Lenin e il materialismo militante

Lenin e il materialismo militante

Con “Materialismo ed empiriocriticismo” Lenin dà battaglia all’interno del POSDR contro i seguaci russi  dei tedeschi Mach e Avenarius, che tendendo principalmente a destra, ma anche all’estrema sinistra, durante gli anni della reazione zarista si ponevano in nome della “difesa e del miglioramento del marxismo” in netta antitesi con la filosofia marxista, riprendendo le posizioni della filosofia soggettivista e idealista di Berkley e Hume.

Il testo di cui ci occupiamo è per costoro (e per gli intellettuali borghesi di tutte le risme) una sorta di “libro maledetto”. Fu tradotto in Italia nel 1953 e nelle edizioni successive vi fu il tentativo di sminuirlo (come ha fatto Luciano Gruppi che ha contrapposto a quest’opera il Lenin dei “Quaderni Filosofici”). In Italia non è mai stato preso come testo di riferimento per l’ideologia proletaria.

I

Scritto nel 1908 e pubblicato nel 1909, “Materialismo ed empiriocriticismo” contiene in modo approfondito tutte le tesi del materialismo dialettico con riferimento all’Engels dell’Antiduring e al Feuerbach (la Dialettica della natura non era a quel tempo disponibile) e al Dietzgen dell’Essenza del lavoro mentale, del quale tuttavia viene rilevata un’esposizione talora imprecisa. Le tesi vengono difese in modo ampio ed argomentato, con tutta la forza intellettuale della quale il grande rivoluzionario disponeva, opponendole all’idealismo in tutte le sue varianti, ma prendendo direttamente di mira la variante empiriocriticista allora in voga, della quale vengono analizzate posizioni e conseguenze prendendo in considerazione tutta la letteratura annessa.

Perché Lenin fa questo? Nel duro periodo successivo alla rivoluzione del 1905, in cui le contrade russe si riempivano di forche ed ogni luogo di prigionia di rivoluzionari, un consistente numero di intellettuali del partito (principalmente Bogdanov, ma anche Bazarov, Velentinov, Iusckevic ed altri, compreso Lunaciarski, l’unico che tornerà al bolscevismo), con la pretesa di ‘approfondire’ e ‘correggere’ alcuni presupposti ideologici del marxismo al fine di ‘difenderlo’ e ‘svilupparlo’, aderiscono alla menzionata corrente filosofica che considerava invecchiata la contrapposizione tra materialismo ed idealismo. Al contrario Lenin dimostra che essa non conciliava affatto i due campi della filosofia, che già questo sarebbe stato sufficiente argomento di critica, ma propendeva in modo inequivocabile per l’idealismo nelle sue varianti.

Non si trattava solo di una disputa ideologica. La posta era politica. E non solo e non tanto per l’ampia pubblicistica prodotta o in via di produzione degli empiriocriticisti russi, quanto per il cambiamento di linea del partito, che gli uni volevano traghettare verso la completa legalità e la democrazia borghese, mentre altri (Lunaciarski) volevano trasformarlo in una setta strettamente clandestina inevitabilmente staccata dalle masse. In ogni caso un abbandono dello spirito rivoluzionario del marxismo che, se non adeguatamente contrastato e combattuto, avrebbe compromesso la funzione del partito volta a guidare le masse nel processo rivoluzionario di cui in Russia – e non solo – esistevano tutte le condizioni.

Il motivo implicito per la decisione di Lenin di occuparsi della difesa del materialismo, ossia del primato dell’essere (della materia) sul pensiero, quindi del fatto fondamentale messo in particolare evidenza dalle scienze naturali, ma con profondi risvolti nelle scienze sociali, che il pensiero riflette le leggi oggettive della materia, è la lotta al soggettivismo in politica.

Se dovesse essere invertita la tesi secondo cui l’essere sociale determina la coscienza, se si dovesse quindi partire dalla coscienza per plasmare la realtà sociale, per ‘costruirne la verità’, si tornerebbe diritti per vie già percorse e contrastate con forza da Marx ed Engels, tipo la costruzione dei sistemi sociali dei socialisti utopisti, oggetto di critica nell’Antiduring.

Non solo, ma verrebbe avvalorata la tesi che del reale esisterebbero diversi modelli interpretativi a seconda delle diverse scuole di pensiero, inconfutabili tra di loro. Per fare un esempio calzante nel campo dell’economia politica la teoria del valore (che in Marx diventa teoria dello sfruttamento), dell’utilità marginale, dei fattori di produzione sarebbero sullo stesso piano, quali modelli utilitaristici prodotti dal pensiero ugualmente validi a rappresentare la realtà sociale.

Sul piano strettamente politico dei nostri tempi ne deriverebbe che la teoria dell’ ‘operaio-massa’ e dell’ ‘operaio-sociale’, quindi l’annessa confusione tra produzione di plusvalore e suo consumo che ne consegue, sarebbero inconfutabili perché prodotte da teorie differenti, ciascuna che si costruisce il suo modello di realtà. Ovvio anche che il terreno della verifica pratica della realtà artificialmente costruita non ha senso.

