Un confronto quanto mai utile e necessario

Nello scorso mese di dicembre il Comitato Centrale (CC) del Fronte della Gioventù Comunista (FGC) ha pubblicato una risoluzione dal titolo “Il governo Meloni e il ruolo dei comunisti in questa fase”.
In questa risoluzione nella quale dopo aver analizzato la natura del governo FdI-Lega-FI, esposto le sue posizioni sulla costruzione dell’opposizione politica e di classe al governo Meloni, affronta la questione della necessità del Partito come “salto di qualità indispensabile e irrinunciabile”, ritenendo “che sia necessario porre, in forma sempre più pubblica e aperta, il dibattito franco sulla ricostruzione comunista, visto che è sul piano della chiarificazione politica delle posizioni rivoluzionarie che avanza concretamente la costruzione del partito.”
Il FGC è una delle più importanti organizzazioni rivoluzionarie esistenti nel nostro paese. La sua presenza organizzata nelle università, nelle scuole, nei territori, in alcuni posti di lavoro, le posizioni che è andato sviluppando negli ultimi anni, specialmente dopo la salutare rottura del patto di unità di azione con il Partito “Comunista” diretto dall’ultraopportunista Rizzo, la linea politica di appoggio alla lotta della classe operaia, ne fanno un elemento vitale e dinamico nell’ambito del “movimento che abolisce lo stato di cose presente”.
E’ certamente apprezzabile il fatto che il CC del FGC abbia deciso di impegnarsi “a farsi carico dello sforzo politico e teorico necessario a produrre materiale utile al dibattito tra le forze che oggi sono disponibili al confronto sulla ricostruzione comunista” e ci dichiariamo pronti a tale confronto.
Presentiamo dunque alcuni sintetici elementi di valutazione sulla risoluzione in questione, limitandoci a evidenziare taluni aspetti che riteniamo non condivisibili o non chiari, invece che ripetere spunti di analisi della situazione su cui in linea di massima coincidiamo. Seguiremo quindi l’articolato del documento, per arrivare alla questione del Partito, che più ci interessa. Questo metodo ci sembra proficuo per lo sviluppo del dibattito.
Riguardo il governo Meloni, il CC del FGC indulge a far uso di un luogo comune tipico dei politologi borghesi quando afferma che il governo Meloni: “Inaugura un “ritorno alla politica” nella gestione capitalistica in Italia”. Il CC dovrebbe indicarci esempi di governi “non politici”, o di Stati che non lo siano.
Il carattere di questo governo viene definito semplicemente “nazionalista”. In realtà siamo di fronte a un governo di estrema destra (questa definizione viene evitata nella risoluzione, preferendo quella di “destra”, come se non ci fosse differenza con il passato), sciovinista e guerrafondaio, che s’identifica pienamente con gli interessi dei gruppi dominanti del capitalismo, ovvero del capitale finanziario.
Osserviamo che allo stesso tempo nella risoluzione viene esagerata la portata della legittimazione politico-elettorale dell’esecutivo. Ricordiamo che il consenso effettivo del governo in carica non è del 40% come si legge nel punto XVI la risoluzione, ma di circa il 28%.
Il numero di voti raccolti dalla coalizione delle destre nelle elezioni di settembre 2022 è stato di circa 12,3 milioni. Il peso elettorale effettivo delle destre non è aumentato dal 2008 a oggi, ma diminuito. Per fare un confronto, il Polo delle Libertà, la Lega e la Destra-Fiamma Tricolore raccolsero nel 2008 circa 18 milioni di voti. La stessa avanzata elettorale di FdI (una crescita di circa 5,9 milioni di consensi rispetto le elezioni politiche del 2018) va vista in relazione diretta con la perdita di voti di Lega e Forza Italia.
Il governo Meloni ha ampia maggioranza parlamentare ma è minoranza nel paese reale, non poggia su un’estesa base di massa e non ha solide basi nelle organizzazioni tradizionali della classe operaia, non ha le leve per controllare le masse nel momento in cui la lotta di classe s’inasprisce a causa del peggioramento delle condizioni di vita e di lavoro. Questo è il suo tallone d’Achille, nonostante il tentativo della borghesia di garantirsi maggiore stabilità e forza coercitiva di potere.
