Banditismo politico e demagogia sociale
A un anno dal suo insediamento, le difficoltà del governo Meloni, e con esso della borghesia italiana che ne ha favorito l’ascesa, non si attenuano ma si aggravano.
La situazione economica, che negli scorsi mesi veniva dipinta rosea, vede un PIL in calo, con industria e agricoltura in recessione e una nuova ondata di licenziamenti e cassa integrazione.
Da un quarto di secolo l’imperialismo italiano non cresce oltre il 2% del PIL. La produttività è stagnante (0,3% annuo medio). La produzione industriale italiana è ancora di 20 punti inferiore a quella del 2008. Sono segni di profondo declino.
In questo quadro l’inflazione è risalita al 7,6% (i prezzi dei prodotti di consumo operaio sono aumentati di oltre il 10%) e il debito pubblico è arrivato a tremila miliardi, nuovo record. Il rialzo dei tassi di interesse e dello spread rendono critici i conti finanziari dello stato, che vengono fatti ricadere pesantemente sulle masse.
Le statistiche ufficiali certificano la disoccupazione a circa l’8% e quella giovanile al 20% (vi sono 1,6 milioni di giovani che non studiano e non lavorano). Ma tali statistiche non sono realistiche, perché il confine tra disoccupati e l’immensa marea dei sottoccupati e precari è labile.
I salari sono al palo e la povertà è in crescita fra i lavoratori. Quella assoluta colpisce oltre 5,6 milioni di persone (quasi il 10% della popolazione). Sono 4 milioni i proletari che hanno rinunciato a prestazioni sanitarie ritenute necessarie.
Alla frenata economica si accompagnano altri fattori negativi per il governo: il perdurare della guerra in Ucraina con i problemi energetici connessi, le più stringenti condizioni poste dalla UE con il ritorno del Patto di stabilità, le conseguenze della cancellazione dell’accordo sulla Via della seta cinese, il fracasso della politica migratoria, i conflitti con la magistratura, e soprattutto la tendenza allo sviluppo delle lotte operaie, studentesche e popolari che cominciano a rivolgersi contro un governo servo dei padroni.
Il governo non ha le condizioni per mantenere le promesse elettorali per i ceti medi e le corporazioni. Ha gonfiato artificiosamente deficit e Pil per creare i margini di una manovra economica diretta contro i lavoratori, i pensionati, i giovani, di riduzione della spesa pubblica e di aumento delle ingiustizie sociali.
Di conseguenza, comincia a perdere lo scarso consenso di cui gode (i partiti che lo sorreggono rappresentano solo il 27% dell’elettorato e il partito della Meloni ha un consenso reale di appena il 16%). Mentre sul piano dei rapporti internazionali il governo è costretto a tenere dietro ai mutamenti di interesse delle potenze più forti, le divergenze fra Fratelli d’Italia e Lega si accentuano con l’approssimarsi delle elezioni europee che richiedono maggiore demagogismo.
Quale traiettoria seguirà il governo di fronte a queste difficoltà economiche e politiche? Per capirlo occorre tenere a mente due sue caratteristiche.
In primo luogo, il governo Meloni non è un governo della piccola borghesia, ma un governo del grande capitale, organico ai principali monopoli italiani (Eni, Enel, Leonardo, Stellantis, Terna, Poste, Generali, le grandi banche…).
In secondo luogo, questo governo non è il prodotto della consueta alternanza politica fra centro-sinistra e centro-destra borghesi, ma si è formato in una fase caratterizzata dalla guerra imperialista e da una profonda svolta reazionaria sul piano interno, impressa dai gruppi più imperialisti e bellicisti del grande capitale. Una svolta diretta principalmente contro la classe operaia, le sue condizioni di vita e di lavoro, le sue libertà.
È dunque pensabile che il governo Meloni in difficoltà possa “fare la sua parte” a favore dei lavoratori, come vanno cianciando i riformisti, la burocrazia sindacale, l’aristocrazia operaia che celano la natura di strumento dei circoli finanziari-industriali di questo esecutivo?
