Prosegue l’attacco alle pensioni

Bontà di “lor signori”, le pensioni fino a 4 volte il minimo saranno rivalutate del 7,3%. Essendo l’inflazione di entità superiore, almeno un 10%, ma ben oltre per i prodotti sul carrello della spesa, nella realtà il potere d’acquisto – senza contare quanto perso quest’anno – è tutt’altro che salvaguardato. In finanziaria, inoltre, l’insufficiente rivalutazione verrà tagliata per importi lordi superiori a 2.100 euro fino ad un 40%.

Secondo il calcolo fatto dallo SPI-Cgil, 4,3 milioni di pensioni medie (sui 1800 euro netti) perderanno 1200 euro l’anno. Complessivamente il taglio di risorse, fra mancate rivalutazioni, opzione donna e Ape sociale, sarà di 3,7 miliardi solo per il 2023,.

Veniamo alla quota 103 che in via provvisoria varrà per il 2023.  Vuol dire 62 anni di età anagrafica e 41 di età contributiva.

Il provvedimento riguarda pochi lavoratori e pochissime lavoratrici.

In ogni caso, la quota di uscita aumenta da 102 a 103 (con tre anni di contributi in più, da 38 a 41), proseguendo nel trend di innalzamento dei requisiti pensionistici. Nei fatti si sta tornando alla legge Fornero, mentre si avvicina una “riforma”  di cui si pongono le premesse che delineano tempi bui, con maggiore sfruttamento per chi rimane al lavoro e pensioni da fame per chi esce.

In primo luogo l’età di 67 anni viene aumentata per via della “crescita della speranza di vita” (sic!). A questo proposito già ora 67 anni vogliono dire in realtà 67 anni e 10 mesi.

In secondo luogo, considerando che la spesa pensionistica verrà mantenuta ad un rapporto col reddito nazionale (PIL) entro limiti non superiori al 17 % (precisamente dal 16 al 17 % fino al 2045 per poi calare negli anni tra il 13 e il 14%; considerando che lo scenario di lungo periodo prevede una crescita negativa del PIL fino al 2045 (23° rapporto MEF 2022); considerando l’invecchiamento della popolazione a causa della decrescita demografica e dell’emigrazione di molti giovani e considerando anche il continuo taglio dei contributi (anche nella prossima finanziaria col taglio del cuneo fiscale) non ci vuole molto a capire che, malgrado l’innalzamento dell’età pensionistica, gli assegni saranno in media molto più magri, di un 30 – 40 % inferiori, tali da non assicurare una vecchiaia dignitosa e da aumentare sensibilmente il tasso di povertà, un fenomeno in atto da tempo.

Ciò si realizzerà con il passaggio, senza correttivi, al metodo di calcolo contributivo. Il che vuol dire che le entrate tardive nel mondo del lavoro e i periodi di decontribuzione per disoccupazione, sottoccupazione, aspettative specie per assistenza di familiari, renderanno molti assegni individuali inferiori alla media.

Uno scenario decisamente inquietante, tipico del barbaro sistema capitalista. Essendo le pensioni salario differito esse sono soggette alle leggi economiche che determinano l’aumento del plusvalore, assoluto e relativo, ossia della ricchezza di cui si appropriano la borghesia e i ceti parassitari, e comunque non produttivi, che sfruttano il proletariato.

La resistenza all’attacco sulle pensioni è perciò parte integrante della resistenza all’aumento dello sfruttamento che avviene con la riduzione dei salari, l’intensificazione dei ritmi di lavoro, il prolungamento degli orari, etc.

Un motivo in più per rilanciare la lotta per gli aumenti salariali oltre il recupero dell’inflazione, con la consapevolezza che la questione salariale e pensionistica sarà garantita solo affossando con la rivoluzione proletaria il potere della borghesia e passando al socialismo.

Da Scintilla n. 129 – dicembre 2022

 

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