La crisi industriale, la lotta operaia e l’opposizione alla politica di guerra

L’Istat ha suggellato ufficialmente il ristagno dell’economia in atto: nel IV trimestre 2024, essa cresce solo dello 0,1 % su quello precedente.
L’industria continua il suo arretramento da due anni a questa parte. Nel 2024 è calata del 4,2%, nell’ultimo trimestre il calo è arrivato al 5,6 %. Il tessile è calato del 18 %. A due cifre anche il calo della metallurgia, mentre macchinari e legno-carta calano del 9%.
Il settore automobilistico scende addirittura del 22% con 500 mila immatricolazioni nel ‘24 contro la previsione di 1 milione.
In Stellantis il 2025 è iniziato di nuovo con cassa integrazione, come a Cassino e alla Sevel di Atessa dove interessa 1500 operai su 4800. Nell’indotto dell’auto è crisi nera. Per alcune delle numerose aziende che lo costituiscono si prospetta la chiusura.
Questo arretramento, stante un mercato interno che langue e quello estero che non assorbe (nell’ultimo trimestre l’export cala dello 0,2% e l’import dello 0,4%), specie per la recessione tedesca (-0,2% del PIL nell’ultimo trimestre 2024) e, ultimamente anche della Francia (-0,1% nello stesso periodo), non vede a breve inversioni di rotta.
La politica dei dazi imposta da Trump, momentaneamente sospesa tranne che per la Cina, provocherà ulteriore recessione e un’inflazione elevata che si mangerà altro potere d’acquisto del salario.
L’arretramento segnalato accentua un andamento calante in Italia a partire dalla grande crisi del 2008. Da allora al 2022 il valore aggiunto del manifatturiero è sceso dell’8,4%.
Nel 2024 le ore di Cig sono state 426 milioni, con un aumento del 30% sul 2023. Coinvolti circa 2 milioni di lavoratori. Il numero complessivo di giornate lavorative assomma a 56 milioni con una perdita salariale media di 6000 euro a lavoratore. Il numero di operai sotto attacco o già licenziati è destinato a superare le 120.000 unità.
Poche situazioni si sbloccano, mentre si aggiungono “esuberi” importanti nelle acciaierie di Cogne (Aosta) e Puzzuolo (Friuli), Sumitomo (Veneto, Emilia Romagna), StMicroelecronics (Catania), Lonati (Brescia), Meta System (Reggio Emilia e Varese), ex-Cinzano (Cuneo) che chiuderà nel 2026, Natuzzi (poltrone e divani con sedi in provincia di Taranto, Bari e Matera) con proroga della Cig al 31 ottobre, indotto Gucci (Siena), Esseti farmaceutici di Pomezia, Pilkington (Chieti) e Sisecam Flat Glass (Udine) nel settore vetriero e anche nel settore dei servizi. Incerte poi rimangono le situazione della Beko, della GKN e di altre realtà.
In questa difficile situazione operai ed altri lavoratori sfruttati sono costretti in genere sulla difensiva. La resistenza all’attacco padronale non è uniforme, ma vi sono tuttavia dei casi molto significativi, con centinaia di ore di sciopero in breve tempo come alla Berco di Copparo, mobilitazioni permanenti come alla Meta System.
In altre realtà, come alla Italdesign di Moncalieri si sperimentano scioperi articolati che mettono in crisi l’organizzazione del lavoro.
Sul fronte contrattuale è in corso la mobilitazione nazionale dei metalmeccanici arrivati al terzo sciopero di 8 ore, ma con un’intensità non adeguata alla posta in gioco e non senza contraddizioni all’interno delle stesse organizzazioni sindacali di categoria che ora “riscoprono” che le scadenze di lotta non devono essere disperse e scompagnate da visibili manifestazioni di piazza.
La posta contrattuale è alta: Federmeccanica prosegue nella sua intransigenza con l’intento di piegare la categoria ad un rinnovo che depotenzi lo stesso istituto del CCNL che tuttora garantisce alcune tutele agli operai che si trovano in condizioni di svantaggio.
L’ultima tornata per i contratti, così come le precedenti, è stata condotta dai vertici sindacali all’insegna della moderazione e nel quadro delle compatibilità con il sistema capitalista, senza alcuna volontà di cambiare registro, per rivendicare aumenti al di là dei parziali recuperi dell’inflazione, che invertano il progressivo e costante impoverimento del proletariato
Si è volutamente evitato di mettere in campo tutto il potenziale di lotta. Men che meno si è pensato di fare una vera vertenza nazionale sul salario, malgrado le demagogiche declamazioni di Landini sulla sua necessità (“è un problema grande come una casa”).
Ma anche le fasi difensive hanno la loro dialettica. Se il contesto generale di rallentamento economico e di relativo declino dei paesi imperialisti maturi non aiuta, non c’è un meccanicismo per cui la difensiva è obbligata ed estesa a tutti i settori. Il fattore soggettivo gioca la sua parte. Contro i meccanicisti tedeschi di destra degli anni ‘20 del secolo scorso Stalin osservava:
“Nel territorio della Rhur ci sono mezzo milione di operai. Di questi 200.000 sono organizzati nei sindacati. I sindacati sono diretti dai riformisti burocratici, legati con mille fili alla classe capitalista. Che cosa c’è, quindi, di straordinario nel fatto che gli operai non organizzati si siano rivelati più rivoluzionari di quelli organizzati?” (Sul pericolo di destra del Partito Comunista Tedesco,1928)
Ricordiamo agli smemorati che la politica degli aumenti salariali entro il tetto dell’inflazione programmata è data dalla famosa “svolta” dell’Eur nel febbraio 1978.