No, questo governo più andrà in crisi e più accentuerà tutti i suoi tratti reazionari, bellicisti banditeschi, portando avanti una politica antioperaia, guerrafondaia, securitaria e razzista, a favore dei monopoli, dei ricchi, dei parassiti sociali, delle mafie.
Più arrancherà e più attaccherà salario e servizi sociali, pensioni e sussidi, sfruttando i sentimenti di insicurezza di vasti strati sociali e deviando la loro attenzione dalla causa di tale insicurezza: il capitalismo.
Più affonderà e più attaccherà le organizzazioni di lotta della classe operaia, cercherà di sopprimere le libertà di sciopero e di manifestazione, si lancerà in nuove avventure militari sotto l’egida USA/Nato, militarizzerà la società per consolidare le retrovie imperialiste, reprimerà i movimenti di opposizione reale al sistema.
Questo mentre compra l’acquiescenza della macchina burocratica con la promessa della sua irresponsabilità nei confronti del popolo e fa dei decreti-legge la forma corrente di esercizio del potere, con buona pace della “democrazia parlamentare”.
L’offensiva governativa è sistematicamente accompagnata dallo sciovinismo e dalla demagogia populista (esaltazione delle presunte “radici etniche” italiane, concezione idealistica della “comunità nazionale”), dalla creazione di false emergenze nazionali (la “sostituzione etnica”).
Prosegue l’attacco ideologico che mira a falsificare la storia, infangare l’antifascismo ed esaltare le pulsioni più torbide della piccola borghesia.
Assieme agli assalti ai nostri interessi e diritti, ai continui tentativi di divisione di classe, si intensifica la demagogia sociale. Dato il malcontento generale delle masse, Meloni e soci devono scongiurare che gli strati oscillanti della piccola borghesia siano attratti dal movimento proletario di protesta contro gli effetti dell’ordinamento sociale esistente.
Il loro compito è mantenere questi strati con ingannevoli sotterfugi sotto il dominio della grande borghesia.
Perciò propinano fobie, slogan e mezze misure falsamente “anticapitaliste” come il bluff dell’imposta straordinaria sugli extra profitti bancari.
La stessa demagogia, unita al velleitarismo da “grande potenza”, viene utilizzata in politica estera, come nel caso della “cooperazione” con l’Africa che verrebbe realizzata attraverso il neo-colonialista “Piano Mattei”. Ma ciò non è altro che la classica foglia di fico per coprire i famelici interessi dei monopoli dell’imperialismo italiano, pronti a sostenere regimi dispotici.
Dietro tali maschere, la politica governativa sarà sempre più al servizio della concentrazione e del rafforzamento delle posizioni del capitale finanziario italiano, impegnato in una lotta per i mercati, le materie prime, le sfere di influenza in Europa e Africa, nell’area del “Mediterraneo allargato”, fino all’Indo-Pacifico.
Nessuna illusione va nutrita sul governo Meloni e sul ruolo dei riformisti che di fatto lo sorreggono con la loro politica balbettante, ipocrita e divisionista.
La parola è alla lotta e all’unità di classe, la chiave per cambiare i rapporti di forza è nelle mani della classe operaia!
Nella situazione attuale, la questione del fronte unico proletario, la costruzione della più ampia unità di azione della classe – soprattutto nelle fabbriche e nei sindacati – contro l’offensiva capitalista, la reazione politica e la politica di guerra, sulla base di rivendicazioni parziali che esprimano le esigenze vitali e urgenti della classe operaia, è la sola via per difendersi e avanzare.
Uniamo la lotta per il salario, per il lavoro, per i servizi sociali a quella per la pace, inquadrando entrambe nella prospettiva della rivoluzione socialista. Promuoviamo la formazione di comitati di lotta unitari, di consigli e coordinamenti, come organismi di fronte unico dal basso.
Diamo impulso alla mobilitazione di massa e allo sciopero generale per far cadere il governo Meloni nelle fabbriche e nelle piazze. Sarà questo un passaggio importante per far maturare nelle masse proletarie la coscienza della lotta per la rottura rivoluzionaria con il marcio sistema capitalista-imperialista e l’edificazione della società dei lavoratori.
Da Scintilla n. 138 – ottobre 2023
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