La working
class irlandese ha bocciato il Trattato di Lisbona!
Con
queste precise parole il TG1 della sera di venerdì 13 giugno dava notizia di questo
così importante avvenimento, che ha gettato nel panico i gruppi dirigenti della
borghesia di tutta Europa. La working
class… la classe operaia… Da quanto tempo le nostre orecchie di operai e di
comunisti non udivano pronunciare queste parole dai mass media italiani al
servizio dell'oligarchia dominante? La notizia è stata accolta, da tutti noi
comunisti, con grande soddisfazione: viva i lavoratori irlandesi!
Del
milione e 200 mila irlandesi che
hanno preso parte al referendum, 640 mila (il 53 %) hanno
detto NO al Trattato dei tecnocrati europei. Come hanno immediatamente rilevato gli analisti del voto, si tratta in gran parte di voti della classe operaia
delle città e dei lavoratori delle campagne, mentre la piccola e media
borghesia ha, in generale, votato SI. Il risultato ha avuto, quindi, un chiaro
segno di classe. Dopo il progetto di Costituzione europea respinto, tre anni
fa, dal referendum francese e da quello olandese, gli «eurocrati» avevano messo
a punto un progetto «modificato», sperando di farlo approvare più facilmente:
ma, in questo referendum del 2008, il loro tentativo è andato a vuoto.
«Anche
nel nostro paese» - scrivevamo sulle colonne di «Scintilla» nel marzo 2008 - la
borghesia vuole imporre questo testo perché le offre delle possibilità per
proseguire il lavoro di distruzione delle conquiste economiche, sociali e
politiche della classe operaia e delle masse popolari, e la trasformazione
reazionaria dello Stato e della società al servizio dei monopoli».
Per
combattere questo disegno reazionario, non si tratta di contrapporre - secondo
un noto e vuoto slogan - all'«Europa dei burocrati» quel fantasma inesistente
chiamato l'«Europa dei popoli». Ben altro è l'obbiettivo che debbono porsi le
forze rivoluzionarie.
Il
potente apparato egemonico in mano alla borghesia monopolistica cerca di far
penetrare nelle masse popolari l'idea che il mondo è sempre più «globalizzato»,
che non è possibile staccarsi dall'Europa, che un paese non grande come
l'Italia non ha la possibilità di sviluppare una propria economia
autosufficiente e deve dipendere necessariamente dall'estero per la sua
sopravvivenza.
Non
è vero. Un piccolo paese a noi vicino, l'Albania socialista, dimostrò per molti
anni (prima che il potere cadesse nelle mani di forze antisocialiste e
subalterne alla borghesia) che, CONTANDO SULLE PROPRIE FORZE, sulla propria
indipendenza e - dopo aver eliminato gli sfruttatori - sul lavoro di tutti
organizzato e diretto secondo un piano, era possibile avanzare sulla via del
progresso in tutti i campi della vita economica e sociale senza subordinarsi a
nessuna grande potenza o coalizione di potenze dominanti nel mondo.
Anche
nelle masse popolari italiane dovrà a poco a poco farsi strada la convinzione
che il nostro paese può e deve vivere AL DI FUORI dell'Europa di Maastricht e
di Bruxelles (come di ogni altra coalizione imperialistica). «Che ci piaccia o
no, noi siamo di fatto commissariati da Bruxelles», ha scritto oggi su
"Repubblica" il «principe» dei giornalisti borghesi italiani, Eugenio
Scalfari. A lui questo piace. Noi proletari dobbiamo, invece, lottare per
scrollarci di dosso questa camicia di forza che l'oligarchia monopolistica
vuole imporci per resistere alla crisi che avanza e salvaguardare i suoi
profitti. Questa liberazione sarà possibile solo con una rivoluzione socialista
che rovesci in Italia il dominio della borghesia e dia il potere alla classe
operaia.
Ancora
lunga è la strada da percorrere perché nelle masse popolari italiane maturi
questa convinzione. Intanto, il primo passo da compiere consisterà
nell'esprimere un netto NO al Trattato di Lisbona (come hanno già fatto la Francia,
l'Olanda e l'Irlanda).
15 giugno
2008 Piattaforma Comunista