«LIBERTÀ» BORGHESI E CRITICA MARXISTA

 

Nella Costituzione europea firmata nel novembre scorso a Roma da 25 paesi si celebrano i diritti universali dell'uomo e del cittadino. In Italia liberali e cattolici, da Ciampi a Casini, da Scalfari a Marcello Pera, fanno a gara nell'esaltare i valori della civiltà borghese occidentale, suprema garante della «libertà» e della «dignità» della «persona umana», mortalmente minacciate - a sentire questi signori - da altre culture, altre ideologie e altre civiltà. Al coro di glorificazione delle «libertà» borghesi si uniscono i moderni revisionisti e gli opportunisti di vario colore, ormai interamente subalterni ai valori della classe dominante.

Il marxismo, fin dalle sue origini, ha svelato il reale contenuto delle cosiddette «libertà» borghesi, mettendone a nudo il ruolo di garanzia della proprietà privata e di espressione della «compiuta schiavitù e inumanità» della società basata sullo sfruttamento dell'uomo sull'uomo.

Pubblichiamo, in proposito, degli estratti da La questione ebraica (1843) di Marx e da La sacra famiglia (1844) di Marx ed Engels. Questi scritti, oggi «dimenticati» dai revisionisti e dagli opportunisti e pressoché scomparsi dai cataloghi delle principali case editrici, posero le premesse della successiva elaborazione del materialismo storico da parte dei due grandi rivoluzionari, i quali mostrarono al proletariato come soltanto nella società comunista - e non nell'anarchica ed egoistica  «società civile» borghese - sia possibile conseguire l'autentica libertà umana. Sono pagine alle quali debbono, oggi più che mai, rivolgere la loro attenzione gli operai avanzati e i comunisti, per una riaffermazione dei valori e dei principî fondamentali dell'ideologia proletaria. [I corsivi sono di Marx ed Engels, i neretti sono della nostra redazione].

 

 


«Consideriamo per un istante i cosiddetti diritti dell'uomo […] In parte questi diritti dell'uomo sono diritti politici, diritti che vengono esercitati solo in comunione con gli altri. La partecipazione alla comunità, e cioè alla comunità politica, allo Stato, costituisce il loro contenuto. Essi cadono sotto la categoria della libertà politica, sotto la categoria dei diritti del cittadino. […] Rimane da considerare l'altra parte dei diritti dell'uomo, i droits de l'homme in quanto essi sono distinti dai droits du citoyen.

 

[…] Chi è l'homme distinto dal citoyen? Nient'altro che il membro della società civile. […] I cosiddetti diritti dell'uomo, i droits de l'homme come distinti dai droits du citoyen, non sono altro che i diritti del membro della società civile, cioè dell'uomo egoista, dell'uomo separato dall'uomo e dalla comunità. […] Si tratta della libertà dell'uomo in quanto monade isolata e ripiegata su se stessa. […] Il diritto dell'uomo alla libertà si basa non sul legame dell'uomo con l'uomo, ma piuttosto sull'isolamento dell'uomo dall'uomo. Esso è il diritto a tale isolamento, il diritto dell'individuo limitato, limitato a se stesso. L'utilizzazione pratica del diritto dell'uomo alla libertà è il diritto dell'uomo alla proprietà privata.

 

[…] La sicurezza è il più alto concetto sociale della società civile, il concetto della polizia, secondo cui l'intera società esiste unicamente per  garantire a ciascuno dei suoi membri la conservazione della sua persona, dei suoi diritti e della sua proprietà. […] Nessuno dei cosiddetti diritti dell'uomo oltrepassa dunque l'uomo egoista, l'uomo in quanto è membro della società civile, cioè l'individuo ripiegato su se stesso, sul suo interesse privato e sul suo arbitrio privato, e isolato dalla comunità. Ben lungi dall'essere l'uomo inteso in essi come ente generico, la stessa vita del genere, la società, appare piuttosto come una cornice esterna agli individui, come limitazione della loro indipendenza originaria. L'unico legame che li tiene insieme è la necessità naturale, il bisogno e l'interesse privato, la conservazione della loro proprietà e della loro persona egoistica» (Karl Marx, La questione ebraica, Editori Riuniti, Roma 1978, pp. 67-71).

 

 

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«…La «libera umanità» ha trovato il suo riconoscimento classico nei cosiddetti diritti universali dell'uomo. […] Questa «libera umanità» e il suo «riconoscimento» non sono altro che il riconoscimento dell'individuo egoistico, borghese, e del movimento sfrenato degli elementi spirituali e materiali che costituiscono il contenuto della sua situazione di vita, il contenuto della vita civile moderna; […] i diritti dell'uomo non liberano, quindi l'uomo dalla religione, ma gli danno la libertà religiosa, non lo liberano dalla proprietà, ma gli procurano la libertà della proprietà, non lo liberano dalla sordidezza del guadagnare, ma gli concedono la libertà dell'attività diretta a guadagnare.

 

[…] Il riconoscimento dei diritti dell'uomo da parte dello Stato moderno non ha un significato diverso dal riconoscimento della schiavitù da parte dello Stato antico. Cioè, come lo Stato antico aveva come base naturale la schiavitù, lo Stato moderno ha come base naturale la società civile, l'uomo della società civile, cioè l'uomo indipendente, unito all'altro uomo solo con il legame dell'interesse privato e della necessità naturale incosciente, lo schiavo del lavoro per il guadagno, lo schiavo sia del bisogno egoistico proprio sia del bisogno egoistico altrui. Nei diritti universali dell'uomo, lo Stato moderno riconosce che questa è la sua base naturale. E non è lo Stato che li ha creati. Lo Stato moderno, in quanto era il prodotto della società civile spinta dal suo proprio sviluppo a sorpassare i vecchi legami politici, ha riconosciuto da parte sua, con la dichiarazione dei diritti dell'uomo, il proprio luogo di nascita e il proprio fondamento.

 

[…] La libera industria e il libero commercio […] determinano la lotta generale di uomo contro uomo, di individuo contro individuo; così tutta la società civile è proprio questa guerra, l'uno contro l'altro, di tutti gli individui, isolati l'uno dall'altro ormai solo dalla loro individualità, ed è il movimento generale, sfrenato, delle potenze elementari della vita, liberate dalle catene dei privilegi.

 

[…] La schiavitù della società civile è apparentemente la libertà più grande, poiché è l'indipendenza, apparentemente compiuta, dell'individuo, il quale considera il movimento sfrenato, vincolato non più da legami generali e non più dall'uomo, dei suoi elementi vitali alienati, per esempio la proprietà, l'industria, la religione, ecc., come la sua propria libertà, mentre essa è piuttosto la sua compiuta schiavitù ed inumanità. Al posto del privilegio è subentrato qui il diritto.

 

[…] L'anarchia è la legge della società civile emancipata dai privilegi di casta, e l'anarchia della società civile è il fondamento della situazione pubblica moderna, così come, a sua volta, la situazione pubblica è, dal canto suo, la garanzia di questa anarchia. Tanto sono opposte, altrettanto si condizionano reciprocamente» (Karl Marx e Friedrich Engels, La sacra famiglia, Editori Riuniti, Roma 1972, pp. 147-153).