Ancora sul carattere della guerra in Ucraina e sui compiti dei comunisti

Come abbiamo più volte scritto su Scintilla, il contenuto reale della guerra in Ucraina è la lotta fra USA/Nato e Russia per una nuova ripartizione delle sfere d’influenza, per il saccheggio delle materie prime. E’ la continuazione diretta della lotta fra le potenze imperialiste per una nuova spartizione del mondo, un aspetto della lotta per l’egemonia mondiale, che sta cambiando i rapporti di forza e le relazioni a livello internazionale.

La classe che sta portando avanti la guerra da ambo i lati è la borghesia imperialista. Il regime ultrareazionario di Zelensky e il suo esercito sono pedine completamente sottomesse, finanziate, armate e guidate dall’imperialismo USA e dai suoi alleati.

Anche nei paesi che inviano armi e aiuti finanziari, come l’Italia, sono gli interessi della borghesia imperialista a determinare la politica interna ed estera.

La borghesia dei diversi paesi vuole ricavare il massimo dei profitti dalla guerra, vuole partecipare alla spartizione del bottino, vuole scaricare il peso della guerra sulle spalle dei lavoratori.

L’elemento nazionale nella guerra in corso ha ad oggi un’importanza del tutto secondario, marginale e non cambia il carattere imperialistico generale della guerra, e non ha alcuna importanza per determinare la tattica dei comunisti, come invece sostengono i trozkisti, settori maoisti e operaisti.

I comunisti non appoggiano nessun movimento o guerra nazionale che aiuta, consolida e conserva un brigante imperialista (nel caso specifico il più pericolo e aggressivo) contro un altro, invece di servirsi della lotta fra briganti per abbatterli entrambi. Questo perchè consideriamo la questione nazionale come indissolubilmente legata alla questione generale della rivoluzione proletaria, valutando i movimenti nazionali dei popoli oppressi dal punto di vista dei risultati effettivi nel bilancio complessivo della lotta contro l’imperialismo su scala mondiale.

Nell’ambito della sinistra rivoluzionaria molti riconoscono che la guerra attuale è imperialistica, ma questo concetto è spesso deformato o applicato in modo unilaterale.

Non ci riferiamo qui ai socialsciovinisti e agli opportunisti che sostengono apertamente la partecipazione alla guerra sul carro della Nato, ma a posizioni apparentemente “più sofisticate” che la guerra stessa porta alla luce.

Per esempio, vi sono forze opportuniste e revisioniste le quali sostengono che essendo gli USA il nemico principale si dovrebbe sostenere il brigante meno pericoloso, cioè Putin, contro quello più potente.

Secondo quest’argomento, Lenin e i comunisti al tempo della prima guerra mondiale avrebbero dovuto sostenere la Germania imperialista, che era sprovvista di colonie ed era meno potente, contro l’Inghilterra che era più potente e opprimeva un gran numero di nazioni. Ovviamente Lenin e i comunisti di allora non hanno mai seguito questa politica opportunista, ma si servivano della lotta fra briganti per abbatterli tutti.

Un’altra versione di questa posizione si appoggia sulla tesi secondo cui una possibile vittoria della Russia in Ucraina porterebbe alla sconfitta o almeno a un ritiro del blocco USA/Nato. Sono pie illusioni: il proletariato e i popoli oppressi non hanno nulla da guadagnare dalla vittoria dell’uno o dell’altra potenza imperialista. Anche se l’espansione a est della Nato venisse fermata, l’invasione e l’occupazione dell’Ucraina da parte della Russia hanno già causato una tendenza generale al militarismo, alla crescita delle spese militari, alla mobilitazione reazionaria delle masse, in tutti i paesi europei. Allo stesso tempo offre agli USA e al loro strumento politico-militare, la Nato, l’occasione per stringere nuovi legami e adesioni come accaduto per la Svezia e per la Finlandia. Le parole di una vecchia volpe della Nato, l’ammiraglio James Stavridis, sono indicative: “Vladimir Putin può essere la cosa migliore che sia mai accaduta all’alleanza della Nato”.

