
Fino a due mesi fa governo e grancassa mediatica erano in euforia per una previsione di crescita dell’1,3% di contro ad una Germania in stagnazione e con Francia e Spagna a crescite inferiori. Tendenza non solo europea visto che pure per gli USA la crescita prevista è di solo 1,6%, per il Giappone + 1,3%, mentre ribassano sul trend pre-pandemico pure Cina (+5,4%) e India (+6%) e che la crescita globale è di un modesto 2,7%.
I dati più recenti dell’economia hanno smentito anche questa stupida euforia.
Nel secondo trimestre 2023 il PIL ha frenato dello 0,4% (l’industria è a meno 1,4%) e le previsioni non sono per nulla buone per i capitalisti.
In poche settimane l’euforia ha lasciato posto alla preoccupazione, malgrado il rassicurante bollettino economico di Bankitalia che si trastulla con l’ “ulteriore rafforzamento della posizione creditoria netta nei confronti dell’estero”.
La realtà dei fatti mostra invece che i conti pubblici sono in equilibrio precario. A giugno i 2.843 miliardi di debito pubblico sono aumentati di altri 28 miliardi. Secondo le previsioni a fine anno aumenterebbe di 115 miliardi pari, conti alla mano, a un 5,6% di PIL pur tenendo conto della sua rivalutazione via inflazione, ben oltre il canonico 3% pre-pandemia.
Stante le previsioni di ritorno per il 2025 dell’inflazione al 2% il giochetto della rivalutazione si esaurirebbe e l’aumento annuo del debito dovrà essere contenuto in misura maggiore, ovvero scaricandolo sulle spalle della classe operaia.
La Commissione Europea sta monitorando con attenzione il loro andamento e non permette alcuna emissione straordinaria di titoli; tra l’altro “raccomanda”’ di contenere l’aumento della spesa pubblica entro l’1,3%. Il ritorno del Patto di stabilità, sospeso in pandemia, con il taglio del debito annuo di almeno lo 0,5% e la procedura di infrazione per deficit eccessivo con multe salate, integrano il fosco quadro dipinto dalla UE.
Il rallentamento economico superiore al previsto (secondo il rapporto mensile di Confindustria l’industria è calata da inizio anno dell’1,9%, le costruzioni del 4,3%, i consumi dello 0,6%) comporta meno entrate.
Non è difficile intuire, che il governo non ha la liquidità necessaria per onorare gli stanziamenti pro-alluvionati, né per il cuneo fiscale, né per il taglio delle accise, né per altri provvedimenti, escluse, ben s’intende, le spese militari in continuo aumento.
Questo nonostante l’abolizione del reddito di cittadinanza, dei sussidi di sostegno al reddito per il caro-energia, il fondo sociale per affitti e morosità incolpevole, il taglio al superbonus e la farsa della tassa sugli extraprofitti.
A conti fatti i margini del governo sono inferiori a 5 miliardi di Euro. Altro che “attenuazione dei timori sulla capacità di rifinanziamento del debito pubblico” come afferma Bankitalia!
Per l’autunno i nodi verranno al pettine e come reperire le risorse da mettere in finanziaria (25-30 miliardi) già da ora è un rebus che il governo vuole risolvere sulle spalle di lavoratori e pensionati.
Tra questi nodi il ritorno a pieno regime della legge Fornero sulle pensioni, il taglio alle indicizzazioni delle pensioni, il mancato rinnovo dei contratti pubblici, ulteriori sforbiciate alla sanità pubblica che è al tracollo, alla ricerca, la fine dei bonus fiscali per i lavoratori…. tutto questo con un’inflazione ufficiale al 5,7% (13,9% biennale) che erode il potere di acquisto di salari, stipendi e pensioni (sui generi alimentari e di ampio consumo è al 10%), con i licenziamenti che in centinaia di aziende incombono, con il “sostegno” ai lavoratori poveri e ai giovani che equivale alla corda che sostiene l’impiccato.
Si prepara dunque una legge finanziaria improntata ad un nuovo periodo di austerità che colpirà duramente le masse lavoratrici per sostenere i monopoli. Ciò farà saltare anche slogan e promesse elettorali assieme a ogni ipotesi di ritorno a quel “dialogo sociale” invocato dai capi sindacali collaborazionisti.
Mentre l’economia arretra, i conflitti fra l’attricetta di Palazzo Chigi e la UE (sui vincoli del Patto di stabilità, sul Mes, sul Pnrr, sui migranti), così cime quelli nella maggioranza di governo, fra le diverse forze parlamentari, fra le istituzioni dello stato, sono destinati ad aumentare.
Le polemiche estive (sullo stupro in cui è coinvolto il figlio di La Russa, sulla Santanchè, sui migranti, sugli extraprofitti bancari, su Vannacci, con i magistrati, etc.) sono la spia del crescente nervosismo di un governo a guida politica di estrema destra che arranca e si appresta a entrare in un collo di bottiglia.
La scadenza delle prossime elezioni europee, con un clima da campagna elettorale già in atto, accrescerà la litigiosità fra Lega e FdI per spartirsi l’eredità politica berlusconiana, mentre gruppi fascisti punteranno a ritagliarsi spazi con la loro demagogia sociale.
Le questioni dell’uscita dalla “Nuova via della seta” con la Cina, del MES, la riforma fiscale e dell’autonomia differenziata, rischiano di essere deflagranti per il governo Meloni.
Un governo di minoranza nel paese reale, che si regge in parlamento a forza di decreti-legge, grazie al balbettio liberal-riformista e al ruolo nefasto di una falsa opposizione borghese che coincide ampiamente su una politica antioperaia e guerrafondaia.
Un governo che più perderà consenso, più intensificherà gli attacchi alla classe operaia e agli altri lavoratori sfruttati per salvare i profitti e i privilegi dei gruppi di sfruttatori e parassiti che dominano la società.
In questo quadro economico e politico regressivo e reazionario, si svilupperà la mobilitazione operaia e popolare nei prossimi mesi, su terreni di lotta come il salario, il lavoro, le pensioni, le tasse, i servizi pubblici, la pace fra i popoli.
Negli scioperi di fabbrica che si susseguono con forti adesioni, in quelli parziali e generali che si annunciano in autunno – a partire da quello del 20 ottobre proclamato da sindacati conflittuali, da allargare il più possibile con la partecipazione attiva di delegati e lavoratori combattivi a prescindere dalle sigle sindacali – nelle manifestazioni di piazza, nelle assemblee sui luoghi di lavoro e nel territorio, in ogni percorso di mobilitazione e di lotta dovrà risuonare sempre di più la parola del fronte unico di lotta del proletariato imperniato sulle esigenze vitali e urgenti della classe operaia; il solo capace di trascinare nella lotta settori ad esso vicini chiamati anch’essi a pagare la crisi e la guerra del capitale.
Nelle condizioni generali in cui si trova oggi il movimento operaio è inevitabile che ogni azione di massa, ogni mobilitazione generale, anche se sorge solo da rivendicazioni di carattere parziale, ponga all’ordine del giorno problemi più generali e fondamentali, che non si risolveranno certo con il ricorso alle urne e nelle forme politico-istituzionali in crisi profonda, ma con la lotta per la rottura rivoluzionaria di un sistema marcio e parassitario e la trasformazione del proletariato in classe dominante.
Spetta ai comunisti e agli operai avanzati lottare per caratterizzare in modo avanzato questo processo, compito che otterrà un impulso decisivo organizzandosi quanto prima in Partito indipendente e rivoluzionario del proletariato.
Da “Scintilla” n. 137 (settembre 2023)
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