La finta libertà digitale

Negli ultimi anni, in connessione con la pandemia, il ricorso massivo alla sorveglianza dei telefoni e di Internet, da parte di governi e padroni è sensibilmente aumentato, alla faccia della cosiddetta “libertà digitale” e delle comunicazioni.

I miliardi spesi in queste attività spionistiche hanno un riscontro nella rapida crescita del fatturato delle aziende che vendono programmi che permettono di estrarre dati da cellulari o altri dispositivi elettronici, che installano sistemi di videosorveglianza o che effettuano hacking per conto terzi.

I programmi spia acquistati dal governo e dai padroni hanno capacità di accesso alle comunicazioni e ai dati personali, riescono a introdursi in qualsiasi dispositivo, eludono le diverse chiavi di crittografia, estraggono dati delle più svariate applicazioni, come social network, e-mail, servizi cloud, browser, localizzazione, recupero file cancellati e accesso a password memorizzate.

Vi sono programmi come il GI2, della compagnia nordamericana Verint, che permettono di ascoltare, leggere, modificare e reindirizzare le telefonate e i messaggi di testi, oltre a poter attivare da remoto il microfono di un cellulare.

Le comunicazioni telefoniche sono tutte soggette a intercettazione. Oggi le agenzie spionistiche e repressive possono sapere se il cellulare di X sta chiamando Y, a che ora e per quanto tempo, da dove parlano e chi sono i proprietari dei dispositivi. Possono anche sapere chi è che sta parlando al telefono attraverso l’analisi del riconoscimento della voce. I software spionistici possono essere installati da remoto e leggere i messaggi di testo, rubare i dati della carta SIM, l’identità mobile e poi addebitare tutto sul conto della vittima.

E’ noto l’utilizzo da parte di molti governi di programmi come Pegasus, prodotto in Israele dalla NSO, che monitora gli spostamenti, legge le e-mail e i messaggi, attiva la telecamera e il microfono del telefonino per vedere e ascoltare. Spesso sono gli attivisti politici e sociali, i giornalisti scomodi ad essere oggetto di queste attenzioni. In Italia vi sono svariate ditte produttrici di software del genere: Memento Labs, Raxir, Rcs, Negg…. Esistono poi software che creano mappe degli spostamenti di massa, cioè monitorano assembramenti e manifestazioni per far intervenire immediatamente la polizia e procedere a fermi ed arresti.

Un altro sistema che sta conoscendo vasto utilizzo è la biometria, che serve per il riconoscimento facciale tramite telecamere di sorveglianza installate in luoghi chiave (o tramite body cam), collegate in rete fra di loro. In Italia alcuni comuni già la utilizzano. La polizia utilizza SARI, prodotto dall’azienda leccese Parsec 3.26: un sistema di riconoscimento facciale che permette di confrontare l’immagine di un volto con quelle di milioni di immagini presenti nella banca dati. Esiste anche una versione per i volti ripresi da videocamere. Il tutto senza alcuna trasparenza, regolamentazione e garanzia di rispetto dei diritti dei cittadini italiani, figuriamoci dei migranti.

Ovviamente la facilità con cui i servizi repressivi e spionistici ascoltano le conversazioni, accedono ai dati o monitorano ciò che facciamo con i cellulari, sui computer e su Internet non sarebbe possibile senza la complicità delle grandi società di telecomunicazioni e dei giganti di Internet (Facebook notoriamente fornisce dati ai governi per identificare particolari persone) e senza l’avallo dei governi borghesi e della UE che a parole dicono di proteggere la privacy e la sicurezza digitale dei cittadini e nei fatti la violano costantemente on-line e off-line.

Ma è sui luoghi di lavoro che la sorveglianza elettronica si va estendendo a macchia d’olio. Si va dai programmi che registrano video degli schermi o scattano foto per controllare la presenza in postazione dei lavoratori, a software che tracciano il tempo speso per le varie mansioni o analizzare l’attività dei dipendenti (come i movimenti del mouse e della tastiera).

Banche e gruppi finanziari controllano le chiamate, analizzano e-mail e chat, tengono traccia della durate della permanenza dei dipendenti nei loro edifici. Gli smartphone aziendali incorporano funzionalità di geolocalizzazione che permettono di tracciare i movimenti e possono mostrare la presenza di altri dispositivi entro pochi metri, calcolando il tempo trascorso nelle vicinanze.

Esistono software che usano dati biometrici come movimenti oculari, spostamenti del corpo, variazioni della voce ed espressioni facciali per assegnare un certo punteggio di rischio a ciascun lavoratore.

Zoom ha annunciato di condurre ricerche per monitorare il comportamento umano durante le videochiamate. Fujitsu ha realizzato un software che determina la concentrazione dei dipendenti in base all’espressione del volto. Enaible afferma di “estrarre dati” per capire dinamicamente come si lavora. Con Flexipsy i padroni possono seguire ogni sequenza di tasti o movimento del mouse, accedere a webcam e microfoni, scansionare e-mail o acquisire schermate di dispositivi. Con Remote Desk si può controllare se i lavoratori mangiano o bevono.

Anche software largamente utilizzati, come Google Workspace, Microsoft Teams o Slack, possono far sapere a che ora i lavoratori si registrano o quante chiamate effettuano. I badge moderni possono essere dotati di sensori di movimento e microfoni per tenere traccia di dove vanno i dipendenti, per sapere quanto tempo restano in una stanza e con chi interagiscono. Insomma, per avvisare il capo se qualche lavoratore non produce abbastanza.

La sorveglianza aziendale, prima ancora delle esigenze di “fedeltà”, risponde a una esigenza: calcolare la produttività, ovvero lo sfruttamento dei lavoratori, per intensificarlo. Da parte sua il governo Meloni, seguendo le orme di quello Draghi, ha varato un regolamento che permette agli enti della pubblica amministrazione di controllare l’uso dei social da parte dei lavoratori e di colpirli con sanzioni disciplinari se i loro commenti non sono graditi ai dirigenti. In pratica un bavaglio di tipo fascista messo a milioni di lavoratrici e lavoratori.

Sarebbe da ingenui credere o far credere che c’è un modo per comunicare completamente sicuro, senza il controllo della borghesia. Occorre diffidare dai ciarlatani che affermano ciò.

La democrazia e la libertà in regime borghese sono false, sempre più limitate e calpestate. “Non ho nulla da nascondere!”. Troppo spesso si sente quest’espressione quando sono denunciati i pericoli posti dalla sorveglianza su internet, dalla pratica della raccolta di dati da parte di organizzazioni ufficiali e private, che “naturalmente” collaborano con gli organi statali solo se “necessario”.

Le grandi banche dati, dotate delle più recenti tecnologie sono un potente strumento usato per schiacciare il conflitto di classe e uno strumento brutale per assicurare il dominio della classe capitalista. Comprendere ciò non vuol dire cadere nel fatalismo, nella passività o nella disperazione.

Opporsi alla sorveglianza governativa e padronale significa anzitutto organizzarsi sempre meglio in modo collettivo e indipendente contro ogni tipo di repressione, sia essa digitale o fisica. La lotta per la difesa e l’ampliamento delle libertà politiche, sindacali, civili e personali, contro il vecchio e nuovo autoritarismo, dev’essere una bandiera di tutti i proletari rivoluzionari!

Da Scintilla n. 130 – gennaio 2023

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