Berco: la mobilitazione fa retrocedere i capitalisti

Dal novembre dello scorso anno le lotte degli operai dei due stabilimenti metalmeccanici Berco di Copparo e di Castelfranco Veneto contro il tentativo aziendale di imporre una forte riduzione di organico (a Castelfranco la chiusura) sono state continue.
La tenace resistenza operaia, che si è manifestata con 330 ore di sciopero a Copparo, è continuata fino all’ottenimento di un accordo raggiunto al Mimit fra proprietà e sindacati.
Prima di valutare questo accordo, frutto della mobilitazione operaia, dobbiamo ripercorrere le cause della vertenza.
L’azienda di proprietà di Thyssenkrupp fabbrica cingoli per macchine di movimento terra. Come l’intero settore metalmeccanico, e più in generale l’intero manifatturiero, è in una situazione di crisi.
Da quanto ci hanno raccontato degli operai da noi intervistati, questa crisi non è però di dimensioni drammatiche. Il mercato, per quanto in condizioni di aspra concorrenza, continua ad esistere, quindi la clientela, ad ordinare.
A Copparo l’azienda dal 2013 ha portato avanti già tre ristrutturazioni portando gli organici da 2400 agli attuali 1050, come fa del resto la più parte delle aziende capitalistiche, specialmente di proprietà di multinazionali straniere. Non dissimili, in proporzione, i numeri di Castelfranco.
Tra gli operai questa politica è chiara. Un operaio di Castelfranco ci ha detto: “più che crisi di mercato è in atto il tentativo di riduzione dei costi col decentramento. In tutte le multinazionali del continente stiamo notando la volontà di spostarsi verso Oriente dove si ottengono maggiori profitti.”
Al quarto tentativo di ristrutturazione col tentativo di mettere fuori nei due stabilimenti quasi 600 operai (400 a Copparo e 150 – cioè tutti – a Castelfranco) gli operai hanno detto: basta!
Inizialmente gli esuberi di Copparo erano 480, ridotti, in seguito alla trattativa sul finire dello scorso anno a 400 con uscite volontarie incentivate.
A seguito del ridotto numero di queste uscite volontarie (solo 152) l’azienda aveva chiesto 247 licenziamenti senza cassa integrazione (a Copparo ne rimaneva per 10 mesi, mentre a Castelfranco, senza l’accordo, sarebbe scaduta a maggio) e aveva disdetto unilateralmente il contratto integrativo che per gli operai vale tra i 300 e 400 euro mensili di salario aggiuntivo.
L’azienda aveva programmato i licenziamenti reparto per reparto, pur senza nomi. A quel punto la protesta è esplosa.
Un operaio di Copparo al quale avevamo chiesto la ragione di questa disdetta ci ha così risposto: “E’ l’unica soluzione che l’azienda ci sta prospettando per ridurre i costi”.
Oltre agli scioperi sempre più ravvicinati, al punto che negli ultimi due mesi in molti hanno avuto buste-paga di 300-400 euro, gli operai hanno insistito nel rallentare il flusso delle merci in entrata ed uscita, con episodi di tensione in seguito a tentativi di forzatura. Ultimamente ci sono stati limitati episodi di crumiraggio.
Un altro operaio ci ha detto che la strategia perseguita è stata quella di sfiancare l’azienda i cui dirigenti locali, come a un certo punto è parso chiaro a tutti, stavano ricevendo ordini direttamente dalla Germania: “i clienti a breve esigeranno penali su merci non consegnate e forse saranno persi come clienti. In più si trova ad affrontare il problema della manutenzione di macchinari ed impianti da molto tempo non adoperati.”
Gli operai dei due stabilimenti hanno ottenuto la solidarietà dei lavoratori di altre aziende del territorio.
Significative nel trevigiano quelle di Breton e Zoppas dove pure gli operai sono sotto attacco.
Giustamente la solidarietà è stata ricercata dagli operai che hanno tenuto manifestazioni, assemblee e iniziative all’aperto per illustrare le loro ragioni alla popolazione e alle amministrazioni locali.
A Copparo, dove da sempre la fabbrica si identifica col territorio, tutta la città è stata solidale. Alcuni esercenti si sono persino giustamente rifiutati di servire il caffè ai capi.
La particolare durezza dell’attacco padronale è andata al di la di altri casi in cui si dichiarano “esuberi” di massa.
In questo caso Thyssenkrupp ha tentato di dare la linea all’intero padronato: gli operai devono essere schiacciati nei loro diritti e tutele, messi in balia delle esigenze padronali, licenziati senza oneri e responsabilità sociali se il mercato non tira o se conviene di più produrre altrove, senza alcun intralcio alle strategie volte a massimizzare i profitti.
Una linea intransigente che ha trovato sponda nella chiusura di Federmeccanica sul rinnovo contrattuale della categoria.
Ma questa linea alla Berco, grazie a una resistenza operaia accanita e prolungata, non è passata.
La vertenza è stata sbloccata il 10 aprile con un accordo che prevede il blocco dei licenziamenti, l’attivazione della c.i.g. in mancanza di carichi di lavoro, la ricontrattazione dell’integrativo aziendale con avvio retroattivo dal 5 marzo, l’uscita solo su base volontaria incentivata, la presentazione di un piano di investimenti sulla base delle potenzialità produttive. Un risultato parziale, per nulla scontato nella situazione attuale.
Esso è stato il frutto della lotta dura degli operai. Senza la determinazione a “resistere anche un solo secondo di più dell’azienda”, senza la linea “o si salvano tutti o nessuno” fatta propria dagli operai, l’azienda non avrebbe fatto retromarcia!
Visti i precedenti, gli operai sapranno tenere alta la mobilitazione e la vigilanza, affinché l’azienda non ci riprovi rigettando l’impegno formale di non ripresentare esuberi unilaterali per quattro anni.
Se fosse stato per i vertici sindacali nazionali, che hanno dato a questa lotta un sostegno tiepido, senza farne un caso nazionale chiamando alla solidarietà attiva tutta la classe operaia, il ritiro dei licenziamenti non ci sarebbe stato.
Burocrati e ministri temono che l’opposizione operaia scappi loro di mano indicando, nel fronteggiare l’offensiva padronale, la via risoluta della lotta di classe e della sua generalizzazione, in un fronte operaio compatto.
La vertenza della Berco dimostra che di fronte a un padronato all’offensiva, protervo e spalleggiato da un governo schierato dalla sua parte, la conciliazione e il dilazionamento della mobilitazione portano alla stanchezza, alla sfiducia, alla sconfitta.
Al contrario la lotta dura con il blocco della produzione fa arretrare i padroni e porta risultati agli operai.
Lottare uniti contro il capitale si deve e si può!
Da Scintilla n. 152, aprile 2025
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