Le mani dei monopoli sull’acqua

Nel contesto della crisi climatica, anche l’aridità dei suoli sta diventando un fenomeno sempre più minaccioso. La lotta per l’acqua pulita opporrà sempre più i grandi consumatori – alcuni monopoli e l’agricoltura intensiva convenzionale – alle popolazioni.

In Italia si fanno sempre più evidenti le conseguenze catastrofiche del riscaldamento del pianeta e del cambiamento del suo clima: da un lato eventi piovosi eccessivi e violenti rispetto al normale corso delle stagioni, dall’altro periodi di siccità sempre più lunghi anche in regioni solitamente umide che non riscontravano questi eventi, come nel caso della pianura padana.

Secondo gli ultimi dati ISPRA, in Italia vengono consumati circa 26 miliardi di metri cubi d’acqua all’anno: il 55%, è legato agli usi agricoli, il 27% a quelli industriali e circa il 18% per scopi civili.

La porzione principale di acqua utilizzata per l’agricoltura deriva dai fiumi. L’83% della produzione agricola italiana proviene da terre irrigate.

La scarsità d’acqua ha raggiunto proporzioni tali da creare il rischio che più comuni siano soggetti a restrizioni riguardo l’acqua dolce, specie nelle regioni, come quelle del bacino del Po, dove l’acqua deve essere suddivisa tra diversi usi (agricoltura, industria, uso cittadino).

Per sovrappiù, i dati ISPRA mostrano una situazione ancora di forte ritardo in Italia per quanto riguarda la classificazione delle acque di falda. Da un punto di vista quantitativo, solo il 75% dei corpi idrici sotterranei risulta classificato e di questi solo il 61% risulta in uno stato chimico “buono”, il 14% “scarso” e ben il 25% ancora non classificato (261 corpi idrici sui 1052 totali). Simile lo stato qualitativo che vede l’83% delle acque sotterranee classificate, di cui il 58% è in stato “buono”, 25% scarso e 18% non ancora classificato.

Se gli studiosi, purtroppo nella loro maggioranza, limitano le loro osservazioni da un punto di vista puramente scientifico, sono stati i rappresentanti dell’agro-industria a richiamare il governo a porre mano al piano di regimazione idrica basato su invasi, contenimento di fiumi e cementificazione del territorio rurale.

L’irrigazione viene descritta come il fattore che consentirebbe anche di triplicare le rese nei campi.

L’aumento della produzione “Made in Italy”, la riduzione della dipendenza dall’estero e il rifornimento del mercato con prodotti nazionali di alta qualità e al giusto prezzo: così un battage pubblicitario vorrebbe conquistare il favore del pubblico delle città e delle campagne.

L’acqua è diventata l’”oro blu”, una risorsa naturale da monopolizzare a spese dei bisogni indispensabili alla società nel suo complesso. Mentre diventa sempre più necessario salvaguardare e proteggere le risorse idriche, sono i monopoli dell’agro-industria a farne incetta e abuso.

Bisogna accennare anche al fatto che fra gli impatti che la siccità e le anomalie termiche causano rientra anche la riduzione di energia idroelettrica prodotta, che può diventare un argomento, nelle mani dei monopoli dell’energia, per il convincimento dell’opinione pubblica del nostro paese restia alla necessità di un programma nucleare nazionale, tacendo della quantità d’acqua necessaria annualmente al raffreddamento delle centrali nucleari.

Una parte importante della molteplicità di risorse idriche, in tutte le forme, sia naturali, come fiumi, sorgenti e laghi, sia artificiali, come canali, invasi artificiali, reti di irrigazione, tutte di importanza fondamentale per il funzionamento dell’agricoltura e delle produzioni industriali, si trova in mano di una serie di consorzi, enti associativi diretti da grandi capitalisti agrari operanti sul territorio, a loro volta tra loro federati a livello regionale nelle sezioni dell’ANBI (Ass. Naz. Bonifiche Irrigazioni e Miglioramenti Fondiari).

I consorzi associati all’ANBI coprono oltre il 50% della superficie territoriale del paese per un totale di quasi 17 milioni di ettari e cioè tutta la pianura e gran parte della collina.

Tramite una struttura decentrata i consorzi che compongono l’ANBI vanno quindi a gestire e distribuire buona parte delle risorse idriche non potabili del paese, le quali vengono fornite agli associati al consorzio sulla base degli statuti dei consorzi stessi. Ciò in teoria potrebbe significare una pluralità di modalità di accesso, dalla gratuità della risorsa ad un prezzo stabilito in base agli ettari da irrigare. I fatti vanno in direzione opposta.

L’ANBI, con FENACORE (Spagna), FENAREG (Portogallo) e IRRIGANTS DE FRANCE (Francia), ha costituito l’Associazione IRRIGANTS d’EUROPE allo scopo di promuovere gli interessi del grande capitalismo agrario e industriale in ciò che riguarda acqua, energia, alimentazione umana.

IRRIGANTS d’EUROPE figura quale consulente tecnico della Commissione europea per le tematiche sopracitate e per tutta la complessa normativa che riguarda, oltre la Direttiva Acque, la Direttiva Alluvioni, il tema del riuso delle acque reflue depurate, il cosiddetto Global Gap, che affronta la questione della qualità della risorsa idrica ed infine la riforma della PAC post 2020.

