“Carcere Sicuro”: un passo verso il carcere privato

Con il voto di fiducia al governo, il 10 agosto il Decreto Legge con il pomposo nome di “Carcere Sicuro” è diventato legge; anche in questo caso le parole usate contraddicono il contenuto e le conseguenze dei fatti che si producono.
Questa legge, forse più di altre sul carcere, sta riscuotendo la bocciatura di tutti i settori coinvolti o chiamati in causa: dalle proteste dei detenuti alle dichiarazioni di magistrati, di avvocati, dei sindacati della polizia penitenziaria e delle associazioni che si occupano di carcere.
In sostanza questa legge tradisce tutte le aspettative di una, sia pur parziale, risposta all’emergenza suicidi (siamo a luglio a 67 detenuti morti e 7 agenti penitenziari) e al sovraffollamento: ci sono 61.134 persone recluse ma i posti “camere di pernottamento” agibili sono 47.004, dunque ne mancano oltre 14.000.
Scorrendo i dati degli anni passati è evidente che in entrambi i casi non c’è nulla di improvviso né d’eccezionale: in carcere si vive ammassati come topi e si muore per suicidio o “cause ancora da accertare” (167 “morti naturali” da inizio anno). Quando ci sono stati miglioramenti sono costati i sacrifici della lotta dentro e fuori dal carcere.
Il governo Meloni ha inserito nuovi reati e aumentato le pene (vedi il D.d.L. 1660 di cui parliamo anche in questo numero), mentre i giudici negli anni hanno condannato con pene più alte e questa è anche una delle ragioni dell’aumento dell’età dei detenuti.
Lo scorso anno sono entrati in carcere dalla libertà oltre 40 mila adulti e poco meno di 1.200 minorenni. Sono reclusi in attesa di giudizio, cioè considerati dalla Costituzione “non colpevoli” fino all’eventuale condanna definitiva, più di 15 mila adulti (il 25%) e il 50% dei 580 reclusi minorenni. I tempi biblici per i processi, hanno portato in carcere persone che avevano commesso reati 10-15 anni prima, per non parlare degli errori giudiziari; le sole ingiuste detenzioni (in custodia cautelare o ai domiciliari con sentenza di assoluzione) risarcite negli ultimi 30 anni sono state in media 900 all’anno.
In questo contesto sociale ed economico, nessun governo borghese con una legge “estiva”, può risolvere o quanto meno attenuare la questione. Ma stavolta l’arroganza delle posizioni, la recrudescenza reazionaria e forcaiola ha scosso anche gli animi meno sensibili.
Aldilà dei tecnicismi legali, il dato più rilevante è che non si può negare il carattere di classe della politica sul carcere. Ognuno con il proprio linguaggio, ha dovuto rilevare che in carcere ci finiscono i settori più “deboli”, quelli che appartengono alla “marginalità sociale”. Lo dicono anche le ricerche del CNEL “c’è una forte relazione tra il lavoro e le possibilità di commettere crimini: all’aumento dei tassi di disoccupazione, aumentano i crimini” prima e dopo la detenzione.
L’altro elemento importante è che, ufficialmente, non esiste un’emergenza criminalità: le denunce tra il 2022-2023 sono diminuite del 5,5%, una tendenza consolidata da decenni. I reati sono in prevalenza contro il patrimonio (furti e rapine), contro la persona e per la violazione delle norme sugli stupefacenti.
Questa legge non svuoterà il carcere, né lo renderà più umano e non garantirà quella che chiamano sicurezza dalla criminalità. Ma vediamo cosa prevede.
Per il cronico sotto-organico degli agenti (come in tutta la pubblica amministrazione per il blocco del turn-over) c’è l’assunzione di 1000 agenti, tra il 2025 e il 2026. Secondo i sindacati che riportano il fabbisogno già dichiarato dall’amministrazione, tra pensionamenti e numero dei detenuti in aumento, mancano 18 mila agenti con tutte le conseguenze sui carichi di lavoro e gli straordinari.
Per accelerare l’assunzione è stato abbassato da 6 a 4 mesi il minimo di corso di formazione per gli agenti: l’ingresso di giovani senza formazione e ridotte possibilità di lavorare al fianco dei più anziani può provocare pericoli per loro e per i detenuti. I sindacati complici del governo hanno gioco facile nel chiedere in dotazione agli agenti i Taser e perché no, privatizzare i carceri “per risparmiare” (ma non hanno visto cosa è successo in sanità?). Sono però in arrivo 150 euro lordi di indennità mensile in più dal prossimo anno! Verranno assunti 20 nuovi dirigenti di istituti, ma ne mancheranno ancora altri 20. Per il resto, viene data l’indicazione di scorrere le graduatorie per le
nomine di ispettori e vice commissari. Viene data l’autorizzazione fino a dicembre 2026 alle aziende sanitarie e al SSN di aprire procedure concorsuali per “l’accesso alla dirigenza medica, ai soli fini del reclutamento di personale da destinare all’erogazione delle prestazioni sanitarie presso gli istituti penitenziari”, secondo le disponibilità dei propri bilanci (sic!).
