Alcune questioni sollevate dalla lotta di liberazione del popolo palestinese

Da oltre un mese lo stato razzista e sionista di Israele sta massacrando il popolo palestinese nella striscia di Gaza e in Cisgiordania, con il sostegno e la complicità dell’imperialismo USA, UE e italiano e la copertura dei principali media.
Con la partecipazione a numerose manifestazioni, e con diversi comunicati nostri e della CIPOML, abbiamo espresso la nostra solidarietà al popolo palestinese e alla sua legittima resistenza, condannato il massacro e chiesto il cessate il fuoco immediato, la fine dell’assedio di Gaza, delle forniture di armi e degli accordi con Israele. E continueremo a farlo.
In questo articolo vogliamo invece accentrare la nostra attenzione su alcune posizioni che riteniamo errate e dannose per il movimento comunista e operaio.
Nelle settimane seguenti il 7 ottobre è venuto alla luce un florilegio di affermazioni e mezze affermazioni di carattere quanto meno equivoco, a dimostrazione della debolezza e confusione ideo-politica di molti gruppi e singoli che si definiscono antimperialisti o comunisti. Per ragioni di spazio ci occuperemo solo di alcune di queste affermazioni.
Una condanna a prescindere
Un primo aspetto da chiarire è la pretesa di chi chiede la condanna dell’operazione Al-Aqsa Flood compiuta dalla resistenza palestinese il 7 ottobre come condizione vincolante per il dibattito pubblico.
Una posizione che non è passata nemmeno all’ONU, ma che nel nostro paese è fatta propria da tutta la classe dominante e da tutti i suoi media che continuano a parlare di “atroce attacco ai civili” (dai dati diffusi dal quotidiano Haaretz risulta che circa la metà delle vittime israeliane sono soldati e agenti di polizia, il resto sono in gran parte coloni) e instillano nell’opinione pubblica l‘indegna e fraudolenta equazione antisionismo=antisemitismo per coprire la guerra di sterminio del popolo palestinese.
Parlare dell’attacco compiuto da Hamas e da altre componenti della resistenza palestinese per criticare la loro “efferatezza” (come ha detto la Meloni), senza porsi minimamente lo sfondo storico e le condizioni politiche ed economiche che lo hanno provocato e in cui è avvenuto, senza neanche avere esatta cognizione di quanto realmente è successo (non poche vittime sono state causate dal “fuoco amico” di forze militari, carri armati ed elicotteri sionisti, come nel kibbutz di Be’eri) è un errore micidiale, oppure un’ipocrisia nel migliore dei casi.
Nell’attuale situazione, non ha alcun valore la condanna di chi ha attaccato per primo, biasimare i metodi di assalto adoperati, metterli sullo stesso piano dei crimini sionisti. Così come è da rifiutare la discriminazione delle forze palestinesi fra “angeli e demoni”.
Chi può valutare ed eventualmente criticare l’operazione del 7 ottobre e le sue conseguenze è in primis il popolo palestinese, in quanto essa fa parte della sua lotta di liberazione, legittima anche sul piano del diritto internazionale.
Va stigmatizzata una concezione della solidarietà al popolo palestinese che si esprime solo quando esso è vittima dei sionisti e non quando attacca l’occupante con le armi di cui dispone.
L’operazione del 7 ottobre, di cui molti aspetti sono stati manipolati dalla propaganda sionista-imperialista (come la bufala dei bambini decapitati e delle violenze sulle donne), è il risultato di 17 anni di blocco di Gaza, della continua colonizzazione delle terre palestinesi, degli incessanti assassini di massa e di quelli extragiudiziali coinvolgenti anche la Cisgiordania, su cui tutti i paesi imperialisti hanno chiuso gli occhi e sono rimasti zitti. La responsabilità principale di questo attacco ricade senza dubbio su Israele e sugli USA.
Allo stesso tempo, l’attacco del 7 ottobre è il risultato di un processo di unità della resistenza palestinese che si è forgiato durante l’ultima Intifada, con il sacrificio delle giovani generazioni.
Dunque, invece di biasimare – come esige ad es. chi non ha mai condannato i crimini di guerra sionisti – vanno afferrate le ragioni della violenza degli oppressi, in quanto risposta alla pluridecennale violenza e terrore degli oppressori sionisti; va capito chi conduce la lotta di resistenza, quali sono gli obiettivi politici che si pone, etc.; e vanno dissipati la nebbia e i dubbi anche attraverso un’indagine internazionale indipendente.
Riguardo la pianificata, complessa e ampia operazione Al-Aqsa Flood, alcuni aspetti vanno sottolineati: essa ha rappresentato un fallimento politico dell’apparato militare e spionistico sionista ed ha messo in luce l’ampio appoggio di cui gode la resistenza palestinese che per anni ha preparato l’operazione (ben altra cosa dal terrorismo individuale svincolato da tutto il sistema di lotta).
Non è difficile intendere gli obiettivi dell’attacco, condotto approfittando della debolezza politica del regime di Natanyahu: infliggere un colpo di alto valore simbolico e politico alle forze militari sioniste, sfatando molti miti; delegittimare l’ANP diretta da Al Fatah; mettere in crisi il processo di normalizzazione fra Arabia Saudita e altri Stati arabi ed Israele, sotto l’egida USA; prendere in ostaggio militari e coloni da scambiare con i prigionieri palestinesi.
Natura e ruolo di Hamas
Veniamo ora ad Hamas e al ruolo che svolge, su cui abbiamo letto molte fesserie.
Il “movimento di resistenza islamico”, che dispone di un ramo politico e uno militare, fu creato dalla Fratellanza Musulmana nel 1987, al tempo della prima Intifada.