La legittimazione del governo Meloni non proviene dalla maggioranza delle masse, ma dal grande capitale, dagli USA e dal Vaticano. La politica e la direzione di marcia del governo Meloni sono segnate da queste forze, non dai settori di piccola borghesia che l’hanno votato.
Nel punto V della risoluzione si afferma che il governo Meloni riassorbe a livello istituzionale le agitazioni della piccola borghesia. Bisogna guardarsi dalle generalizzazioni eccessive. Il governo Meloni si appoggia su una parte dei ceti medi delusi, rancorosi e frustrati, danneggiati dalla crisi e incapaci di individuarne le cause; tende con la sua demagogia populista e sciovinista a sviluppare un movimento di massa reazionario, fondamentale per la preparazione alla guerra. Tuttavia, non è un governo della piccola borghesia, o degli “autonomi”. E’ invece un governo espressione del grande capitale, in particolare dei monopoli dei settori energetico, bellico, cantieristico, che lotta per prorogare il suo dominio economico e politico all’interno a spese, oltre che del proletariato e delle masse lavoratrici in generale, anche del piccolo capitale e dei piccoli produttori.
Lo spostamento a destra dell’asse politico italiano è un’espressione delle difficoltà e del declino del capitale monopolistico finanziario italiano, che ha la necessità di immobilizzare e disorganizzare la classe operaia sfruttando il desiderio della piccola borghesia di uscire dalla crisi in cui è piombata. Ciò è reso possibile dal fatto che nel contesto della sconfitta temporanea del socialismo e dell’indebolimento della lotta di classe internazionale, la classe operaia non è in condizione di dirigere gli strati intermedi oppressi e sfruttati, non avendo ricostruito la sua guida rivoluzionaria, la sola in grado di strappare questi strati all’egemonia borghese
Nel documento si afferma che non bisogna sottovalutare le “pulsioni reazionarie” del governo Meloni, infarcito da “post-fascisti”. Allo stesso tempo si sostiene (punto XVI) che “contro il governo Meloni è errato “giocare la partita sul terreno dell’antifascismo”. Evidentemente il governo in carica non è un governo fascista, ma non per questo possiamo condividere il fatto che la “realtà della legittimazione di queste forze nel sistema politico italiano” (v. sopra la nostra critica), compresa FdI, ci debba impedire di utilizzare l’arma dell’antifascismo nella lotta contro il governo Meloni. Al contrario! Siamo in una fase di fascistizzazione del potere statale, caratterizzata dall’applicazione di misure reazionarie della borghesia, dalla soppressione delle libertà dei lavoratori, che favoriscono direttamente l’andata del fascismo al potere. Occorre dunque lottare contro il fascismo che si sviluppa all’interno dello “Stato democratico”, con la socialdemocrazia che si accoda a questa tendenza, prendendo chiaramente posizione contro i liberal-riformisti che nascondono alle masse il carattere del fascismo, che non le chiamano a lottare contro le misure reazionarie sempre più gravi della borghesia, contro i loro peggiori nemici, i fascisti.
Trascurare questo compito, sottovalutare lo scatenamento della reazione più nera contro il proletariato, sminuire l’importanza dell’antifascismo, rinunciare alla politica di fronte popolare antifascista e antimperialista sulla base del fronte unico proletario, sarebbe un grave errore.
Finchè ci sarà il sistema capitalista-imperialista ci sarà sempre il pericolo del fascismo. Ciò significa che non bisogna privarsi delle parole d’ordine di contenuto democratico per estendere la nostra influenza fra le masse, ma che bisogna utilizzarle legandole a quelle generali rivoluzionarie, in quanto arma per la formazione di un blocco operaio e popolare che lotti nella prospettiva della rivoluzione proletaria (non per un rivolgimento democratico borghese). Rammentiamo che dal punto di vista comunista la lotta per le libertà delle masse lavoratrici, la lotta antifascista, si identifica con la lotta per l’abbattimento del capitalismo e che i comunisti hanno combattuto il fascismo anche quando era regime “legittimato” da un ampio consenso di massa.
Riguardo i punti sulla costruzione della opposizione politica e di classe al governo Meloni, siamo d’accordo sul fatto che occorre far “irrompere sul terreno della lotta politica contro il governo Meloni la forza della classe operaia organizzata”. Solo la classe operaia, la classe più rivoluzionaria della società, può condurre a fondo la lotta contro il governo di estrema destra e batterlo nei luoghi di lavoro, nelle diverse realtà territoriali, nelle piazze, fuori dal parlamento e senza accodarsi a nessuna opposizione borghese.
