UNA CONVULSA SITUAZIONE POLITICA:
LA DEMOCRAZIA BORGHESE MOSTRA IL SUO
VERO VOLTO
Nel nostro
comunicato del 6 marzo u.s. abbiamo denunciato con forza il vergognoso decreto-truffa varato dal Consiglio dei ministri
per riammettere le liste del PdL escluse alle elezioni regionali in Lombardia e
nel Lazio: un decreto che ha dimostrato nel modo più lampante come il governo
reazionario ed eversivo di Berlusconi non si faccia scrupolo di calpestare leggi, diritti e la stessa Costituzione democratico-borghese quando sono in gioco gli interessi dei gruppi
dominanti di cui esso è espressione. E, contro l'opportunismo e la pavidità di
tanta parte della sinistra borghese di “opposizione”, non abbiamo esitato ad
indicare come ciò sia avvenuto col
consenso esplicito dei vertici istituzionali.
La
gravità della situazione politica che questi fatti hanno determinato merita un
più ampio commento da parte di chi, come noi comunisti marxisti-leninisti, si
colloca da un ben preciso punto di vista
di classe e rivoluzionario.
Per
quanto riguarda il decreto, le norme vigenti parlano chiaro.
La decretazione
d'urgenza è prevista dall'art. 77 della Costituzione, il quale stabilisce che
il governo può emettere provvedimenti provvisori con forza di legge «in casi
straordinari di necessità e d'urgenza», ma non indica quali siano le materie nelle quali il governo può emanare tali decreti-legge e quali siano le materie nelle quali non può emanarli.
- Queste sono
indicate, invece, nel modo più chiaro dalla Legge 23 agosto 1988 n. 400, Disciplina
dell'attività di Governo e ordinamento della Presidenza del Consiglio dei
Ministri (Capo III - Potestà
normativa del Governo). L'art. 15, n. 2, dice che il
governo «non può, mediante decreto-legge, provvedere nelle materie indicate nell'articolo 72, quarto
comma, della Costituzione».
Quali sono
queste materie?
-
materia costituzionale ed ELETTORALE; delegazione legislativa;
ratifica di trattati internazionali; approvazione di bilanci e consuntivi (art. 72 Cost.)
E', dunque,
evidente che il governo Berlusconi non poteva in alcun modo provvedere con
decretazione d'urgenza in materia
elettorale; ed è altrettanto evidente che il Presidente della Repubblica,
apponendo la sua firma a quel decreto-legge, si è assunto una gravissima
responsabilità.
Per ottenere il
sì e la firma di Napolitano è stata inventata la «formula magica» del «decreto
interpretativo»: un miserabile trucco,
avallato dalla più alta carica istituzionale, che ha creduto necessario
giustificarsi il 6 marzo con una «lettera aperta» agli italiani (un fatto senza
precedenti), pubblicata sul sito internet del Quirinale in risposta alla
pioggia di e-mail ricevuti da parte di cittadini disorientati, sconcertati o
indignati.
La motivazione
del Colle: assicurare in ogni modo la partecipazione alle elezioni regionali
del «candidato presidente» e della «lista del maggior partito di governo». Una ragione tutta
politica, che dava il pieno avallo alla volontà di Berlusconi di presentare le
prossime elezioni regionali come uno
scontro fra due schieramenti nazionali, se non addirittura come un referendum
sulla sua persona.
Mentre l'imbelle
opposizione del PD ha cercato di difendere ad ogni costo Napolitano, Di Pietro
ha parlato di impeachment, cioè della
possibilità di mettere in stato di accusa il Presidente della Repubblica per
«attentato alla Costituzione». I costituzionalisti borghesi hanno disputato in
questi giorni, e continuano a disputare fra loro, sulla costituzionalità o incostituzionalità di quel decreto. Una cosa è
fuori discussione: Napolitano non ignora il divieto posto dall'art. 15 della
Legge n. 400 del 1988, ma non ne ha tenuto alcun conto e ha firmato il decreto.