Il suo sviluppo è passato attraverso la rete delle moschee, l’università islamica di Gaza, i centri di tipo culturale, medico, di distribuzione di beni e di servizi ai più bisognosi, ricreativi, sportivi, ecc.
In questo modo, e tramite alcune operazioni militari (prima l’eliminazione degli informatori palestinesi al servizio dei sionisti, poi gli attacchi suicidi ai coloni), Hamas ha guadagnato affiliati fra la borghesia religiosa, fra professionisti e commercianti, nella piccola borghesia impoverita e negli strati popolari.
Il radicamento di Hamas è in diretta relazione con la debolezza del movimento comunista e rivoluzionario, nonché con il collaborazionismo e la corruzione dell’ANP che ha gestito i fallimentari accordi di Oslo del 1993 subordinandosi all’imperialismo.
Inizialmente Israele guardò con favore il rafforzamento di Hamas (anche con i fondi del Qatar) per isolare politicamente Gaza, indebolire al Fatah e il progetto dei “due stati”.
Successivamente, con Rabin negli anni ’90, cominciò ad arrestare, deportare ed eliminare i suoi capi e militanti. Hamas fu inclusa nella “black list” USA e nel 2004 fu assassinato da Israele il suo capo spirituale, Yassin.
Il consenso popolare di cui gode Hamas è notevole (ha vinto con il 60% le elezioni del 2006 e ha responsabilità di governo a Gaza), ma non è l’unico rappresentante del popolo palestinese, della lotta e delle esperienze che ha accumulato in decenni di resistenza.
Per capire quale ruolo svolge oggettivamente Hamas, senza scivolare su posizioni idealiste, va compreso che questo movimento nelle condizioni attuali (anzitutto i rapporti di forza fra le classi) è parte integrante e direttiva di una lotta di liberazione nazionale antisionista; una lotta che assesta duri colpi all’occupante, ma che Hamas non potrà condurre alla vittoria per via delle sue concezioni religiose islamiste (seppure “palestinesizzate” in chiave di liberazione nazionale) e di una linea politica che riflette tali idee reazionarie.
I marxisti-leninisti non si conciliano con l’ideologia di Hamas, con i suoi mezzi e i suoi fini politici (lo stato islamico palestinese), così come rigettano qualsiasi posizione antisemita, combattendo fermamente il sionismo, che è oggi una delle più importanti fonti di antisemitismo e di razzismo organizzato nel mondo. Nell’ambito dell’appoggio generale alla lotta per l’autodeterminazione del popolo palestinese, sostengono quindi le componenti più avanzate, progressiste e rivoluzionarie della resistenza palestinese
Due popoli oppressi?
Altra affermazione senza fondamento che abbiamo notato in alcuni siti, email, etc. è quella secondo cui palestinesi ed israeliani sarebbero due popoli oppressi dall’imperialismo.
In realtà, nel territorio storico della Palestina c’è un popolo che ne opprime un altro da oltre 70 anni con la violenza del suo Stato che dispone di uno degli eserciti più potenti del mondo, e c’è un popolo oppresso, privato di statualità, che combatte per la sua liberazione nazionale e sociale.
Da questo punto di vista non può esservi alcuna parificazione o neutralità.
Aggiungiamo che Israele non è una semplice pedina nelle mani di Biden o di Putin, ma è uno stato capitalista altamente industrializzato, con proprio capitale monopolistico sviluppato nell’industria bellica, securitaria, elettronica, Ict, dei diamanti, etc.
Per concludere. La questione palestinese è parte integrante e rilevante della contraddizione fra l’imperialismo e i popoli e le nazioni oppresse, una delle principali contraddizioni del sistema capitalista-imperialista.
La resistenza del popolo palestinese al progetto sionista è la resistenza ad un ampio progetto imperialista e rappresenta un focolaio inestinguibile del movimento di massa rivoluzionario.
Il carattere della rivoluzione palestinese in questa fase storica è democratico-borghese, secondo l’accezione leninista della definizione, legata alla lotta di liberazione nazionale.
L’aspetto più importante di questa lotta oggi è l’unità nazionale palestinese per resistere all’aggressione e ai tentativi di divisione sionisti e imperialisti.
Il movimento di liberazione palestinese per adempiere ai suoi compiti nazionali e sociali può svilupparsi solo come lotta contro l’imperialismo, il sionismo e la frazione di borghesia nazionale reazionaria e corrotta, per poi potersi trasformarsi in rivoluzione socialista con l’appoggio del proletariato internazionale.
In quanto comunisti (m-l) consideriamo il movimento nazionale palestinese dal punto di vista del proletariato internazionale il quale ha tutto l’interesse ad appoggiare questo movimento che ha capacità rivoluzionarie, tende ad indebolire l’imperialismo, e non a consolidarlo.
Di conseguenza, sosteniamo il diritto alla resistenza e alla autodeterminazione del popolo palestinese fino alla costituzione di uno Stato palestinese indipendente con Gerusalemme capitale, nonché il diritto al ritorno dei profughi.
Sviluppiamo la solidarietà con la lotta per il raggiungimento dei diritti nazionali del popolo palestinese; denunciamo i crimini dell’occupante sionista ed esigiamo il cessate il fuoco immediato per fermare il massacro nella striscia di Gaza; lottiamo contro la politica guerrafondaia dell’imperialismo, in primo luogo quello italiano complice del genocidio; esigiamo la cessazione di ogni accordo di collaborazione e associazione fra Italia e Israele e UE-Israele; boicottaggio dello stato sionista, rifiuto di inviare armi a Israele!
Da Scintilla n. 139 – novembre 2023
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