Per fare questo occorre sviluppare una giusta politica di fronte unico basata sulla difesa intransigente degli interessi di classe. Tale politica però non può limitarsi ai “blocchi politico-sindacali” individuati nella risoluzione. La lotta per l’unità del movimento sindacale classista, come aspetto fondamentale della politica di fronte unico proletario, va portata avanti in modo ampio senza parzialità e settarismi, e senza sconti per l’opportunismo, sotto qualsiasi forma si presenti, di destra o di “estrema sinistra”. Così come va promossa la formazione di organi di fronte unico dal basso (comitati di sciopero, di agitazione, etc.) in cui si raggruppi la massa operaia.
Allo stesso tempo dev’essere compreso che la classe operaia non può fare a meno degli alleati nella lotta per il potere. Questi alleati a livello nazionale può trovarli fra settori e gruppi di piccola borghesia che abbandonano la difesa del capitalismo e del suo governo. Non tutta la piccola borghesia supporta il governo Meloni. Occorre dunque un’analisi più approfondita della realtà italiana e delle rivendicazioni parziali e immediate di questi strati di lavoratori e di masse popolari che non siano in contrasto con gli interessi del proletariato, nell’intendimento di perseguire con essi una politica di alleanza legata alla prospettiva della conquista del potere politico. La lotta contro la guerra inter-imperialista di ripartizione e le sue conseguenze (carovita, bollette, militarismo, contraccolpi delle sanzioni e dell’invio di armi, riduzione spese sociali, etc.) offrono un terreno favorevole in tal senso. Solo in questo modo si acquisirà nel tempo la capacità di “porsi alla testa della mobilitazione popolare”.
Giungiamo infine alla questione cruciale del Partito. E’ positivo che il CC del FGC riconosca esplicitamente la sua necessità, che naturalmente non si esaurisce nel dare una guida alla lotta economica, ma serve per dirigere la lotta per la rivoluzione e il socialismo su tutti i fronti: politico, economico e ideologico.
La risoluzione del FGC si conclude con un appello: “è necessario rompere gli indugi, lavorare attivamente al processo di raggruppamento rivoluzionario dei comunisti in Italia. È un processo, che nelle condizioni attuali non può ammettere l’illusione che possa esistere un unico momento risolutivo. È possibile, però, avanzare concretamente, mossi dalla convinzione e dalla consapevolezza che l’orizzonte ultimo della lotta di classe non può esaurirsi nei margini del capitalismo, nell’accettazione dello sfruttamento, della barbarie, della guerra imperialista. La lotta della nostra epoca è la lotta per il socialismo. Senza il partito non solo questa, ma ogni altra lotta è perduta.”
Buoni intendimenti, tuttavia, per quanto si cerchi nei 23 punti di questa risoluzione, non è dato conoscere quali debbano essere i principi teorici e ideologici sui quali la lotta per il Partito deve avere luogo e svilupparsi. Leggeremo con attenzione i punti di vista del FGC su natura, ideologia e forma organizzativa del Partito, sui metodi e contenuti del suo lavoro, sugli elementi fondamentali del suo programma, della sua strategia e tattica rivoluzionaria nei documenti che si è impegnato a produrre prossimamente.
Il CC del FGC non sembra voglia vedere come l’origine della “debolezza complessiva delle forze di classe”, nel nostro come in tutti i paesi del mondo, deve essere colta, se si vuole lottare per il partito, nella degenerazione del marxismo-leninismo in revisionismo moderno in quello che era il centro della rivoluzione proletaria internazionale, l’Unione Sovietica, portata alla dissoluzione dal corso restauratore del capitalismo kruscioviano-brezneviano.
La sua analisi si limita invece alle parziali conseguenze di questo fatto: “In termini generali, questi sviluppi [della società italiana. N.d.R.] non sono soltanto la conseguenza della presenza di queste forze al governo, ma esistono nella società italiana e sono il prodotto della crisi del movimento operaio, della fase di reflusso e arretramento iniziata negli anni ’80, della debolezza complessiva delle forze di classe”.
