Ancora sul recente vertice NATO, sulla posizione dell’imperialismo italiano e sul movimento di lotta per la pace

Nello scorso numero del giornale abbiamo analizzato le conclusioni del vertice NATO svoltosi a Vilnius, in Lituania, a circa 200 chilometri dalla frontiera russa: una scelta che di per sé ha rappresentato l’ennesimo segnale di intensificazione del conflitto armato in corso.

All’ordine del giorno figuravano la guerra in Ucraina, in cui la NATO è pienamente coinvolta, diretta principalmente contro la Russia e la Cina, quest’ultima non come possibile belligerante, ma in quanto aspirante alla conquista del predominio mondiale.

L’Unione europea vi è comparsa come il convitato di pietra del vertice, con il futuro del suo esercito “complementare e interoperabile” con la NATO relegato negli ultimi paragrafi delle risoluzioni adottate.

La marcia trionfale della NATO, alla cui porta, dopo la Finlandia, ha bussato la Svezia, accolta dopo i mercanteggiamenti del presidente turco per ottenere la ripresa dei negoziati per l’adesione del suo paese all’Unione europea, non sembra al momento trovare ostacoli al suo cammino. Non di sola espansione si tratta, ma anche di sviluppo della infrastruttura militare della NATO, del suo ruolo politico e della sua influenza in diverse regioni del globo.

Corea del Sud, Giappone, Australia e Nuova Zelanda sono i prossimi partner della NATO appartenenti all’area del cosiddetto indo-pacifico. Invitati all’ultimo vertice della NATO a Madrid, sono stati accolti al conclave di Vilnius come partner nella lotta contro la Cina e la Russia sua amica “senza limiti”.

Al segretario generale Jens Stoltenberg è andato il plauso della presidente del consiglio Meloni per i successi ottenuti nell’allargamento dell’organizzazione atlantica, con la conferma per un altro anno della sua permanenza alla testa dell’organizzazione, segno che è già iniziato il mercanteggiamento per la scelta della canaglia che dovrebbe rappresentare la conciliazione degli interessi dei singoli imperialismi occidentali.

L’espansione di questa alleanza politico-militare occidentale procede nel segno preconizzato dalla presidente del consiglio di “un futuro euro-atlantico per la nazione aggredita” ucraina, che presto o tardi si avvererà.

Meloni, in “prima fila” nel sostenere l’ingresso di Kiev nella NATO, ha reclamato, all’unisono con i suoi soci imperialisti, “adeguate garanzie di sicurezza per l’Ucraina“. La posizione degli statunitensi contrari all’ingresso immediato dell’Ucraina non è affatto un “arretramento”, ma guarda al tornaconto dell’imperialismo statunitense, che non è interessato al momento ad avventurarsi in una guerra aperta e diretta con la Russia, soprattutto perché il suo “nemico strategico” dichiarato è la Cina.

Difatti, il capo dell’imperialismo americano Joe Biden ha annunciato una nuova fornitura di armi all’Ucraina, comprese le bombe a grappolo, avanzando, tra tutti gli “argomenti”, anche quello che non vengono forniti abbastanza proiettili all’Ucraina. Biden, che si spertica nella lode dei “valori” e dell’“etica” statunitense e batte la grancassa della “lotta per la democrazia”, alimenta da parte sua una guerra da cui ricava numerosi vantaggi, anche nei confronti degli alleati europei messi sotto stretto controllo e danneggiati dal punto di vista dei rifornimenti energetici.

L’annuncio della distruzione delle scorte di armi chimiche statunitensi dello scorso 7 di luglio, sottolinea solo il cinismo degli imperialisti statunitensi. I loro alleati europei, che hanno firmato la Convenzione internazionale di Oslo del 2008, che vieta queste armi, sono cauti nel criticarli: sono da essi troppo dipendenti.

D’altronde né gli Stati Uniti, né la Russia, né la Cina, l’India e l’Ucraina hanno firmato questa convenzione, dimostrando, se ci fosse bisogno di prove, l’ineliminabile natura aggressiva dell’imperialismo.

E la presidente del consiglio italiana non ha fatto mancare tutta la propria comprensione per gli argomenti addotti dal più potente degli imperialismi occidentali, che nel comunicato finale del vertice di Vilnius ha tenuto a rimarcare che “finché esisteranno le armi nucleari la NATO rimarrà una alleanza nucleare” e, per maggiore chiarezza, che “le forze strategiche nucleari della Alleanza, particolarmente quelle degli Stati Uniti, sono la suprema garanzia della sicurezza dell’Alleanza”.

Ma quel che più preme, è la comprensione della posizione dell’imperialismo italiano nel quadro dell’alleanza atlantica.

Lo spostamento del baricentro dell’alleanza verso l’Europa nordorientale, accentuatosi con la guerra ucraina, non asseconda le ambizioni dell’imperialismo italiano ad est.

La premier, che non vuole farne un fatto di numeri, ma un punto d’onore, ha dichiaratoLo dico da Presidente del consiglio dei ministri di una Nazione che con i suoi quasi 3.000 uomini è il principale contributore in termini di presenza nelle missioni di pace, nelle missioni dell’Alleanza Atlantica all’estero e credo che questo vada riconosciuto.”

Meloni si picca di poter assicurare la “sicurezza del vicinato meridionale della NATO” così “essenziale per la sicurezza dell’Alleanza”. Ella è l’araldo dell’alleanza atlantica in Italia e non si è fatta scrupolo di accettare gli inviti da parte dell’incendiario Joe Biden a Washington, dove ha trovato benevolenza per il “Piano Mattei” in Africa, a patto di rinunciare al memorandum sulla Via della seta cinese.