Non una parola per gli educatori i quali in media dovrebbero ognuno assistere 65 detenuti (un numero già sproporzionato), ma la media reale è di 71. La solita media che però non dice che in oltre 100 istituti su 190 viene superata di molto, fino a casi come Regina Coeli a Roma dove si arriva ad 1 educatore per 334 detenuti. Questi educatori dovrebbero avere un ruolo fondamentale per la valutazione del detenuto, che è alla base delle decisioni del Magistrato di Sorveglianza in merito ai benefici o alla liberazione anticipata, nonché per la funzione riabilitativa.
Da dove si prendono i soldi per le assunzioni? Vista “l’emergenza”, da un taglio quasi lineare tra tutti i ministeri e il resto dai fondi di riserva. In altre parole, il governo non ci mette un euro.
Per l’edilizia penitenziaria “visto il sovraffollamento”, si provvede alla nomina di un Commissario Straordinario scelto tra i funzionari di Stato, che rimarrà in carica fino a dicembre 2025; a giugno ‘25 dovrà fare una relazione su ristrutturazioni e nuove strutture con i soldi già previsti dal Piano Nazionale per gli interventi complementari al PNRR (132 milioni) e quelli già stanziati dal Ministero della Giustizia; avrà pieni poteri anche sugli organi ordinari e straordinari, ma non sui fondi stanziati dal ministero di Salvini che nel 2023 ha annunciato altri 166 milioni per interventi edilizi in 21 istituti. Questo Commissario e i suoi 5 esperti ci costeranno più di 1 milione di euro.
E per i detenuti? Continuano a non funzionare le docce e i riscaldamenti, d’estate non si respira, in cella si torna ai letti a castello dove si passa anche tutta la giornata, manca l’assistenza sanitaria.
Nel 2013 la Corte Europea, con la sentenza Torreggiani, condannava l’Italia per il trattamento inumano e degradante subito dai detenuti e non era la prima condanna che subiva. Il governo dell’epoca, per ottemperare alla sentenza che definiva “strutturale” il sovraffollamento, emanava una legge per facilitare l’uso delle misure alternative ed istituiva un risarcimento per chi avesse fatto ricorso. Da allora, ogni anno, l’Italia viene condannata dai propri tribunali che riconoscono più del 50% dei ricorsi presentati pari a 4.000 ogni anno. C’è da dire che il risarcimento è poca cosa: per chi è ancora detenuto uno sconto di pena di 1 giorno ogni 10 passati dentro; per chi ha già scontato la pena 8 euro al giorno!
Nel 2013 i detenuti erano 62 mila, oggi ce ne sono 61 mila ma per fine anno si può prevedere che arrivino a 65 mila.
La legge di questa estate, prevede “interventi in materia di liberazione anticipata”, di fatto si tratta di piccoli cambiamenti procedurali che rimettono nelle mani del solo Magistrato di Sorveglianza la decisione sulla liberazione anticipata prevista dalla citata legge 92/2013. Ma sono tanti i punti poco chiari.
Non si sa cosa succede ad esempio alle richieste già presentate o come verrà gestita la duplicazione dei procedimenti per la concessione. Per chi ha 70 e più anni (in tutto sono in 1.208) e una pena da scontare da 2 a 4 anni o gravi condizioni di salute il Magistrato, decide di collocare il detenuto agli arresti domiciliari. Quando (?) la norma verrà applicata si tratterà di poche persone. La legge già prevedeva la possibilità di uscita dal carcere anche per queste persone.
Se si voleva intervenire d’emergenza per alleggerire il carcere bastava applicare la norma del 2013.
Passano da 4 a 6 le telefonate di 10 minuti ai familiari, ma non per tutti e non subito, occorre aspettare un regolamento. Nulla di nuovo visto che i Direttori di carcere avevano la possibilità di aumentare le telefonate esattamente per i casi previsti dalla legge approvata.
Per le comunità di recupero per i tossicodipendenti e i senza residenza detenuti, ora si farà un albo delle comunità che vorranno proporsi per le quali stanno stanziando: 7 milioni di euro per i senza casa, mentre per le comunità per il recupero dei tossicodipendenti 5 milioni, spiccioli! I numeri sono davvero impietosi: il 34% dei detenuti è tossicodipendente; tra gli stranieri, i quali commettono i reati meno gravi con pene più brevi, il 92% ha violato il testo unico dell’immigrazione, dunque, non ha la residenza in Italia e per questo non riesce ad accedere ai benefici o ai domiciliari, esattamente come i senzatetto italiani.