In realtà il riflusso politico e ideologico del movimento operaio non ha inizio dagli anni ‘80, non è solo nazionale, ma internazionale, provenendo dall’insorgere, dall’affermarsi e dal diffondersi del moderno revisionismo nei partiti comunisti, fino a giungere alla loro trasformazione in partiti socialdemocratici e borghesi, alla loro completa degenerazione. In Italia questo processo si sviluppò con le tesi togliattiane del conseguimento del “socialismo” attraverso la Costituzione borghese, con l’abbandono del marxismo-leninismo e il rifiuto del partito di tipo leninista, con la linea di collaborazione con la borghesia.
Ma c’è un altro aspetto che va chiarito. Nella risoluzione si parla di “costruzione di una riconoscibilità politica legata ai processi di mobilitazione di massa e di classe”. Cosa significa questa espressione? Come si diventa soggetto politico riconosciuto? Il riconoscimento e la capacità di divenire punto di riferimento per gli sfruttati sono il frutto del radicamento e della capacità di iniziativa e intervento politico del partito comunista nella classe, della sua capacità di penetrare in tutti gli organismi in cui si essa si raccoglie e organizza.
Senza un quotidiano, sistematico e ininterrotto lavoro dei comunisti organizzati nel proletariato (in primo luogo quello industriale) per combinare il socialismo scientifico con il movimento operaio non si può avere alcun riconoscimento e non si avrà alcun Partito comunista degno di questo nome. E’ un lavoro lungo, faticoso, “costoso”, ma al di fuori di ciò a nulla serve lo sventolio di bandiere rosse, la politica di pura immagine, o peggio ancora l’elettoralismo.
Concludiamo. Si avvicina il 102° anniversario della fondazione del Partito Comunista d’Italia. Quell’evento di trascendentale importanza per il movimento comunista del nostro paese ci ricorda che finché si hanno nelle proprie file i rappresentanti ideologici della borghesia e della piccola borghesia non è possibile uscire dalla debolezza, dalla confusione e dalla divisione che caratterizzano oggi il movimento operaio e comunista, non è possibile dar vita a una coerente politica di classe e non si può seguire nessuna prospettiva di trasformazione rivoluzionaria della società.
L’anniversario del 21 gennaio ci ricorda quale è il compito principale per avanzare di nuovo: non la “coesistenza”, ma la rottura netta, aperta e definitiva con l’opportunismo, il revisionismo e il trozkismo in tutte le loro varianti, l’unione sulla base del marxismo-leninismo e dell’internazionalismo proletario per formare il reparto di avanguardia organizzato e cosciente del proletariato: un Partito capace di dirigere la lotta della classe operaia e delle masse popolari verso la conquista rivoluzionaria del potere e l’edificazione del socialismo, prima tappa della società comunista.
Questo Partito oggi non può nascere per scissione (non c’è un partito riformista di massa con una componente comunista) o per confluenza (nessuna organizzazione esistente è espressione della avanguardia rivoluzionaria della classe operaia) e logicamente non potrà formarsi in una sola notte, ma nel vivo della lotta di classe.
Tenendo presente ciò è possibile realizzare un processo di raggruppamento delle migliore energie comuniste, quando sussistano una serie di condizioni: un’assoluta e completa indipendenza ideologica e politica dalla borghesia, la rottura completa e la lotta senza quartiere nei confronti del revisionismo, della socialdemocrazia e dell’opportunismo in tutte le loro forme; il riconoscimento della necessità dell’abbattimento rivoluzionario del dominio della borghesia e dell’instaurazione della dittatura del proletariato per edificare il socialismo; il rifiuto di sostenere la borghesia nella guerra imperialista; una preliminare collaborazione e la realizzazione dell’unità di azione, senza supponenza ma nello sforzo comune di applicare i principi di Marx, Engels, Lenin e Stalin alla situazione concreta, avanzando verso l’obiettivo del Partito attraverso il lavoro comune di propaganda, di agitazione, di intervento politico e direzione della lotta contro il nemico di classe, sostenuto dalla chiarificazione teorica.
Sì, compagne e compagni del FGC, le ragioni che portarono alla costituzione del PCdI nel 1921 sono più che mai valide e attuali. La ricostruzione del Partito comunista è una necessità storica, un compito ineludibile e non rinviabile, da affrontare e risolvere con il contributo di tutti i sinceri comunisti!
Da Scintilla n. 130 – gennaio 2023
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