Ben 30 anni prima di quel 2008, anno a partire dal quale l’ILO rileva ottimisticamente una perdita salariale di circa l’8% (la perdita secca di un operaio italiano rispetto uno tedesco è circa del 25%).
Si tratta dunque di una politica permanente prescritta dalla borghesia ai riformisti italiani per accentuare lo sfruttamento dei proletari e sostenere il debole capitalismo italiano.
Una politica di cedimento e svuotamento della lotta di classe che vede il rifiuto di vasti settori di lavoratori (ad es., nei trasporti, nella logistica e in altri settori) e forti contestazioni della linea seguita dalla burocrazia sindacale.
La stessa vicenda referendaria voluta dai capi CGIL appare come una manovra per non mollare del tutto la presa sulle masse sfruttate, disorganizzandole e deviandole su obiettivi deboli e senza prospettiva di successo.
In questa situazione è fondamentale battersi all’interno e all’esterno dei sindacati, per la difesa del posto di lavoro, per forti aumenti salariali, contro l’aumento dei ritmi e dei carichi lavorativi, contro il precariato, le morti e gli infortuni sul lavoro causati dalla legge del profitto, contro ogni limitazione del diritto di sciopero e di organizzazione, contro la reazione padronale e governativa.
È sempre più necessario e urgente costruire la più ampia unità sulla base della lotta di classe all’interno del proletariato e dei sindacati, imperniata sui bisogni vitali e urgenti delle masse lavoratrici, includendo la vasta sezione della classe operaia che non è iscritta ai sindacati, il numero crescente di lavoratori migranti, spesso senza contratto e documenti.
I comunisti e gli operai avanzati devono battersi contro l’influenza delle forze riformiste e opportuniste che hanno la loro base sociale nell’aristocrazia operaia, così come contro le politiche di setta, proponendo e praticando l’unione delle opposizioni classiste, l’unica che fa maturare le contraddizioni nel campo riformista e ne allarga le crepe.
La via oggi consiste nel dare la parola alle masse ed ai suoi delegati, con un’azione dal basso mediante la promozione, la costruzione, il coordinamento ed il rafforzamento di Comitati per realizzare l’unità di azione dei diversi settori della classe, l’allargamento della lotta di massa e di classe.
Veniamo brevemente al rapporto tra movimento operaio e opposizione alla politica di guerra.
In Italia il tentativo della borghesia di scatenare una mobilitazione reazionaria delle masse all’insegna del riarmo europeo e nazionale procede con molta difficoltà. La mobilitazione pro-imperialismo UE con i tentativi di riempire le piazze con manifestazioni in suo favore, a cui si sono prestati tutti i capi confederali, è sostanzialmente fallita. Ha coinvolto politicanti borghesi e settori di burocrazia sindacale, ma non la classe operaia.
La maggioranza del popolo italiano è per la pace, contro il riarmo, contro l’invio di truppe, contro l’aumento delle spese militari. Le masse percepiscono la contraddizione tra i tagli allo stato sociale e l’incremento delle spesa militari, malgrado l’incessante propaganda bellicista.
La borghesia però non demorde. Coi suoi agenti nel movimento operaio e sindacale, specialmente di marca neocorporativa CISL, approfitta delle situazioni di crisi dove si prospettano esuberi e chiusure, per proporre riconversioni belliche.
Oltre alla mutata congiuntura internazionale la resistenza delle masse operaie e popolari ha messo in palese difficoltà il governo Meloni, attraversato da contrasti al suo interno.
Le difficoltà riflettono le incertezze e le difficoltà e le esitazioni della borghesia italiana, specie dei grandi monopoli alle prese con uno scenario internazionale in rapido mutamento.
A fronte di una situazione così complessa il proletariato per tornare ad avanzare deve seguire una linea politica chiara, coerente e indipendente: contro il capitale che sfrutta e scarica sulle masse il costo e della crisi e delle politiche di riarmo, e contro l’imperialismo, rifuggendo dalla logica secondo cui “il nemico del mio nemico è mio amico”.
La classe operaia e i popoli non possono fare affidamento su una potenza imperialista per combatterne un’altra, ma
devono intensificare la critica e la lotta contro tutti gli imperialismi, per la solidarietà internazionalista ai proletari degli altri paesi ed ai popoli in lotta contro guerre, occupazioni, colonizzazioni, saccheggi perpetrati dai briganti imperialisti, sionisti, fascisti.
La formazione di una alleanza popolare e democratica contro l’imperialismo, la reazione borghese, il fascismo e la guerra in Italia e su scala internazionale va messa all’ordine del giorno.
Tradotto nel concreto, tutto ciò significa applicare le tattiche di fronte unico proletario e di fronte unito antimperialista, inquadrate in un’ottica internazionalista.
I due aspetti non devono marciare separati, ma essere strettamente collegati.
La classe operaia nella sua lunga storia questo legame lo ha saputo realizzare e lo realizzerà ancora, attualizzando e modificando forme e metodi di lotta in rapporto con lo sviluppo del suo movimento e le modifiche della situazione.
Questa lotta, in cui i comunisti organizzati devono essere in prima linea, aprirà la strada a nuovi processi rivoluzionari di modo che la “catena” imperialista possa essere spezzata nel suo “anello” o nei suoi “anelli” più deboli.
Da Scintilla n. 152, aprile 2025
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