Il malumore contro una cosiddetta sottorappresentazione dell’Italia nell’organizzazione atlantica, che irrita la borghesia italiana, si traduce nella messa a disposizione degli USA e della NATO dell’intero apparato militare e diplomatico nazionale nella speranza di ricavare tornaconti.

Tuttavia, ristrettezze finanziarie, stagnazione economica, seri limiti per il bellicismo governativo di far presa sulle masse lavoratrici, nonché la difficoltà di spacciare per un presunto “costo della libertà” la soglia del 2% del PIL da impegnare nel bilancio militare, si sommano originando ostacoli anche per un governo che fa dell’amplificazione di un clima di pericolo proveniente dall’esterno un aspetto chiave della sua demagogia sciovinista.

D’altra parte, la borghesia italiana non è ancora riuscita in quella controriforma costituzionale che rafforzi il potere esecutivo, creando una via agevole per imporre le sue velleità di media potenza imperialista.

La guerra ucraina ha accelerato la tendenza verso un riarmo in tutti gli stati: all’aumento sproporzionato delle spese militari fa seguito la diminuzione delle spese sociali e sanitarie, peggiorando la situazione delle grandi masse.

Ora nella pubblicistica borghese si parla con una certa insistenza della necessità di passare ad una “economia di guerra”, dichiarando l’insufficienza della soglia raggiunta dai bilanci statali nella spesa militare, e considerando sempre più la soglia del 2% come un punto di partenza piuttosto che un punto d’arrivo.

In questa situazione, “fermare la guerra in Ucraina”, “cessare il fuoco ora”, “no alla fornitura di armi,” “fuori l’Italia dalla NATO”, sono parole d’ordine che stanno guadagnando sempre più terreno nella coscienza delle masse le quali comprendono che questa guerra è inconciliabile con i loro bisogni più elementari.

Sono richieste senza precondizioni: queste ultime servirebbero solo a giustificare una guerra “senza fine”, di cui i popoli sono le vittime.

Dal nostro punto di vista la guerra in Ucraina è frutto degli antagonismi imperialistici. Notoriamente esistono punti di vista diversi e contraddittori sulla natura di questa guerra, sulle responsabilità del suo scoppio e sugli obiettivi perseguiti da coloro che sono direttamente o indirettamente coinvolti in essa. Ogni persona dotata di raziocinio dovrebbe tuttavia riconoscere che la situazione attuale non è più quella del febbraio 2022, quando l’imperialismo russo ha invaso l’Ucraina.

Un “ritorno indietro” non è possibile. Di conseguenza, il ritiro delle truppe russe, l’arresto dell’espansione della NATO e la cessazione del sostegno militare della NATO all’Ucraina non possono essere i presupposti per un “cessate il fuoco”.

Il concetto stesso di “vittoria” militare di una delle parti in conflitto (concetto fatto proprio dal governo italiano che “scommette” sulla vittoria ucraina) significa impedire l’immediata cessazione dei combattimenti, bloccare ’avvio di qualsiasi negoziato, e preparare, nella migliore delle ipotesi, una nuova guerra di “rivincita”.

Nel rivendicare l’immediato armistizio senza precondizioni, al fine di intavolare negoziati di pace, bisogna intendere due aspetti della questione.

Da un lato, che l’atteggiamento della classe operaia e della masse popolari nei confronti della guerra e della pace non può essere determinato dai tornaconti militari, tattici o strategici, dei paesi belligeranti, ma dai propri esclusivi interessi, nei quali rientra la solidarietà internazionalista con gli sfruttati e gli oppressi degli altri paesi.

Dall’altro, che non si può lasciare ai governi dei paesi imperialisti e capitalisti la libertà di dettare i negoziati di pace, così come essi hanno imposto una guerra reazionaria senza tenere in alcun conto i lavoratori e popoli, perché la loro pace seminerà i germi di nuovi conflitti.

In realtà il regime capitalista-imperialista è totalmente incapace di assicurare una pace giusta e duratura, essendo fonte permanente di guerre ingiuste, di rapina, reazionarie.

Il punto cruciale resta dunque l’azione di lotta per la pace delle grandi masse lavoratrici, delle forze progressiste democratiche ed antimperialiste, unite in un ampio movimento organizzato per la fine della guerra, per la pace e la solidarietà tra i popoli.

Il compito fondamentale è oggi sviluppare questo movimento nel nostro paese, lottando contro il “nostro” governo e la classe degli sfruttatori che lo sostiene traendo profitti dalla guerra, contro l’istigazione sciovinista che vuole far coincidere gli interessi dei lavoratori con i cosiddetti interessi nazionali.

Solo un tale movimento diventando un fattore decisivo nella vita politica potrà essere d’aiuto alle forze che in Ucraina, in Russia e altrove si oppongono alla politica di guerra dei governanti di questi paesi.

Solo un tale movimento riuscirà ad accelerare la fine della guerra e ad esercitare la propria influenza sulle condizioni della pace.

Questi dovrebbero essere i principi dell’azione di tutte le forze che condividono l’obiettivo fondamentale di porre fine alla guerra in Ucraina.

6 agosto 2023 (78° anniversario del lancio della bomba atomica su Hiroshima da parte dell’imperialismo USA)

Piattaforma Comunista – per il Partito Comunista del Proletariato d’Italia

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