Diritto alla casa: la parola è alla lotta e all’unità

L’emergenza abitativa – aspetto importante della condizione di povertà e dell’aumento delle disuguaglianze economiche, sociali e territoriali – è un fenomeno in drammatica crescita nel nostro paese.
Su una crescente condizione di miseria di massa (5,6 milioni di persone sono in povertà assoluta), pesano la ripresa generalizzata degli sfratti per morosità incolpevole (stimati dai 130 mila ai 150 mila) e degli sgomberi, le esecuzioni immobiliari sulla prima casa, l’aumento dei canoni di affitto (parallelo al rialzo dei tassi dei mutui), i rincari delle utenze domestiche e degli oneri condominiali per il consumo energetico.
Nella legge di Bilancio per il 2023 non sono stati rifinanziati né il Fondo di sostegno all’affitto, né il Fondo per la morosità incolpevole. Il governo Meloni ha anche abolito il reddito di cittadinanza, che prevedeva una quota aggiuntiva per il pagamento del canone di locazione.
È bene ricordare che vi sono circa 900 mila famiglie povere in affitto (il 45% di tutte le famiglie in povertà assoluta) per le quali l’affitto rappresenta la voce di spesa più rilevante, con una incidenza media del 30% sul misero reddito falcidiato dall’inflazione.
A causa dei tagli alle spese sociali, le amministrazioni comunali, specie delle grandi città, non dispongono più di strumenti per impedire lo scivolamento delle famiglie più fragili da situazioni di disagio a una vera e propria condizione di emergenza.
Questo in una situazione che vede una quota assolutamente insufficiente di edilizia pubblica (solo il 4% del patrimonio abitativo e un quinto del mercato dell’affitto, con circa 600 mila persone in graduatorie dai tempi biblici) e una scarsa disponibilità di alloggi con costi commisurati ai redditi.
Come conseguenza di ciò, ci sono 3 milioni di famiglie che vivono in condizioni di sovraffollamento, con tensioni e criticità che spesso sfociano in conflitti, mentre ci sono milioni di abitazioni sfitte e inutilizzate.
Di estremo disagio è la situazione abitativa degli studenti universitari fuori sede che mette in discussione l’esigibilità del loro diritto allo studio. Meno del 5% dei fuori sede trova alloggio nelle residenze previste per il diritto allo studio, il resto va in affitto a cifre esorbitanti (camere singole da 400 a 600 euro al mese); di conseguenza le famiglie, specie quelle proletarie, devono sborsare cifre enormi per far proseguire gli studi ai propri ragazzi.
Drammatica la condizione di moltissimi lavoratori stranieri immigrati, specie i braccianti, impossibilitati ad avere accesso al mercato abitativo privato e pubblico, costretti a vivere in tuguri sovraffollati e senza minime condizioni igieniche, oppure a dormire per strada.
Tutto ciò a fronte dello 0,6% della popolazione (411 mila milionari) che detiene il 43% della ricchezza finanziaria nazionale e una quantità spropositata di ville e abitazioni di lusso.
In questa situazione la parola è alla lotta e all’organizzazione.
Uniamoci in Comitati popolari, realizziamo assemblee di caseggiato, per discutere, organizzarci, mobilitarci!
Blocco degli sfratti con picchetti solidali! Resistere agli sgomberi delle occupazioni abitative!
Autoriduzioni di massa dei canoni e delle bollette!
Occupazione degli alloggi sfitti della grande proprietà pubblica e privata!
Esigiamo l’esproprio delle case dei ricchi che esistono in gran numero nelle città per assegnare le case ai proletari senza tetto!
Affitti non superiori al 15% del salario! Edilizia popolare a consumo zero del suolo! Residenze universitarie pubbliche! Fondi per il sostegno delle famiglie in difficoltà, non per la guerra!
Leghiamo le lotte proletarie per il lavoro, il salario, il reddito, la casa, per la pace!
La soluzione dell’emergenza casa non sta nel mercato, nel gioco della domanda e dell’offerta che la riproduce costantemente; solo con l’abolizione del modo di produzione capitalistico e l’instaurazione del socialismo sarà assicurato il diritto all’abitare.
Da “Scintilla” n. 137 (settembre 2023)
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