Anche il complesso di acquedotti e infrastrutture idriche in senso lato, chiamato Servizio Idrico Integrato, ossia il sistema di gestione dell’acqua utilizzata nella quotidianità, che va dall’estrazione alla depurazione dell’acqua dolce per famiglie e imprese, è ormai un “grosso affare” nelle mani di un gruppo di grandi gestori che va via via restringendosi nel numero.

L’accelerazione della tendenza all’assoggettamento e alla monopolizzazione di questa risorsa naturale nelle mani del grande capitale, è il frutto della sottomissione delle forze produttive allo sfruttamento capitalistico.

Il referendum dell’acqua svoltosi nel 2011, ha avuto il merito di porre dinanzi all’opinione pubblica il travestimento della monopolizzazione dell’acqua come una razionalizzazione economica nell’ambito di un indirizzo europeo.

Ma le intenzioni di dettare una morale al movimento economico capitalista non possono che risolversi in altrettante declamazioni, come, fra le tante, la garanzia del “flusso minimo vitale” proclamata dall’Assemblea delle Nazioni Unite per i popoli poveri, questo mentre si moltiplicano anche nei paesi capitalistici avanzati i casi odiosi di distacchi, a causa di povertà, del servizio idrico.

Aziende quali Hera, Acea e Ireti, attive nell’ambito regionale, figurano già tra i primi 5 gestori con un fatturato cumulativo stimato in 2,6 miliardi  di euro.

Un’ulteriore suddivisione permette di individuare Acea e Ireti come le più rilevanti aziende multiservizio, quotate in borsa, che gestiscono i fondamentali servizi a rete (acqua, rifiuti, luce e gas) e servono in totale circa 10 milioni di utenti del servizio idrico.

La struttura societaria mista (principalmente un ibrido tra pubblico e privato) assicura il puntello della redditività del capitale privato da parte dello stato, essendo la spesa, percentualmente maggiore, degli investimenti a contrasto delle perdite idriche, in fognatura e depurazione, a capo della finanza pubblica.

Cosa si prefiggono il decreto-legge del 14 aprile scorso intitolato alla crisi idrica e la sua conversione in legge del 13 giugno 2023?

L’istituzione di una cabina di regia fra i ministri e un commissario straordinario nazionale per la crisi idrica sono previsti per individuare gli interventi necessari e realizzarli al più presto, “eliminando lungaggini ed ostacoli”, ovvero investendosi del potere di superare l’opposizione delle popolazioni locali e delle autorità locali, ma anche di sostituirsi nella vigilanza sulle procedure di costruzione, spianando la strada alle grandi imprese, ovverossia un modello grandi opere che il provvedimento incarna esemplarmente.

Saranno queste figure, e quindi lo Stato, incarnazione degli interessi capitalistici, a decidere le priorità e le restrizioni d’uso, a fare da arbitri tra interessi spesso contraddittori.

Nell’inconsistente dibattito parlamentare e nelle dichiarazioni dei rappresentanti del governo è immediatamente visibile la completa assenza d’interesse per la necessaria opera di ammodernamento della rete del Servizio Idrico Integrato, il sistema di gestione dell’acqua utilizzata nella quotidianità, i cui acquedotti, ormai vetusti, disperdono oltre il 40% dell’acqua potabile, ed andrebbero ristrutturati. Si guarda benevolmente alla disseminazione sul territorio di nuove grandi opere, come nuovi laghi artificiali, i cosiddetti grandi invasi, e nuovi impianti di desalinizzazione, quando il problema non risiede tanto nel recuperare nuova acqua, ma piuttosto nel riuscire a non disperdere le risorse già estratte.

L’acqua sarà accaparrata da una minoranza di agricoltori che si pongono lungo la catena dell’agro-industria e in particolare nei rami della produzione di mais per allevamento e delle produzioni sementiere.

Dunque i bacini servirebbero ad un’agricoltura intensiva che causerebbe ulteriore siccità, erosione della terra, perdita della biodiversità e  cementificazione.

Le associazioni agro-industriali mirano ad un’intensificazione dell’agricoltura intensiva e ad alto capitale delle regioni agricole drenando le falde acquifere e conservando l’acqua per l’irrigazione durante il periodo estivo.

È un piano che incoraggia i grandi gruppi del settore delle costruzioni a gettare tutto il loro peso per individuare nuovi siti per i grandi invasi che saranno protetti militarmente.

La coincidenza d’interessi della combinazione agro-industriale e dell’industria delle costruzioni, una coincidenza d’interessi immediati alla quale la legge approvata dà il suggello, è l’unico e più palpabile risultato del cosiddetto piano strategico dei capitalisti.

Sotto la facciata dell’emergenza, tali provvedimenti nascondono dei veri e propri danni per le popolazioni, non da ultimo il ricorso da parte dell’autorità statale al razionamento del consumo d’acqua, nonostante questo non incida che in minima parte sulla risorsa.

La resistenza a questi piani criminali, l’opposizione di massa ai mega bacini idrici, che ha visto di recente grandi lotte in Francia, duramente represse, sono destinate a svilupparsi anche nel nostro paese. È un aspetto della lotta al barbaro sistema capitalista-imperialista che deve essere affrontato sin da oggi nel modo più unitario possibile, una lotta per la vita e per il futuro del proletariato e delle masse lavoratrici della campagna, sue naturali alleate.

Da Scintilla n. 138 – ottobre 2023

 

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