Lotte operaie e nazionalizzazioni

Gli operai della ex Gkn sono sotto assedio. Come spiega il Collettivo di fabbrica, i 500 licenziamenti sono ancora in corso, la fabbrica è ferma e senza prospettiva, mentre sugli operai che la presidiano pende la calunniosa accusa di occupazione illegale della fabbrica, che mira a trasformare una grande mobilitazione che perdura da oltre sedici mesi in qualcosa di abusivo per rendere il sito produttivo inagibile. L’attuale proprietà non ha un piano industriale effettivo e ha ammesso che senza fondi pubblici non c’è ripartenza. Gli stipendi non vengono pagati a ben 300 operai. Dunque senza intervento pubblico, afferma il Collettivo, la fabbrica è spacciata. L’alternativa è fra l’ intervento pubblico a coprire le colpe e i costi del privato e l’intervento pubblico con finalità e controllo pubblico. Ma finora sono arrivate solo parole. Gli operai Gkn rivendicano perciò l’immediato intervento pubblico e la fabbrica “socialmente integrata” per evitare la deindustrializzazione e salvare il lavoro, che però non sia l’ennesimo caso Alitalia, Termini Imerese o ILVA.
E proprio alla ex ILVA, oggi Acciaierie d’Italia, la situazione si avvicina al punto di non ritorno, con l’annuncio della multinazionale di sospendere le attività di 145 aziende appaltatrici dell’indotto, gettando nella disperazione 2 mila lavoratori, e di aumentare la cassa integrazione per gli operai che direttamente sfrutta, mentre la produzione è in calo: a Taranto sono fermi da luglio un altoforno su tre e un’acciaieria su due.
Nello sciopero del 21 novembre, i sindacati metalmeccanici e i lavoratori in corteo hanno chiesto la nazionalizzazione del gruppo, la tutela dell’occupazione, le condizioni di salute e sicurezza, l’ambientalizzazione delle produzioni. Verso il ritorno in mani pubbliche del monopolio siderurgico spingono anche settori industriali italiani che hanno interesse all’intervento pubblico perché la produzione di acciaio è strategica per le loro fabbriche. Nel caso dell’ILVA, a differenza di quello della GKN, è già stato stanziato un miliardo di euro e affidato a Invitalia allo scopo di portare la quota pubblica al 60%. I sindacati chiedono quindi di accelerare l’operazione, che è stata posticipata al maggio 2024.
Dunque ancora una volta si pone al centro delle vertenze operaie la questione delle nazionalizzazioni di grandi industrie in regime borghese, una delle forme che assume il capitalismo monopolistico di stato.
Noi comunisti (m-l) sosteniamo le rivendicazioni degli operai e dei sindacati combattivi che migliorano le condizioni e la lotta del proletariato. Siamo a fianco degli operai della GKN e delle Acciaierie d’Italia nella difesa dell’occupazione, del salario, della sicurezza sul lavoro.
Appoggiamo la loro battaglia che va estesa e intensificata, rivendicando l’esproprio senza indennizzo, ovvero uso di denaro pubblico per risarcire i proprietari e chiamando alla solidarietà attiva e di classe.
Allo stesso tempo, siamo tenuti a dire la verità e combattere le illusioni diffuse da riformisti e opportunisti, ponendoci sulla base della teoria del movimento di emancipazione del proletariato e delle esperienze concrete da esso compiute.
La nazionalizzazione di grandi aziende, ovvero il loro rilevamento da parte della borghesia nel suo complesso per risanare il loro deficit e riorganizzarle con fondi pubblici, non va vista come un’attività che è svolta nell’interesse dei lavoratori o dell’interesse “generale” o “nazionale”. E’ l’incomprensione della natura e della funzione dello stato borghese a generare queste idee.
Assai diffuso è il ragionamento secondo cui lo stato è democratico e agisce nell’interesse collettivo. Perciò si ritiene che anche un’azienda statale debba funzionare secondo tale principio.
