Prepariamoci a respingere con la lotta e  l’organizzazione il nuovo assalto alle pensioni

 

In Italia il debito pubblico nello scorso febbraio era di circa 2.872 miliardi di euro, pari a circa il 137% del PIL. Nel 2024 il suo rinnovo comporta l’emissione annua di oltre 400 miliardi di debito pubblico, fra Btp, Bot, Cct e Ctz, con una spesa per interessi in crescita di circa 100 miliardi che grava sulle spalle di lavoratori e pensionati.

Come abbiamo più volte rilevato in queste colonne, il rifinanziamento del debito presenta particolari difficoltà: non occorre molto perché il differenziale con i titoli tedeschi (il famoso spread) possa schizzare e porre di punto in bianco una pericolosa emergenza per la tenuta dei conti pubblici.

Recentemente Moody’s ha classificato i titoli di stato italiani con il rating BAA3, un livello appena sotto il livello “Junk” (spazzatura). La notizia è apparsa il 1° giugno sulla stampa nazionale senza evidenza. Perché nessuno dei media al servizio dell’oligarchia finanziaria vuole creare allarme.

Ciò fa seguito al “documento del 20 maggio” del FMI – anch’esso passato sotto silenzio  – che prescrive, tra le altre cose, di tagliare le pensioni, oltre a cessare la detassazione che invece il governo Meloni ha acuito a favore della sua base sociale. Tale documento dedica un intero paragrafo alla necessità di “un aggiustamento fiscale più rapido del previsto per abbassare il rapporto debito/PIL … e ridurre i rischi finanziari”.

Come noto, il governo deve vedersela anche con il nuovo Patto UE di stabilità e crescita che prescrive nuovamente i livelli del 3% del PIL per il deficit di bilancio e il 60% dell’indebitamento pubblico, da raggiungere con strette meno draconiane del passato pre-pandemico, ma proprio per questo “realismo” più stringenti. Esse fissano procedure di infrazione per deficit eccessivo e piani di rientro dell’1% l’anno per la riduzione della percentuale di debito.  Inoltre a breve l’UE aprirà la procedura d’infrazione per eccesso di deficit.

Non è difficile fare due conti con un debito, come quello italiano, che a breve arriverà a 3000 miliardi. Anche ammettendo una benevola crescita dell’1%, il Patto comporta misure di taglio della spesa pubblica sui 18-22 miliardi annui, per sette anni, con un corollario di “riforme” stringenti. E meno male (si fa per dire) che per il biennio ‘25-26 si possono non contare le spese per interessi…

Se a ciò si aggiunge il contesto internazionale pieno di incognite e segnato da impetuosi venti di guerra tra le opposte potenze imperialiste, che inevitabilmente si riverberano sulle economie, si comprenderà che la situazione delle finanze pubbliche non è per nulla tranquillizzante e si tradurrà in altre manovre antioperaie.

C’è poco da nascondere la gravità della situazione come tentano di fare i tirapiedi borghesi dell’informazione di regime e la stessa Banca d’Italia.

Passate le elezioni europee, il governo avrà due mesi di “tregua” fino a settembre, mese in cui il patto di stabilità andrà in vigore.

Non facciamoci illusioni sul nuovo assetto europeo uscito dalle urne. Fin dalla sua fondazione la UE è una istituzione sovranazionale al servizio dei grandi monopoli finanziari, non dei popoli. Ed è in nome della stabilità dell’assetto capitalistico, non delle velleità dei burocrati nominati, quale ne sia il colore, che le visure vengono decise.

È sicuro che per l’autunno, stante il caparbio impegno governativo di non toccare le agevolazioni fiscali concesse al proprio elettorato, la stangata si abbatterà specialmente sulla classe operaia e le masse lavoratrici, a partire dall’ennesima manovra sulle pensioni.

Al momento non è possibile sapere esattamene in che  termini, ma probabilmente si elimineranno i meccanismi di uscita anticipata (ovvero saranno possibili solo con il calcolo contributivo) e si rivedrà il “gradone” del 67 anni, se non oltre.  Altrettanto in peggio si ritoccheranno i meccanismi di calcolo dei rendimenti pensionistici e si troverà anche il modo di bloccare la rivalutazione dell’assegno che copre in parte minima l’inflazione.

Gli operai, soprattutto quelli avanzati, dovranno fin da ora farsi carico di questo inammissibile attacco, senza farsi cogliere di sorpresa, preparando per tempo le difese, memori della grande sconfitta subita al momento della “letterina di Bruxelles” firmata dai rappresentanti dei poteri forti UE, quando era capo del governo Berlusconi.

Allora fu insediato il “tecnico” Monti che in un batter d’occhio varò la maledetta legge Fornero che tutti i lavoratori ben conoscono per le sue conseguenze nefaste. Questa controriforma segnò un salto in avanti rispetto a quelle precedenti, orchestrate dai vari rappresentanti della borghesia come Amato (1992), Berlusconi (1994 e 2004), Dini (1995), Prodi (1997).

Allora i sindacati confederali la fecero di fatto passare organizzando un finto sciopero generale di due sole ore, tra l’altro intempestivo, tanto per fare: una vera e propria beffa.

Oggi tali sindacati sono più deboli di allora, più divisi, con una Cgil che ha di fatto abbandonato la centralità delle lotte di massa sui temi del salario, dell’occupazione, dei ritmi, della nocività, preferendo i referendum democraticisti.

La classe operaia non può in alcun modo contare sull’apparato dei bonzi sindacali per edificare un efficace fronte di lotta per la difesa dei propri interessi.

Esistono tuttavia migliaia di  quadri, delegati e militanti di base sindacali, confederali e non, che continuano a portare avanti le lotte e debbono essere coinvolti nella battaglia.

Ma è soprattutto alla base, nelle fabbriche e nei luoghi di lavoro, che va costruito l’argine.

Si tratta di costruire da subito una rete di comitati unitari e di coordinamenti stabili di azienda, di territorio,  indispensabili anche per le altre lotte su occupazione, salario, precarietà, etc., che siano rappresentativi della massa proletaria e incarnino la volontà di lotta di milioni di operai e degli altri lavoratori sfruttati.

Il carattere unitario di questi organismi è di particolare importanza. Bisogna andare oltre la frammentazione di gruppi e sigle anche impegnandosi in polemica aperta con i “divisionisti” e gli opportunisti sindacali e politici, incalliti e permeati di meschino spirito di gruppo.

L’attacco che si prospetta alla classe operaia e ai lavoratori dipendenti tutti deve essere fronteggiato da subito con la costruzione di un largo fronte unitario di lotta.

È ora di realizzare l’unità della classe operaia a difesa dei propri interessi sopra il terreno della preparazione di una lotta politica in cui la classe ritorni in campo schierata in modo indipendente contro i padroni e i loro servi.

La tattica del fronte unico proletario e la formazione di comitati operai per la progressiva unificazione delle lotte contro il capitalismo sono la via giusta da seguire.

I comunisti (marxisti-leninisti) organizzati e le forze a noi vicine non mancheranno di impegnarsi per dare il proprio contributo.

All’organizzazione e alla lotta compagni e compagne!

Da Scintilla n. 146, giugno 2024

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