Infine vi sono coloro che sostengono che la Russia, sebbene sia capitalista, non è ancora imperialista. In questo modo interpretano unilateralmente il concetto di guerra imperialista. Ciò mette in luce l’incomprensione che esiste nella sinistra e nel movimento che si richiama al comunismo della questione dell’imperialismo, che non è concepito secondo i criteri leninisti, ma separando la politica dell’imperialismo dalla sua economia, ignorando cioè l’essenza dell’imperialismo e spargendo illusioni sul multilateralismo, il multipolarismo e il sogno opportunistico di una politica borghese senza conflitti con gli altri briganti per una nuova ripartizione del mondo, senza aggressioni, pacifica (su altre deviazioni antileniniste sorte come reazione all’opportunismo kautskiano torneremo in seguito).

Per noi comunisti e dunque sostenitori dell’internazionalismo proletario non esiste un imperialismo buono e uno cattivo. Non sosteniamo e non ci mettiamo alla coda né dell’una né dell’altra borghesia imperialista. Non vi sono imperialisti buoni, ma entrambe le parti in conflitto sono criminali e brigantesche. Non scegliamo un campo imperialista al posto di un altro, ma il campo della classe operaia e dei popoli oppressi, perciò ci auguriamo e soprattutto lavoriamo per la sconfitta della borghesia imperialista in ogni paese, a cominciare dal nostro.

La posizione secondo cui bisogna appoggiare o non contrastare l’imperialismo “meno aggressivo” è antileninista e contraria agli interessi della classe operaia e dei popoli. I proletari rivoluzionari, coscienti, si rifiutano di compiere una scelta fra imperialisti, di appoggiare un gruppo di briganti per combattere l’altro, di sostenere gli interessi dell’uno o dell’altro, di dar vita a “fronti antimperialisti” con la Russia o con la Cina. Senza dubbio il blocco USA/Nato è l’alleanza imperialista più aggressiva, guerrafondaia e pericolosa esistente e contro di essa concentriamo nel nostro paese la lotta, perché l’Italia imperialista ne è parte integrante. Ma ciò non nega il ruolo obiettivo della Russia e della Cina come potenze imperialiste rivali del blocco euro atlantico. E in quanto tali queste potenze sono nemiche della classe operaia e dei popoli, dei loro interessi e aspirazioni.

Ogni altra posizione è filo imperialista e non ha nulla a che fare con l’internazionalismo proletario, perciò va smascherata e combattuta decisamente.

Tre sono i compiti principali che s’impongono nella situazione attuale.

In primo luogo, lavorare per realizzare il fronte unico di lotta della classe operaia, l’unità di azione che s’incarna in organismi di lotta unitari, avendo come punto di partenza la difesa degli interessi economici e politici immediati della classe operaia (che oggi sono salario e lavoro, ovvero impedire che il peso della guerra sia gettato sulle spalle della classe operaia), la lotta contro la reazione, il fascismo e la politica di guerra della borghesia.

In secondo luogo, favorire lo sviluppo di un ampio movimento di lotta per la pace, contro la guerra imperialista per impedire che la guerra in corso si trasformi in un massacro mondiale.

Ciò significa: lotta contro il militarismo e la corsa al riarmo, contro il coinvolgimento nella guerra e le crescenti spese militari, contro le misure di militarizzazione applicate dai governi, contro i provvedimenti che limitano la libertà di sciopero, di dimostrazione, di stampa, di organizzazione. Occorre appoggiare e organizzare azioni di massa unitarie dei lavoratori, dei sindacati, delle associazioni di massa contro la guerra, prendere parte alle manifestazioni con le nostre parole d’ordine e posizioni per promuovere un più ampio movimento operaio e popolare contro la guerra. Il primo obiettivo del momento è porre fine alla guerra, che significa impedire la prosecuzione della politica di guerra che i capitalisti fanno pagare ai lavoratori. Bisogna legare l’opposizione alla politica di guerra imperialista alla lotta contro le conseguenze di questa politica.

In terzo luogo, ma non è meno importante, sviluppare la lotta ideologica contro lo sciovinismo e il fascismo, per educare gli operai nel nome dell’internazionalismo proletario.

Da Scintilla n. 128 – novembre 2022

 

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