In realtà, nel sistema capitalistico lo Stato è l’organo del dominio della classe borghese dominante e le nazionalizzazioni vengono fatte nel suo esclusivo interesse, per mantenere ed elevare i livelli di profitto.
La fabbrica nazionalizzata non diviene “sociale” o “democratica” e tanto meno può divenire una “isola socialista”, essa rimane invece uno strumento di finanziamento pubblico per l’estorsione di plusvalore e l’accumulazione di capitale monopolistico.
La nazionalizzazione rappresenta la centralizzazione borghese della gestione e la socializzazione delle perdite di taluni capitalisti, per una successiva privatizzazione dei profitti.
Le difficoltà del capitale non vengono risolte con la nazionalizzazione, ma vengono trasferite ad un diverso livello, dove assumono forme e dimensioni più gravi, come insegnano le vicende Alfa Romeo, Italsider, Alitalia, etc.
Lo sfruttamento non solo non cessa nelle imprese nazionalizzate, ma spesso viene intensificato perché un alto livello di produttività del lavoro è condizione per la realizzazione del profitto monopolistico, in opposizione al soddisfacimento dei bisogni dei lavoratori.
E’ dunque fuorviante presentare le nazionalizzazioni in regime borghese come rivendicazioni di tipo progressista, se non addirittura rivoluzionarie. Certe parole d’ordine 99 volte su 100 si trasformano in parole d’ordine di avvicinamento e fusione con il sistema delle organizzazioni capitalistiche.
Ma quali aziende oggi la borghesia ha interesse a nazionalizzare? Poche, solo quelle su cui c’è un interesse collettivo della classe al potere e che hanno carattere strategico (energia, bellico, aerospaziale, acciaio, cantieristica, trasporti e altre infrastrutture, etc.).
In questi casi spesso viene stabilito un sistema di interpenetrazione dei capitali statali e di quelli privati (come ad es. nel caso di Leonardo), senza mai infrangere il principio della concorrenza e della massimizzazione del profitto.
Nel nostro paese un maggiore intervento statale è impedito sia dall’enorme debito pubblico, sia dalle stringenti condizioni poste dalla UE, che negli anni passati ha impedito salvataggi statali di aziende in crisi.
Sebbene in tempo di pandemia queste condizioni sono state abbassate per garantire continuità produttiva a importanti aziende, la disciplina finanziaria rimane quella del “libero mercato”.
A ben vedere, la vertenze della GKN e dell’ex ILVA di Taranto sono l’ennesima dimostrazione della necessità di abolire i rapporti capitalistici di produzione e di attuare la nazionalizzazione socialista, proletaria, dei mezzi di produzione.
Solo con il socialismo si potrà infatti confiscare e attuare la nazionalizzazione proletaria di tutte le imprese della grande industria (fabbriche, officine, miniere, centrali elettriche), delle linee automobilistiche, marittime e fluviali, dei mezzi di trasporto aereo (flotta aerea commerciale e di turismo), dei mezzi di comunicazione (telefonia, radio, tv, etc.), organizzando una direzione operaia dell’industria.
Solo con il socialismo sarà possibile la “fabbrica pubblica e socialmente integrata”, posta al servizio dei bisogni delle grandi masse lavoratrici, nel rispetto dell’ambiente.
Ma per fare questo bisogna strappare il potere politico dalle mani della borghesia e instaurare la dittatura rivoluzionaria del proletariato.
Di qui la necessità del Partito comunista, strumento indispensabile di organizzazione e direzione della lotta degli sfruttati e degli oppressi.
La sua formazione dipende dall’unione degli operai avanzati e dei sinceri comunisti su basi marxiste-leniniste. Oggi è nell’unione fra socialismo scientifico e movimento operaio che risiede il significato profondo dello slogan “Insorgiamo!”.
Da Scintilla n. 129 – dicembre 2022
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