Queste comunità dovranno anche garantire “l’esecuzione della pena” e saranno sotto il controllo del Ministero di Giustizia. Ciò sta allarmando molti perché queste comunità possono diventare piccoli carceri esterni privati, è questo l’elemento su cui va posta l’attenzione.
Significativa, inoltre, è l’introduzione della possibilità per il condannato (con meno di tre anni da scontare) di essere affidato al servizio sociale anche se “non è in grado di offrire valide offerte di reinserimento esterno” accettando di lavorare senza remunerazione!
Non poteva mancare un intervento sul 41 bis (il carcere duro per 733 detenuti), talmente ideologico che tenta di ripristinare il divieto “di cucinare cibi” già dichiarato incostituzionale e prevede l’esclusione dall’accesso alla giustizia riparativa.
La norma solleva dubbi sul piano costituzionale per non parlare dell’assenza di qualsiasi necessità d’urgenza, infatti il governo ha ancora la delega e ha fatto già altri atti, proprio su questa materia e mai è stata prevista una differenziazione tra i detenuti.
Infine mancava un nuovo reato: “indebita destinazione di denaro o cose mobili” sembra che lo abbia voluto l’UE! A luglio, lo stesso giorno dell’emanazione del Decreto “Carcere Sicuro”, il Parlamento approvava la definitiva cancellazione del reato di abuso d’ufficio (ex 323 cp). In sintesi, si era creato un buco normativo ed ora questa “toppa” rende ancora più difficile colpire molti dei reati che potevano essere imputati ai pubblici ufficiali. Di fatto, questa cancellazione equivale ad una sanatoria e permette veri e propri abusi da parte della P.A.
Ma torniamo alle condizioni dei detenuti. Stanno diventando sempre più anziani (la fascia 50-59 è la più numerosa), sono uomini (il 95,6%), in maggioranza italiani (il 68,57%) e tra questi il 52,2% sono del sud Italia, con la Sicilia al 23% dei detenuti battuta solo dalla Campania con il 25,8%. I dati al 2023 sul loro livello culturale o la loro professione pre-arresto sono incompleti: il 29% ha la licenza media, meno del 10% ha un titolo di scuola superiore, oltre l’8% ha fatto le elementari, meno dell’1% non ha un titolo di studio e l’1,4% è analfabeta, l’1% ha la laurea (spesso presa in carcere). Si conosce la professione solo del 40% dei detenuti: il 41% sono artigiani e operai specializzati, il 12,6% edili, altrettanti lavoravano nel commercio e nelle riparazioni, il 10% in agricoltura. Degli altri non si hanno dati… non importa a nessuno sapere cosa facevano prima.
L’estate in carcere è forse dell’anno il momento più duro e più lungo, si bloccano tutte le attività che portano dall’esterno uno sguardo diverso, dalla scuola al teatro tutto si ferma. L’attesa sovrasta la speranza.
Leggi, circolari si susseguono e solo un “esperto” può tracciare la linea di continuità nei decenni, una linea che non può più essere nascosta neppure dalle “istituzioni”: il carcere è un sistema disumano funzionale al capitalismo che produce delinquenza più di quanto la rieduchi.
La cosiddetta “devianza” è generata da questo sistema che deve escludere parte della popolazione per avere sempre un esercito di riserva della forza lavoro sotto controllo. Gli emarginati, i senza lavoro e/o senza tetto, i malati, i tossici, gli immigrati sono la “riserva” con cui ricattano i lavoratori, perché i ricchi in carcere quando ci vanno, è per errore!
La chiamano “marginalità sociale” la controllano ed utilizzano, fino a quando devono ricorrere al carcere per toglierli dallo sguardo della “gente”. In carcere ci sono anche i “ribelli”, quelli che protestano, quelli che non si sono ancora piegati alle regole del borghese “vivere civile”.
D’altra parte perché si dovrebbe raccontare quello che la “gente” non vuol vedere? Oramai lo sanno tutti, la “gente” vede quel che il potere decide di far vedere, sul carcere come su tutto il resto.
La realtà invece è diversa, perché se si parla di carcere con la “gente” si scopre che tutti, in qualche modo, hanno avuto almeno un contatto con il carcere. Può capitare che ripetano gli slogan più qualunquisti o, quando va bene, esprimano quel senso di pietismo che cancella i veri problemi del carcere e della società.
Per questo è necessario parlare di carcere, per comprendere, verificare e denunciare quello che succede in questo apparato speciale dello Stato borghese, dove vigono per i proletari e le loro famiglie l’abbrutimento e la negazione dei diritti fondamentali (pur declamati nelle loro leggi) assieme alla repressione di tutto ciò che non è “controllabile” con mezzi normali.
Da Scintilla n. 147, settembre 2024
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