Donne e rivoluzione

Non basta essere la prima Presidente del Consiglio donna per fare politiche a favore delle donne. Giorgia Meloni lo sta dimostrando su più fronti.

Ha detto più volte che “meglio di così non poteva fare”, che “l’occupazione in Italia non è mai stata così dai tempi di Garibaldi”, che è aumentata l’occupazione femminile e si è promossa a pieni voti.

Ma i fatti ci rivelano uno scarto abissale tra la propaganda meloniana e la realtà, che non possiamo ignorare.

Tutte le misure prese dal suo governo per sostenere la maternità e l’occupazione femminile sono in realtà bonus e aiutini che non risolveranno i problemi strutturali che mettono le donne – e in particolare le madri single – a rischio di disoccupazione e povertà, né possono garantire a chi vuole mettere in programma un figlio un futuro sereno e dignitoso.

Per molte lavoratrici precarie, scegliere di avere un figlio vuol dire un licenziamento certo. I fringe benefit, introdotti dalla legge di bilancio 2024,  sono a discrezione dell’azienda e hanno il tetto di 2mila euro.

L’asilo è gratis ma solo per il secondo figlio, così il bonus resta precluso alla stragrande maggioranza delle coppie che scelgono di mettere al mondo un solo figlio e che affrontano difficoltà enormi perché gli stipendi in Italia sono fermi da più di vent’anni.

Inoltre, solo il 28% dei bambini è iscritto all’asilo nido, di cui la metà circa in asili privati.  Gli asili nido sono insufficienti a coprire la reale necessità. Le famiglie proletarie si devono così arrangiare e spesso non possono contare nemmeno sui nonni che ancora lavorano grazie ai continui aumenti dell’età pensionabile.   A causa della difficoltà di conciliare lavoro e famiglia una donna su 5 lascia il lavoro dopo aver partorito.

Meloni valorizza la donna come madre restando coerente con le politiche familiste di estrema destra che mettono al centro il ruolo procreativo e non i diritti e la libertà delle donne. Basta pensare al diritto all’aborto che viene contrastato sempre più e apertamente come ad es. con una legge che ha aperto le porte dei consultori alle associazioni ultra cattoliche dei Pro-vita.

Con l’avvicinarsi della data dell’anniversario della Rivoluzione d’Ottobre non possiamo che ricordare le leggi che Lenin, aiutato da compagne del calibro di Aleksandra Kollontai, Inessa Armand e Nadia Krupskaja, promulgò, riconoscendo il valore delle donne lavoratrici.

Per la prima volta un paese legiferò a favore delle donne e mise in pratica l’equiparazione politica e i pieni diritti civili e politici: furono abolite tutte le leggi che ponevano la donna in una situazione di disuguaglianza rispetto all’uomo.

Furono introdotti decreti che proteggevano le donne nei posti di lavoro e riconosciuto il congedo di maternità. Furono legalizzati il divorzio e l’aborto. Fu punito lo sfruttamento della prostituzione e promossa l’istruzione femminile.

Per avere una uguaglianza reale e non solo formale, come in Italia è ancora oggi nel 2024, le compagne bolsceviche e Lenin sapevano che c’era bisogno di un’economia non più basata sullo sfruttamento, che liberasse la donna dal lavoro domestico e di cura tramite la socializzazione dei compiti da lei svolti nelle mura domestiche: liberandole così dalla doppia oppressione di sesso e di classe.

Furono perciò create mense, asili nido e scuole materne, lavanderie, servizi di pulizia pubblici, case comunitarie e consultori. Tutti servizi mirati per aiutare le donne a conciliare lavoro e maternità ma anche a dar loro tempo libero da poter dedicare al bene comune e al comunismo.

Trasformare radicalmente la qualità della vita e del lavoro delle donne significa trasformare anche la condizione degli uomini: la competizione salariale va a esclusivo vantaggio di chi ci sfrutta e finché ci sarà qualcuno che lavora di più e per meno, siano esse donne o migranti, tutti saremo obbligati a lavorare al ribasso con grande soddisfazione della classe padronale. Questo è uno dei capisaldi su cui si fonda il capitalismo.

Tutte le leggi che un governo reazionario e fascista può promulgare a favore delle donne sono solo specchietti per allodole che servono esclusivamente ad impedire alle donne di vedere la realtà della loro condizione di sfruttate. Nemmeno il femminismo borghese può essere utile ad emancipare la donna proletaria che non ha gli stessi problemi e nemmeno le stesse possibilità delle donne borghesi.

Ricordare oggi le conquiste delle donne ottenute con la Rivoluzione d’Ottobre non ha solo interesse storico e non è neppure nostalgia di un passato glorioso. Oggi più che mai quando diritti che sembrano acquisti sono messi costantemente in discussione dobbiamo conoscere il passato, gli enormi passi in avanti compiuti con la rivoluzione e il socialismo, per aver chiaro da dove veniamo e dove vogliamo andare.

La lotta per il comunismo è quindi allo stesso tempo lotta per l’emancipazione del proletariato e lotta per liberazione della donna. Le due lotte non possono essere divise essendo la stessa identica storica battaglia per l’emancipazione dell’intero genere umano.

Chiunque voglia lottare seriamente contro l’oppressione delle donne deve organizzarsi nella lotta per il comunismo. Da qui l’importanza di un partito comunista che chiami e raccolga alla lotta le proletarie e i proletari.

Lenin, i bolscevichi e le bolsceviche nel 1917 diedero inizio alla lotta; spetta a noi oggi completarla una volta per tutte: creare una società in cui le donne e gli uomini possano vivere un’esistenza pienamente umana, senza disuguaglianza e oppressione.

Da Scintilla n. 148, ottobre 2024

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