeno principalmente) da tale lotta,
basandosi solamente (o almeno principalmente) su tale lotta".
"La coscienza
politica di classe [nel senso sopra chiarito di coscienza politica rivoluzionaria, di coscienza socialista] può essere portata all'operaio solo dall'esterno,
cioè dall'esterno della lotta economica, dall'esterno
della sfera dei rapporti tra operai e padroni. Il campo dal quale soltanto
è possibile attingere questa coscienza è il
campo dei rapporti di tutte le classi e di tutti gli strati della popolazione
con lo Stato e con il governo, il campo dei rapporti reciproci di tutte le
classi" (Che fare?, in Opere, vol. V, Editori Riuniti, Roma
1958, pp. 389-90).
Questa visione complessiva dei rapporti economico-sociali e politici non può
essere il risultato dell'esperienza immediata
della classe operaia nel suo rapporto con il padrone: essa è il risultato di
una riflessione e di un'analisi critica
di tutto il complesso delle contraddizioni economico-sociali e
politiche del sistema capitalistico, a cui si può giungere solo attraverso la scienza, che
consente l'elaborazione di una teoria (il
socialismo scientifico) quale guida
per l'azione. Ancor prima del Che fare?, Lenin scriveva nel 1889: "La
socialdemocrazia non si limita ad essere semplicemente al servizio del movimento operaio … Suo compito è di introdurre nel movimento operaio
spontaneo determinati ideali socialisti, di legarlo a convinzioni socialiste,
le quali devono essere al livello della
scienza moderna" (Il nostro
compito immediato, in Opere cit.,
vol. IV, p. 219). E l'anno dopo: "La socialdemocrazia è l'unione del
movimento operaio col socialismo; il suo compito non è quello di porsi passivamente al servizio del
movimento operaio in ogni sua singola fase, ma quello di rappresentare gli
interessi del movimento nel suo insieme, di
mostrare a questo movimento il suo fine ultimo, i suoi compiti politici, di
salvaguardare la sua indipendenza politica e ideologica" (I compiti urgenti del nostro movimento, in Opere cit:, vol. IV, p. 403). Di qui l'importanza essenziale del
reparto organizzato dell'avanguardia
proletaria, il Partito comunista, che è il laboratorio
politico nel quale la teoria rivoluzionaria viene continuamente sviluppata in
stretto rapporto con l'esperienza reale del movimento operaio.
Sulla
questione della teoria "portata" - su basi scientifiche - alla classe
dall'esterno del puro rapporto economico immediato, e sul ruolo del Partito, il
pensiero di Lenin è stato oggetto di una quantità di incomprensioni e di
equivoci.
E' stato
accusato, in primo luogo, di aver deformato il pensiero di Marx ed Engels su questo fondamentale problema.
E' vero il contrario. Lenin si trova in perfetto accordo con i grandi maestri
del socialismo scientifico, che per primi posero in termini esatti la
questione. Scrive Engels nell'Antidühring:
"Compiere
quest'azione di liberazione universale è la missione storica del proletariato
moderno. Studiarne a fondo le condizioni storiche e conseguentemente la natura
stessa e dare così alla classe, oggi
oppressa e chiamata all'azione, la coscienza delle condizioni e della natura della
sua propria azione è il compito del socialismo scientifico, espressione teorica
del movimento proletario" (Editori Riuniti, Roma 1971, p. 304).
Ed è interessante osservare che, rispetto a
questa traduzione italiana, il testo originale tedesco (der Klasse zum Bewusstsein zu bringen
= portare alla coscienza della
classe) è ancor più vicino a quanto dirà poi Lenin.
E' proprio la
conoscenza scientifica della realtà che permette al Partito di orientare e
guidare la classe operaia e i suoi naturali alleati non inseguendone i movimenti
per presentarsi come una "sponda" politica di questi e, da ultimo,
come una loro "sintesi" a posteriori (il Partito "memoria delle
masse", come lo chiamava Rossana Rossanda), ma anticipando e prevedendo il corso generale degli eventi e le
questioni che ne scaturiscono.
"L'ideologo
merita di essere chiamato ideologo solo allorquando precede il movimento spontaneo e gli indica la via, quando sa
risolvere prima degli altri tutte le
questioni politiche, tattiche e organizzative che si pongono
"spontaneamente agli "elementi materiali" del movimento"
(Lenin, Un colloquio con i sostenitori
dell'economismo, in Opere, vol. V
cit., p. 292).
E' proprio
questa funzione anticipatrice del
Partito che viene negata da tutti gli spontaneisti e movimentisti, vecchi e
nuovi (la concezione, e la pratica, del gruppo dirigente bertinottiano di
"Rifondazione" sono poi così lontane da quelle dei vecchi dirigenti
del "Manifesto" ?)
Una seconda
accusa che è stata mossa a Lenin è quella di avere, di fatto, posto le basi per
la creazione di un "partito di intellettuali borghesi", detentori
della teoria e, in quanto tali, dirigenti naturali del proletariato. Nulla di
più lontano dal vero.
Gli
intellettuali di origine e formazione borghese non sono (come tanti di loro
credono) i depositari del marxismo e
del leninismo; essi hanno svolto, nel passato, una funzione storica non solo
utile, ma determinante, per lo sviluppo del movimento operaio e del Partito; e
tuttora possono dare il loro contributo alla causa rivoluzionaria, se sapranno
legarsi in modo indissolubile alla classe operaia, Ma il marxismo-leninismo come scienza della rivoluzione è perfettamente
accessibile agli elementi di avanguardia della classe operaia, che, come
Lenin sottolinea nel Che fare?, lo
"assimilano facilmente"; e, assimilandolo, diventano gli intellettuali organici della classe
(come li chiamava Gramsci) e i dirigenti
naturali del proletariato. E' proprio a questi operai di avanguardia, agli
elementi migliori e più avanzati della loro classe, che spetta principalmente
il compito di far crescere la
coscienza rivoluzionaria socialista nel seno del proletariato. La degenerazione
revisionista del Partito Comunista Italiano e la sua finale liquidazione è stata
dovuta, in gran parte, alla graduale eliminazione dei quadri di origine e di
esperienza operaia dalle funzioni dirigenti, e alla loro sostituzione con uno
stuolo di intellettuali di formazione culturale idealistica e di origine
piccolo-borghese. E' una lezione negativa che non possiamo dimenticare. Sono
gli elementi avanzati del proletariato che dovranno costituire il nerbo essenziale dei quadri dirigenti del
Partito comunista che dobbiamo ricostruire in Italia; ed è a loro che si
rivolge principalmente questa nostra rivista.