SULLA LINEA STRATEGICA
Quale via per la
rivoluzione nei paesi imperialisti?
“I comunisti sdegnano di nascondere le loro opinioni e le loro
intenzioni. Dichiarano apertamente che i loro fini possono esser raggiunti
soltanto col rovesciamento violento di tutto l’ordinamento sociale finora
esistente. Le classi dominanti tremino al pensiero d’una rivoluzione comunista.
I proletari non hanno da perdervi che le loro catene. Hanno un mondo da
guadagnare. Proletari di tutti i paesi, unitevi!”.
Con queste indelebili parole Marx ed Engels concludevano il “Manifesto
del Partito comunista”. Ad esse ci richiamiamo per
esporre e propagandare in modo organico le nostre idee su questioni di
strategia rivoluzionaria che ogni sincero comunista deve riconoscere come
essenziali per lottare contro l’imperialismo e per il socialismo.
Lo facciamo proseguendo una dura ed aperta lotta ideologica contro le
correnti che intendono seguire linee strategiche non adatte alle specifiche
condizioni del nostro paese. Senza chiarezza su tali argomenti di vitale
importanza, senza sbarrare il campo a deviazioni di carattere revisionista,
l’intero processo di ricostruzione del partito comunista finirebbe infatti per poggiare su basi fragili e traballanti, con
gravi conseguenze.
Una questione di
fondamentale importanza
L’avanzamento e l’approfondimento della crisi storica del capitalismo italiano fanno sì che la questione della preparazione dell’avanguardia della classe operaia per le grandi battaglie che le masse dovranno affrontare divenga sempre più importante.
Il dovere dei rivoluzionari è fare la rivoluzione. Ma nei dibattiti con altre realtà e con singoli compagni registriamo che il problema della strada da seguire per far trionfare la rivoluzione proletaria e avviare la costruzione del socialismo, invece di assumere il rilievo che gli spetta, giace sotto un cumulo di affermazioni secondarie e di detriti ideologici. C’è addirittura chi pensa che non ci sia bisogno di dibattere la questione della linea strategica, limitandosi a considerazioni tattiche.
La mancanza di chiarezza su questioni di capitale importanza è un sintomo dei ritardi del movimento comunista, dei suoi limiti, delle difficoltà che incontra a lasciarsi alle spalle il lungo predominio ideologico del revisionismo, ad uscire dal letargo passando dalla fase della difesa passiva a quella della resistenza attiva ed offensiva nei confronti della borghesia imperialista. Carenze ancor più gravi se consideriamo che l’imperialismo si dibatte in una crisi strutturale e le sue contraddizioni si acuiscono senza posa, dimostrando assieme alla sua aggressività anche un’intrinseca debolezza.
Certamente si registrano dei passi in avanti rispetto la questione della ricostruzione del partito comunista nel nostro paese: l’opinione che esso sia uno strumento indispensabile si rafforza nella coscienza di molti compagni proletari. Ciò tuttavia non basta. Se si astrae dalle questioni strategiche, dalla questione della strada su cui procedere per raggiungere i nostri scopi, dalla direzione di marcia che deve seguire il nostro lavoro, se si corre dietro alle infatuazioni ed ai luoghi comuni, la cosa più facile è cadere nel pantano dell’opportunismo oppure avventurarsi nel deserto dell’estremismo.
Una delle caratteristiche dei revisionisti è infatti quella di non occuparsi della strategia rivoluzionaria, di negarla facendo sfoggio di tatticismi e capriole di ogni tipo, di mettere al primo posto il “movimento” ed all’ultimo posto “il fine”. Si portano così avanti dibattiti estenuanti sulle questioni parlamentari, sulla necessità dei compromessi per attirare “compagni di strada”, sulla partecipazione a questo o quel sindacato, si riduce la molteplicità delle forme di lotta di classe alla ristrettezza delle lotte elettorali, ed al contempo si evita accuratamente di affrontare la questione della linea strategica. In definitiva così facendo si avalla la “transizione pacifica al socialismo” e si liquidano principi ed obiettivi comunisti.
Questo male affligge anche forze rivoluzionarie che prendono per buone strategie applicate in lontani paesi con condizioni del tutto differenti dalle nostre, le tagliano ed incollano nella formazione socio-economica italiana, presentandole con l’altisonante affermazione del superamento dei limiti intrinseci del movimento comunista.
Una riprova di tali atteggiamenti primitivi ed errati, dell’incapacità a fornire risposte corrette ai difficili problemi della rivoluzione, l’abbiamo avuta pubblicando sul n. 10 della nostra rivista l’articolo “Critica della strategia universale della guerra popolare prolungata”.
