8 Marzo: la lotta per l’emancipazione delle donne è la lotta per la rivoluzione socialista!

Ogni anno in occasione dell’8 Marzo veniamo sommersi da una nauseante e ipocrita campagna mediatica.

La borghesia, col tempo, ha cercato di appropriarsi di quest’anniversario per trasformarlo in una festa consumistica e individualistica, occultando le ragioni che hanno determinato l’istituzione dell’8 Marzo, indissolubilmente legate al movimento operaio e comunista.

Ricordiamo che l’8 Marzo, fu stabilito a seguito del grande sciopero “Per il pane e per la pace” delle donne a San Pietroburgo l’8 marzo del 1917, che contribuì in maniera decisiva alla successiva vittoria della rivoluzione socialista.

Fu la Seconda conferenza internazionale delle donne comuniste, nel 1921, che decise di fissare l’8 marzo come “Giornata Internazionale dell’Operaia”.

Nascondendo l’origine e il significato dell’8 Marzo, la propaganda della classe dominante consuma il suo solito rito con convegni, articoli, studi e tanti discorsi in cui sono tutti d’accordo nel mettere in risalto come le condizioni della donna in questa società devono essere migliorate poiché manca il lavoro stabile, non c’è parità salariale, sono marginalizzate in alcuni settori lavorativi, c’è molta violenza sulle donne… eppure le leggi ci sono, qualcosa bisogna fare, ma…

Ma al potere c’è la borghesia che perpetua e aggrava la condizione sociale delle donne, attacca e smantella un pezzo alla volta le leggi conquistate con le lotte.

Qualche dato per avere una visione più chiara.

Una donna su cinque lascia il lavoro dopo aver partorito perché non riesce a conciliare lavoro e famiglia. I dati parlano chiaro: solo il 55% delle donne è occupato, rispetto al 69% degli uomini. Tra i lavoratori part-time le donne sono quasi i due terzi (il 64,4%) e hanno una percentuale di part-time involontario di tre volte superiore agli uomini (il 15,6% degli occupati a fronte del 5,1% maschile). In tutti i settori gli uomini percepiscono redditi medi superiori alle donne anche più del 20%.

I posti negli asili nido coprono appena un quarto dei bambini nella fascia 0-2 anni, e di quelli disponibili circa la metà sono in strutture private, mentre dei fondi del PNRR destinati a rafforzare l’offerta appena il 25% è stato utilizzato.

È una provocazione quando Meloni, Roccella & Co. sostengono di aiutare le donne. I bonus erogati a chi fa un figlio servono a nascondere, poco e male in verità, il continuo smantellamento di scuola, servizi per l’infanzia e sanità pubblica che ricade come un macigno sulle spalle delle donne.

Sono 300 i consultori familiari chiusi alla rilevazione dell’ultimo censimento del 2019, a causa dei continui tagli alla spesa sociale – mentre aumenta continuamente quella bellica – aggravando ancora più la distanza rispetto alla copertura, mai raggiunta, che è prevista dalla normativa.

Questo mentre le associazioni cattoliche anti-abortiste, grazie al governo di estrema destra, sono riuscite a entrare all’interno dei pochi consultori che ancora ci sono e ad accedere ai fondi statali per portare avanti le loro lotte contro la legge 194.

L’aborto è un diritto che dovrebbe essere garantito, ma così non è. A livello nazionale, circa due ginecologi su tre che lavorano in strutture che effettuano l’Ivg sono obiettori di coscienza. Ben 72 sono gli ospedali in cui l’obiezione di coscienza tra i ginecologi è superiore all’80% e in 18 ospedali è pari al 100%, Le donne che maggiormente ne subiscono le conseguenze sono come sempre quelle dei ceti più bassi.

In questa situazione il femminismo borghese continua a considerare la questione femminile solo dal punto di vista di genere, ignorando la realtà di classe.

L’emancipazione femminile viene concepita come mezzo per raggiungere gli stessi privilegi, lo stesso potere, gli stessi incarichi e posizioni nella società capitalistica degli uomini della loro classe.

Questo femminismo è un movimento separato dalla questione generale della classe operaia e dalla lotta per il socialismo.

E’ un femminismo egemonizzato dalla borghesia, la quale cela il fatto che esistono donne borghesi e donne proletarie con interessi antagonisti e obiettivi opposti. E’ un femminismo che vorrebbe che le donne lavoratrici considerino loro alleate le donne borghesi come Meloni, von der Leyen, Lagarde, etc. Ma questo è il modo migliore per perpetuare il sistema che le opprime e le sfrutta!

Per noi comuniste e comunisti la lotta non è contro l’uomo in quanto tale, ma contro chi sfrutta il proletariato e opprime le donne, poco importa se siano uomini o donne.

Ciò che unisce le lavoratrici e i lavoratori che appartengono alla classe dei proletari è molto più forte di ciò che li divide: sono uniti dalle loro condizioni di sfruttamento, dalla mancanza di accesso ai mezzi per sviluppare una vita dignitosa. Perciò la loro lotta e i loro obiettivi sono comuni: porre fine allo sfruttamento e all’oppressione, alla diseguaglianza sociale, alle guerre di rapina, alla devastazione della natura, per conquistare una società socialista in cui sarà raggiunta l’emancipazione del proletariato e quella della donna.

Il lavoro tra le donne della classe operaia è un mezzo per unire la classe, risvegliare la coscienza delle lavoratrici, integrarle tra le fila di coloro che lottano per un futuro migliore e diverso, organizzarle a tutti i livelli, soprattutto nel Partito che ha come suo compito quello di guidare la classe operaia e le masse popolari alla conquista rivoluzionaria del potere.

Manifestiamo l’8 Marzo, avendo ben chiaro che l’emancipazione della donna è possibile solo con la vittoria della rivoluzione e del socialismo, non con il mantenimento del marcio sistema capitalista-imperialista.

VIVA L’8 MARZO, GIORNATA DI LOTTA INTERNAZIONALE DELLE DONNE!

8 Marzo 2025

Militanza Comunista Toscana

Piattaforma Comunista – per il Partito Comunista del Proletariato d’Italia

 

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