Tornando a Lenin il motivo principale per la compilazione di un’opera vasta e completa quale è “Materialismo ed empiriociticismo” poggia sulla necessità di porre fine alla disputa. Non solo perché ci sono questioni più stringenti da affrontare, ma anche perché l’unità politica non può non basarsi su una linea politica che poggia sul reale (“analisi concreta della situazione concreta”), che presuppone l’unità ideologia sulla base materialista. In una lettera a Gorki, Lenin scrive:

“Ostacolare l’opera svolta ad attuare nel partito la tattica della socialdemocrazia rivoluzionaria per dispute sulla superiorità del materialismo o del machismo (ovvero dell’empiriocriticismo, n.d.r.)  sarebbe … un’inammissibile sciocchezza” (Materialismo ed empiriocriticismo, Editori Riuniti, 1973 – in seguito le citazioni saranno tratte dallo stesso testo)

II

Per evitare dispute divisive e disorientanti bisognava perciò andare fino in fondo contrastando alla radice gli argomenti di Bogdanov e soci, che non si limitavano a ‘correggere’ e ‘interpretare’ Marx qua e là, inaugurando la tendenza a staccarlo da Engels propria del revisionismo moderno e dell’opportunismo, ma si inserivano in un intero sistema filosofico che trattava in generale dei rapporti tra materia e pensiero, sia nelle scienze naturali che in quelle sociali.

La corrente empiriocriticista, con principali esponenti Mach e Avenarius, alla quale gli opportunisti russi ammiccano, in estrema sintesi pone la sensazione  e non la materia come “primo dato”. Equipara per questa via materia e pensiero negando la teoria del riflesso, ossia il fatto che il pensiero riflette la materia, dato primordiale.

Combattendo queste posizioni, Lenin dimostra che mettendo il pensiero sullo stesso piano del dato primordiale (che è all’origine del tutto) si apre la via per il ricongiungimento a questa o quella corrente dell’idealismo, ossia alla concezione del pensiero come dato primario e l’essere che esso ‘crea’ o ‘determina’ come dato secondario.

Lenin espone di conseguenza le tesi della teoria della conoscenza del materialismo dialettico:

  1. a) Le cose esistono obiettivamente, indipendentemente dalla nostra coscienza;
  2. b) Fra il fenomeno e la “cosa in sé” non c’è nessuna differenza di principio, ma solo una differenza fra ciò che è conosciuto e ciò che ancora non lo è;
  3. c) Nella teoria della conoscenza lo sviluppo si svolge dall’ignorare al conoscere, dalla conoscenza parziale ed imprecisa a quella sempre più completa e precisa. Ciò va a riaffermare le illimitate prospettive di sviluppo delle scienze naturali, contro l’idealismo fisico.

Ma perché Bogdanov e soci sentivano la necessità di correggere Marx fino a travisarne i fondamenti materialistici del suo pensiero e della sua opera?

In primo luogo per l’insufficienza del materialismo meccanicista che, pur ponendo la materia come oggettiva e primordiale, la interpreta in modo meccanico, così come meccanici sono i movimenti del vecchio orologio. Un materialismo che vede la realtà oggettiva sempre uguale a se stessa, immobile, priva di vita. È ben vero che la realtà è quella che è, ma il modo di arrivare alla sua conoscenza, quindi di renderla da “realtà in sé” a “realtà per noi”, è un processo storicamente dato, non automatico, con possibili errori di percorso. Inoltre la materia fisica e sociale è vasta, ricca, inesauribile, per cui possiamo solo parlare di gradi di conoscenza, perché rimangono sempre livelli inesplorati.

Marx nelle scienze sociali ed Engels in quelle naturali mettono perfettamente a fuoco questo duplice carattere, storico e limitato, della conoscenza formulando il materialismo dialettico.

Lo fanno sostituendo il carattere meccanicista del materialismo dei secoli passati, che è continuato per tutto l’800 (un carattere che ne è il lato debole, in quanto non consono a rappresentare la materia che via via si scopre avere una vita interna contraddittoria) con la caratterizzazione dialettica, ossia un modo elastico e multilaterale di vedere le cose, le cui prime formulazioni si rintracciano già in filosofi presocratici, come Eraclito, e che passa per Hegel.

In secondo luogo per la crisi della fisica di fine ‘800, che Lenin indaga a fondo, con le nuove scoperte che sul piano dell’elettromagnetismo e sulla luce, dell’atomismo che da ipotesi diventa realtà, della scoperta della conservazione dell’energia nelle trasformazioni materiali (ma anche della teoria della relatività e della meccanica quantistica che prendono corpo mentre Lenin scrive) che rendono le leggi della meccanica classica inadatte ad interpretare fino in fondo i dati sperimentali derivanti dall’indagine dell’infinitamente piccolo.

