La “via maestra” è il fronte unico di classe!

La CGIL cerca di uscire dal guado in cui è entrata con l’inizio della guerra in Ucraina, che ha disarticolato il “patto di fabbrica”, e con l’avvento del governo Meloni, che ha seppellito la concertazione, attraverso la ripresa di una mobilitazione che vedrà il 7 ottobre a Roma una manifestazione nazionale inserita in un “percorso europeo” delineato dalla CES.
Ha perciò presentato un documento con priorità e obiettivi da rivolgere a governo e padroni, sottoscritto anche dalle associazioni della società civile che parteciperanno a questa scadenza.
Le rivendicazioni inserite nel documento riflettono in parte le esigenze dei lavoratori e dei pensionati (ma vi sono anche rivendicazioni tipicamente confindustriali, come l’Agenzia dello Sviluppo).
Esse però costituiscono un mare magnum così ampio in cui che le richieste più stringenti e attuali, come aumenti salariali, precarietà e uscite a 62 anni per la pensione, si disperdono. Su salari e pensioni il detto “meglio tardi che mai” non vale.
La mobilitazione non è solo in ritardo di anni, ma la modalità con cui è stata ed è affrontata, ossia i rinnovi contrattuali e la concertazione sul taglio del cuneo fiscale, è del tutto sbagliata.
Da tempo la necessità di una vera lotta di massa sui salari sottoposti ad una pesante erosione del potere d’acquisto a causa del pesante ritorno inflazionistico si è fatta pressante. Interessando l’intera classe sfruttata doveva imporsi da subito come mobilitazione generale, accompagnata da scioperi generali, senza aspettare i tempi e le modalità dei rinnovi e quelli della legge finanziaria.
Tempo diluiti e rivendicazioni insufficienti (nemmeno la patrimoniale!) che hanno fatto il paio con un’ottica di tipo riformistica, segnata dai vincoli e dalle compatibilità con le esigenze del mantenimento dei profitti, oltre che dai vincoli del bilancio statale. In una parola a partire dall’orizzonte del mantenimento a tutti i costi del sistema capitalista.
Adesso che è ben chiaro a tutti che soldi ci sono solo per le spese militari, il voler mantenere una mobilitazione entro i limiti di una concertazione ormai morta e seppellita ha il sapore di una beffa.
Un cenno a parte merita la rivendicazione dell’applicazione della Costituzione menzionata come ultimo punto nel documento.
Non solo è la cartina di tornasole del carattere puramente riformista della politica sindacale CGIL, ma segnala pesanti contraddizioni: in che modo la CGIL intende applicare l’art. 11 (“L’Italia ripudia la guerra …”) se non ha mosso un dito contro l’invio di armi, mezzi e fondi per la guerra in Ucraina a cui si è associata senza remore?
Ricordiamo che i capi della CGIL non hanno voluto dar vita nel corso di quest’anno a nessuna manifestazione nazionale dei lavoratori contro la guerra, neppure di fronte all’escalation in corso, ma hanno preferito relazionarsi in modo subalterno con il Vaticano (la famosa udienza papale) e il mondo cattolico.
Nel mentre esprimiamo la nostra dura critica sull’operato di Landini e dei dirigenti della Confederazione, in un’ottica di fronte unico proletario dobbiamo stare all’interno delle mobilitazioni di massa, nonostante i loro limiti, per non lasciare i lavoratori sfruttati in balia dei collaborazionisti e accrescere la nostra influenza su di essi.
Lo sfruttamento, la povertà dei lavoratori e le ingiustizie sociali aumentano, la rabbia operaia e proletaria sta salendo dirigendosi contro l’intero sistema borghese.
I capi sindacali la temono e cercano di gestirla e indirizzarla per i loro scopi, per ottenere il tavolo di confronto con un governo che fa orecchie da mercante e salvare la baracca.
È necessario che i comunisti e gli operai avanzati partecipino alle assemblee usufruendo della possibilità di prendere la parola, ponendo le questioni di fondo: linea di lotta di classe o ripresa della concertazione? Fronte unico proletario o interclassismo?
L’obiettivo è aprire contraddizioni fra i lavoratori sfruttati e la burocrazia sindacale, rafforzare l’opposizione interna alla CGIL su basi classiste, cercando di spingerla all’unità di lotta con il sindacalismo conflittuale, favorire la costruzione di comitati unitari di lotta, coordinamenti, assemblee di delegati, per aprire una stagione di mobilitazione di massa e dare vita ad uno sciopero generale che vada al di là degli obiettivi del vertice sindacale e travalichi gli angusti limiti posti da un ormai antistorico riformismo.
Da “Scintilla” n. 137 (settembre 2023)
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