
Corrispondenza
Grazie alle pubblicazioni bisettimanali del Bollettino regionale del Lazio, sono emerse, negli ultimi due anni, le richieste continue e martellanti da parte di aziende piccole e grandi, nazionali e multinazionali, relative alla posa in opera di impianti fotovoltaici anche di grandi dimensioni, di impianti eolici, ma soprattutto di ricerca mineraria nelle varie aree della Tuscia, la storica regione dell’Alto Lazio che comprende la provincia di Viterbo ma anche la parte settentrionale della provincia romana.
Questo improvviso amore della Tuscia per la green economy deriva essenzialmente da due fattori: l’incentivazione statale per questo tipo di impianti e di ricerche e l’impoverimento dell’agricoltura e dell’allevamento tradizionali del nord-Lazio.
Dai dati di cui siamo entrati in possesso, si deduce che, per quel che riguarda l’indagine mineraria, lo scopo delle aziende coinvolte è essenzialmente la ricerca nei sottosuoli dei minerali che contengono il litio, particolarmente importante nella produzione industriale di batterie (e non solo), presenti nelle auto elettriche e nei cellulari.
La dipendenza dall’estero, per le industrie italiane che sono legate a tale produzione, è infatti pressoché totale e la ricerca diventa, a questo punto, strategica. Inoltre, il litio, cosiddetto “oro bianco”, pare che, nel corso del 2022, sia arrivato a costare da 14 mila ad 80 mila euro a tonnellata.
Il litio si trova per lo più disciolto nell’acqua sotterranea o in depositi vulcanici riscaldati da fluidi geotermici. Secondo le mappe del CNR, si trova, in Italia, soprattutto nell’area che va dal Monte Amiata in Toscana alla zona dei Campi Flegrei, in Campania e quindi la Tuscia rappresenta il core della ricerca.
Anche per questo, in Italia – a differenza di ciò che accade in Sudamerica, dove il litio si trova nei laghi salati andini, o in Australia, dove lo si trova in miniere a cielo aperto – si pensa di utilizzare i vecchi pozzi geotermici, ormai abbandonati, per facilitare l’esplorazione nelle acque sotterranee.
Ma, se si osservano meglio i dati, appare tutt’intero il tentativo di chiedere le autorizzazioni regionali da parte di aziende italiane che fanno però capo a ben note multinazionali del settore.
Si parla, ad esempio, di Enel spa (Ente Nazionale per l’Energia Elettrica) in contitolarità paritetica con Agip spa per “la concessione mineraria di vapori, gas ed altri fluidi geotermici per scopi energetici” denominata “VALENTANO”, ricadente nel territorio dei comuni di Capodimonte, Gradoli, Ischia di Castro, Valentano, Farnese, Latera e Onano, in provincia di Viterbo.
Oppure di Enel Green Power spa, in joint venture con l’australiana Vulcan Energy Italy, per esplorazioni denominate “CESANO” e “BOCCALEONE”, in provincia di Roma, nella Valle del Baccano-Cassia, Santa Maria di Galeria, Cesano di Roma, Lago di Bracciano, Campagnano di Roma.
Enel Green Power è presente in Europa, nelle Americhe, in Africa, Asia e Oceania e si autodefinisce così: “leader mondiale nell’energia pulita, con una capacità totale di oltre 54 GW e un mix di generazione che comprende eolico, solare, geotermico e idroelettrico, oltre a impianti di accumulo. Enel Green Power è in prima linea nell’integrazione di tecnologie innovative negli impianti di energia rinnovabile”.
Mentre Vulcan Energy “punta a rifornire il mercato delle batterie agli ioni di litio e dei veicoli elettrici in Europa, che è quello in più rapida crescita nel mondo”.
Sempre Enel Green Power è titolare della ricerca “LAERTINA” (2.058 ettari) nei comuni di Marta e Viterbo, nell’area vulcanica dei Monti Vulsini. Tra i 5 pozzi perforati già dagli anni ’80 e poi abbandonati, nel nuovo permesso di ricerca rilasciato dalla Regione Lazio, “nei pozzi MARTA1 e MARTA4 è stata accertata la presenza della risorsa litio ad una profondità di circa 2.000-2.200 m, con una temperatura di 180-190°C, per una produzione di alcune centinaia di t/h di fluido con un contenuto in litio di diverse decine di ppm”.
Obiettivo della ricerca, per l’Enel, è quello di “verificare la possibilità di produrre idrossido di litio dalle brine geotermiche, secondo una metodologia che elimina il rilascio di anidride carbonica tipica delle lavorazioni convenzionali, da poter utilizzare per la produzione delle batterie elettriche per l’E-mobility”.