Queste nuove acquisizioni permettevano un ritorno in auge dell’idealismo – nello specifico della fisica emergeva l’energetismo, per cui tutto si riduce all’evanescente energia – nel suo facile obiettivo di gettare alle ortiche la meccanica classica ed il materialismo meccanicista nel campo della metafisica, accostandolo cioè ad una sorta di “religione laica” e, nello specifico russo, di mettere fuori combattimento Plekhanov, criticato anche da Lenin che pur gli riconosceva il merito di aver introdotto il marxismo in Russia.

Bogdanov e soci si lasciano ammaliare dai nuovi concetti quali ‘complessi di sensazioni’, ‘elementi’, ‘coordinazione dell’esperienza’ ed altri usati dall’empiriocriticismo che Lenin smaschera nella loro inconsistenza e strumentalità tese a nascondere il carattere idealista di questo nuova branca filosofica allora di moda, agevolato in ciò dagli elogi di Mach e Avenarius da parte dei cattedratici apertamente idealisti di ogni dove.

Movimento come modo di esistenza della materia, inesauribilità delle forme e dei livelli materiali, trasformazioni reciproche tra le forme materiali, teoria del riflesso, rapporto di causalità sono altrettanti cavalli di battaglia che Lenin, anche rifacendosi a Engels e Dietzgen, cavalca con maestria nel campo delle scienze naturali nel ribadire, qualificare ed approfondire il materialismo dialettico.

III

Lenin lascia alla parte finale dell’opera la difesa del materialismo storico. Perché è qui, prima delle conclusioni, che si rintraccia la polemica politica col gruppo degli empiriocriticisti russi.

La difesa del materialismo storico è la difesa diretta del metodo di Marx, ciò che sta a fondamento del carattere rivoluzionario della sua opera, delle sue tesi e della sua attività rivoluzionaria che egli derivò dallo studio del modo di produzione capitalistico e dall’analisi delle sue contraddizioni in cui si rintracciava nella classe operaia il soggetto la cui lotta rivoluzionaria avrebbe fatto da levatrice al socialismo.

Di conseguenza chi nega o avversa tutto ciò negando il carattere oggettivo della realtà sociale, riconducendosi alla visione idealista del mondo, è giustamente tacciato da reazionario, sia esso filosofo o politico, fuori o dentro il partito.

Di grande rilievo, una volta stabilito che l’ideologia e il metodo sono gli stessi, è l’accostamento tra scienze naturali e scienze sociali. Materia e pensiero sono adesso essere e coscienza sociali.

Nel riassumere il fondamento materialista del metodo di Marx, Lenin scrive:

“la coscienza sociale riflette l’essere sociale: ecco in che consiste la dottrina di Marx. L’immagine può essere una copia approssimativamente esatta dell’oggetto riflesso …(quindi, n.d.r.) è assurdo parlare … d’identità” (pag. 318).

Con l’identità può essere che la coscienza plasmi l’essere. Diversi pensieri e teorie sono allora ugualmente validi. La strada per l’affossamento del marxismo dentro e fuori del movimento operaio, come già indicato, è aperta. Perciò:

“… dietro … l’empiriocriticismo non si può non vedere la lotta dei partiti in filosofia, lotta che in ultima analisi esprime le tendenze e l’ideologia delle classi nemiche …” (Pag. 352).

E appoggia questa tesi con un esempio calzante che si riferisce ad un certo compagno Suvorov che nei “Saggi intorno alla filosofia del marxismo” (dove sono raccolti articoli degli empiriocriticisti russi) scrive:

“La lotta delle classi sociali è diretta a stabilire forme di equilibrio tra le forze sociali”.

Ciò permette a Lenin di concludere, con esplicito riferimento a Bogdanov e soci: “… la gnoseologia (cioè la teoria della conoscenza, n.d.r.) reazionaria è indissolubilmente legata ai tentativi reazionari in sociologia” (pag. 330).

Ossia conciliazione tra le classi al posto della lotta di classe, riforme al posto della rivoluzione.

In conclusione, “Materialismo ed empiriocriticismo” è un testo fondamentale di Lenin che generalizzando materialisticamente tutte le più importanti conquiste scientifiche di un intero periodo storico, difende e rafforza le basi teoriche del marxismo rivoluzionario – il materialismo dialettico e storico –  e del partito comunista. La progressiva conoscenza e assimilazione dei principi del materialismo dialettico e storico, quindi del metodo di indagine del reale che permette di acquisire ed affinare capacità critiche particolarmente utili nella teoria e nella pratica, è perciò un dovere di ogni militante comunista.

Di fronte all’attacco al materialismo e all’ignoranza del metodo dialettico marxista, alla diffusione di sempre nuove varianti dell’idealismo, al rifiuto di riconoscere il carattere obiettivo della materia, e nel campo delle scienze sociali alla negazione dell’operare della legge del valore e dello sfruttamento, quindi dell’esistenza delle classi e della lotta di classe, si comprende l’importanza del recupero e dell’utilizzo del materialismo dialettico e storico, di cui “Materialismo ed empiriocriticismo” è un classico fondamentale, quale strumento di lotta contro il dominio borghese nel campo dell’ideologia e arma indispensabile al servizio della politica rivoluzionaria.

Da Scintilla n. 140 – dicembre 2023

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