In tale articolo abbiamo argomentato l’erroneità della tesi della validità universale della strategia della guerra popolare di lunga durata ed espresso profonde differenze di principio con i sostenitori della tesi della sua adozione nei paesi imperialisti e capitalisti avanzati. Ciò ovviamente richiedeva ulteriori spiegazioni e chiarificazioni dei concetti esposti; qui però c’interessa vedere quali sono stati i riscontri a questo contributo che si occupava di un tema di importanza capitale. Ebbene, sono stati essenzialmente due, a riprova dell’immaturità del movimento comunista e rivoluzionario del nostro paese.
Da una parte, un silenzio tombale di organizzazioni, gruppi e circoli assai loquaci quando si tratta di azzuffarsi intorno ad aspetti secondari ed inaspettatamente laconici su questioni essenziali di pianificazione strategica del lavoro.
Dall’altra, la riproposizione dell’impianto della guerra popolare rivoluzionaria di lunga durata, concepito però in modo assai singolare. Abbiamo infatti notato che i geniali seguaci di Lin Piao, per uscire dal ginepraio in cui si sono ficcati, hanno sfoderato l’arma della critica alla concezione dogmatica della guerra popolare prolungata per giungere alla distinzione fra “leggi generali” e “leggi particolari” specifiche che devono essere cercate in ogni paese.
Tale fittizia distinzione nasce per cercare di aggirare le insuperabili contraddizioni e difficoltà che comporta l’adozione della guerra popolare prolungata nei paesi imperialisti. Dunque che fine fa questa linea? Essi non possono fare altro che utilizzarla come rimbombante “frase rivoluzionaria”, riconoscerla come “orientamento”, accettarne il significato e gli ovvi “principi generali“ (le masse devono prendere il potere, le tre fasi strategiche, la fumosa situazione rivoluzionaria in via di sviluppo, la concatenazione di fattori nazionali ed internazionali), afferrandone alcuni aspetti metodologici, ma non gli elementi materiali, le concrete forme di lotta e di organizzazione con cui si sostanzia.
Si scinde così ancora una volta la teoria dalla pratica, gli elementi tattici da quelli strategici, con il risultato primario di ingannare un certo numero di compagni, e con quello accessorio di invalidare lo stesso Mao (che non ha mai parlato di “leggi generali” e “leggi particolari” riguardo una strategia elaborata in relazione alle caratteristiche specifiche della Cina, ma ha invece distinto con chiarezza la diversità dei compiti dei comunisti dei paesi capitalisti a democrazia borghese dai compiti dei comunisti dei paesi feudali o semifeudali, coloniali o semicoloniali – si veda l’appendice a questo articolo). In realtà, con artifizi del genere si svuota di senso concreto un indirizzo rivoluzionario sorto in particolari condizioni storiche, che ha le sue peculiarità e può essere applicato con successo in alcuni paesi semifeudali e semicoloniali, dipendenti dall’imperialismo (come ad es. in Nepal, all’interno di una lotta popolare che richiede il sostegno di ogni sincero rivoluzionario).
Questa confusione, questo saltare di palo in frasca, questo metodo di procedere con la falsificazione e le capriole teoriche non appartengono ai genuini comunisti. Noi pensiamo che la chiarezza sulla questione della linea strategica sia assolutamente necessaria per tutti coloro che vogliono lottare per il socialismo. Senza lucidità su tale questione non si può pensare di organizzare il proletariato e renderlo cosciente del suo ruolo rivoluzionario; tanto meno si può pretendere di dirigerlo per costruire un nuovo ordinamento sociale, poiché si porterebbe avanti una lotta senza prospettive.
Chiunque giunge alla conclusione che non solo la lotta di classe è inevitabile ma che bisogna rovesciare il potere della borghesia con un metodo rivoluzionario, dovrà anche immancabilmente considerare che l’individuazione della via per giungere a ciò, la via che porta all’instaurazione della dittatura del proletariato.
Non è possibile camminare bendati, senza un orientamento chiaro, senza un piano che permetta il compimento dei propositi socialisti. Chiunque voglia ricostruire un vero partito comunista, chiunque voglia portare avanti un serio confronto, volto alla soluzione di tale compito, deve cimentarsi su tale questione, senza sottrarsi al compito di definire una linea strategica rivoluzionaria, perché il compito stesso dell’edificazione di un partito politico, la sua struttura ed attività, la linea politica seguita, la formazione dei quadri, il programma, sono intimamente legati al cammino da seguire per la trasformazione sociale.
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Quali concezioni
diffondere tra
gli sfruttati e gli oppressi?