Chi ha
fotografato la situazione nel modo più lucido (ed intellettualmente onesto) è
stato il costituzionalista borghese Gustavo Zagrebelsky nella sua intervista a «Repubblica»
del 7 marzo:
«Primo: un decreto in questa materia non si
poteva fare. Secondo: soggetti politici interessati modificano unilateralmente
la legislazione elettorale a proprio favore. Terzo: si finge che sia
un'interpretazione, laddove è evidente l'innovazione».
Che cosa è
avvenuto nei giorni successivi?
Prima il TAR del Lazio (8 marzo), e poi l'Ufficio elettorale del Tribunale di Roma (9 marzo),
interpretando le leggi con la loro testa e non come avrebbe voluto il sedicente
«decreto interpretativo», hanno bocciato i ricorsi presentati dal PdL,
escludendo nuovamente la sua lista dalle elezioni di quella regione (perciò
Berlusconi è furibondo).
Poteri dello Stato contro altri poteri
dello Stato,
come già era accaduto all'epoca del lodo Alfano (v. il commento politico di «Piattaforma Comunista» dell'ottobre 2009 «Lo
scontro istituzionale: quale posizione devono assumere i comunisti?»). «Crisi
di regime», «macerie costituzionali», titolano in questi giorni alcuni
commentatori di giornali borghesi. Lo stesso Napolitano, nella sua «lettera
agli italiani», ha parlato esplicitamente dell'«acuirsi non solo di tensioni
politiche ma di serie tensioni istituzionali». È così, infatti: siamo di fronte
a un lento, ma inesorabile logoramento delle strutture istituzionali
dello Stato borghese italiano, nelle quali non solo gli elementi più
avanzati e consapevoli della classe operaia, ma anche strati crescenti della
popolazione non hanno più fiducia. L'astensionismo elettorale ne è uno dei
sintomi: compito dei comunisti è quello di trasformare questa astensione dalle
urne -ancora passiva e senza prospettive - in un boicottaggio attivo, da
attuare mediante l'astensione in massa da queste elezioni-farsa o con il voto
nullo.
La democrazia
borghese, in questa convulsa situazione politica, ha mostrato il suo vero
volto.
«In
regime capitalistico la democrazia è ristretta, compressa, monca, mutilata da
tutto l'ambiente creato dalla schiavitù del salario, dal bisogno e dalla
miseria delle masse. […] Democrazia per un'infima minoranza, democrazia per
ricchi, questo è il sistema democratico della società capitalistica, […] La repubblica democratica è il miglior
involucro politico possibile per il capitalismo» (Lenin).
Noi
comunisti non siamo astensionisti per principio; possiamo, in determinate
circostanze, utilizzare tatticamente la
partecipazione alle elezioni borghesi per ampliare la nostra influenza fra le
masse attraverso la propaganda rivoluzionaria. Ma non esistono oggi in
Italia le condizioni perché gli autentici comunisti possano farlo: manca la
condizione essenziale, la ricostruzione
del Partito comunista quale
reparto organizzato di avanguardia della classe operaia, unico soggetto
politico in grado di sviluppare quella tattica in modo rivoluzionario e non opportunistico.
Mentre
lottano per adempiere al compito fondamentale della ricostruzione del Partito,
i comunisti si pongono anche altri obiettivi, quelli stessi che Gramsci
indicava nel 1925: «Combattere sistematicamente e smascherare quei gruppi e
partiti politici i quali sono veicolo dell'influenza sul proletariato di altre
classi e categorie sociali non rivoluzionarie. Adoprarsi per strappare
all'influenza di essi gli strati anche più arretrati della classe operaia e far sorgere dal basso un fronte unico di
forze classiste. Questo fronte unico deve avere una forma organizzata».
Ribadiamo
nuovamente quanto scritto nei nostri precedenti comunicati.
Occorre
dare la risposta all’arroganza, all’arbitrio, all’impunità, all’illegalità,
alla corruzione del governo Berlusconi e dei suoi complici boicottando le elezioni farsa regionali. Alla falsa e ipocrita
democrazia borghese vanno contrapposti i consigli
operai e i comitati popolari come organismi di unità e di lotta delle masse
sfruttate e oppresse, per conquistare una democrazia più completa e
conseguente: quella democrazia proletaria che sarà, in un non lontano
futuro, il frutto della rivoluzione socialista e della dittatura del proletariato.
11 marzo 2010 Piattaforma Comunista