Diversamente dai
sostenitori della guerra popolare di lunga durata la linea strategica di marcia
che propagandiamo non fa perno sui contadini poveri, ma vede come protagonista
il proletariato delle metropoli, dell’hinterland e dei centri industriali, che
è l’unica classe conseguentemente rivoluzionaria, forza dirigente e forza
principale della rivoluzione.
Diversamente da
chi sostiene la strategia dell’accerchiamento delle città partendo dalle
campagne, propagandiamo che la rivoluzione ha il suo centro di gravità nelle
città, nelle maggiori concentrazioni operaie e che la sua affermazione in
questi luoghi è, nelle metropoli imperialiste, il presupposto perché la lotta
si estenda e si rafforzi anche nelle campagne ed in tutto il territorio
nazionale.
Diversamente da
chi sostiene che la rivoluzione inizia con la liberazione di territori, la
fondazione di nuovi elementi statali dentro la vecchia società e l’esercizio
del potere rosso in alcune zone liberate, propagandiamo che la costruzione del
nuovo apparato statale non precede bensì segue la presa del potere politico;
pertanto la conquista del potere da parte del proletariato deve essere il
compito fondamentale al quale devono subordinarsi tutti gli altri compiti.
Senza raggiungere tale obiettivo il proletariato non potrà liberarsi
politicamente ed economicamente, non potranno svilupparsi le forme socialiste e
nemmeno ottenere il progresso delle masse.
Diversamente da
chi sostiene che la pratica combattente è la principale forma di lotta del
partito fin dall’inizio, propagandiamo tutta una lunga fase di accumulo e di
preparazione politica delle forze rivoluzionarie, il cui lo scopo fondamentale
è la creazione di un movimento di massa rivoluzionario (e non le azioni isolate
di avanguardie avulse da tutto il sistema della lotta di classe), ed inoltre
sosteniamo che non è possibile organizzare le masse sul terreno della lotta
armata al di fuori da specifiche condizioni storiche
(ad es. il caso della Resistenza).
Diversamente da
chi sostiene una tappa intermedia di rivoluzione democratica (o di nuova
democrazia), propagandiamo la strategia marxista-leninista che in un paese come
l’Italia prevede il passaggio diretto alla dittatura del proletariato, nella
forma della Repubblica dei Consigli, l’espropriazione dei capitalisti, dei
grandi proprietari fondiari, ed il passaggio all’economia socialista.
Diversamente da
chi intende costruire basi rosse per iniziare il cambiamento sociale prima
della presa del potere, propagandiamo la conquista alla causa del socialismo
delle avanguardie reali di lotta, il radicamento nei posti di lavoro e
l’esercizio di una sempre maggiore influenza sui larghi strati della classe
operaia e dei lavoratori sfruttati, la realizzazione di un sistema di alleanze
per conquistare le più larghe masse sulla via socialista, rivoluzionaria,
realmente democratica ed antimperialista.
Diversamente da
chi intende costruire l’esercito popolare come principale organizzazione di
lotta per la conquista del potere, propagandiamo che il principale strumento da
ricostruire è il partito della classe operaia, formato da quadri proletari,
ideologicamente ben saldo sul terreno del marxismo-leninismo, che conquisti
alla propria influenza la maggioranza della classe operaia e le masse povere
della città e della campagna, contribuisca ad elevare la loro coscienza nei
lunghi periodi di lotta relativamente pacifica che si succedono per condurle su
posizioni più avanzate.
Diversamente da
chi sostiene che i partiti comunisti devono clandestinizzarsi
e militarizzarsi indipendentemente dalle situazioni concrete per iniziare e
sviluppare la guerra popolare prolungata, propagandiamo che oggi è fondamentale
avanzare con maggior decisione nella ricostruzione del partito politico della
classe operaia, che prenda il marxismo-leninismo come guida per realizzare le
trasformazioni economiche e sociali che le masse esigono.
Un partito comunista che unisca, organizzi e diriga la lotta della classe operaia e degli altri lavoratori, che si organizzi in cellule nelle fabbriche, nei quartieri, nelle associazioni di massa, che dia vita a scioperi politici ed economici, avanzi rivendicazioni parziali legate agli obiettivi fondamentali, partecipi intensamente alla vita politica utilizzando tutte le possibilità legali e la tribuna parlamentare per conquistare le masse e sviluppare il loro movimento rivoluzionario, combini insieme i diversi tipi e forme di lavoro e di organizzazione richiesti dal processo rivoluzionario, educando il proletariato a non inchinarsi alla legalità borghese ed a non rinchiudersi dentro il recinto imposto dalla classe dominante, realizzando quel “costante assedio alla fortezza nemica” di cui parlava Lenin.