Si pone l’accento sul “carattere economico e strategico assunto dall’eventuale presenza nell’area di intervento della risorsa mineraria sfruttabile per la produzione di batterie elettriche, oltre che di quello ambientale correlato alla possibilità di estrarre tale risorsa mediante un procedimento che elimina il rilascio di CO2 in atmosfera”.
Vulcan, dal canto suo, parla già di risultati “molto incoraggianti” anche per le condizioni favorevoli del luogo che permetterebbero il recupero del minerale “senza alcun trattamento preventivo” e a “velocità di recupero molto elevate”. Per la Regione Lazio non ci sono impatti significativi e quindi si rilasciano, per cinque anni, le autorizzazioni necessarie.
Enel Green Power Italia srl è titolare della ricerca geotermica “MONTE TERMINE”, nei comuni di Barbarano Romano, Bassano Romano, Capranica, Oriolo Romano, Sutri e Vejano (VT) e Bracciano, Canale Monterano e Manziana (RM).
Inoltre è anche autorizzata alla ricerca geotermica “CASTEL GIULIANO”, nei comuni di Anguillara Sabazia, Bracciano, Campagnano di Roma, Cerveteri, Manziana e Roma (RM).
La soc. Berofin srl, con sede legale in Bolzano, ha ottenuto un’autorizzazione regionale alla ricerca di fluidi geotermici nel territorio dei comuni di Sutri, Bassano Romano, Capranica, Ronciglione, Nepi, Monterosi e Caprarola (VT), e fa da battistrada all’australiana Altamin.
“La concessione Campagnano, 1.200 ettari attorno alla frazione Baccano, comprende un pozzo di prova e confina con la concessione Cesano già data alla Vulcan. Un’altra concessione vicina, chiamata Galeria, circa 2.040 ettari, si estende a sud di Cesano e comprende un pozzo geotermico e due di prova”, si legge sul quotidiano di Confindustria.
Altamin è già presente in Italia nelle antiche miniere bergamasche di zinco e piombo, nel comune di Gorno. In più, la società australiana “ha ricevuto dalla Regione Lazio l’esclusione dallo Studio di Impatto Ambientale per Ferento, con la seconda e ultima fase una valutazione da parte della stessa Regione, che avrà inizio immediato”.
“Le salamoie geotermiche ricche di litio rappresentano una risorsa non sfruttata che può essere potenzialmente trasformata in una preziosa materia prima europea”, annuncia l’azienda nel report periodico.
Altamin è rappresentata in Italia anche dalla Energia Minerals srl, che ha ottenuto, in provincia di Viterbo e nel nord della provincia di Roma, numerose concessioni: Ricerca geotermica “RAZZANO”, nei comuni di Roma, Campagnano di Roma, Nepi, Magliano Romano, Formello, Mazzano Romano, Castelnuovo di Porto, Sacrofano, Trevignano Romano e Anguillara Sabazia (RM); Ricerca mineraria “MELAZZA”, nei comuni di Roma, Campagnano di Roma e Anguillara Sabazia (RM) per l’estensione di ettari 368; Ricerca mineraria, denominata “CASSIA”, nei comuni di Roma, Campagnano di Roma, Mazzano Romano e Formello (Roma), per l’estensione di ettari 2.589; Ricerca mineraria denominata “SABAZIA”, nei comuni di Roma, Campagnano di Roma, Trevignano Romano e Anguillara Sabazia (Roma), per l’estensione di ettari 3.247; Ricerca mineraria per litio, denominata “SACROFANO”, nei comuni di Campagnano di Roma, Mazzano Romano, Magliano Romano, Sacrofano, Formello e Castelnuovo di Porto (Roma), per l’estensione di ettari 2.521.
Sempre collegata ad Altamin appare essere la società Futuro Energia srl che ha ottenuto la concessione per ricerca “ARLENA DI CASTRO”, nei comuni di Cellere, Piansano, Capodimonte, Marta, Canino, Tessennano, Arlena di Castro e Tuscania (VT). La stessa Futuro Energia srl ha ottenuto il permesso per ricerca di risorse geotermiche denominata “TUSCANIA”, nei comuni di Tuscania, Monte Romano e Viterbo (VT).
Di Milano è la Geotermia Zero Emission Italia srl, che ha ottenuto l’autorizzazione per la ricerca per risorse geotermiche denominata “ORIOLO ROMANO”, nei comuni di Oriolo Romano, Barbarano Romano, Capranica, Sutri, Vejano e Bassano Romano in provincia di Viterbo e nella Città Metropolitana di Roma nei comuni di Canale Monterano, Manziana, Bracciano e Trevignano Romano.
Proteste si sono sollevate da Caprarola per la ricerca per fluidi geotermici denominata “LAGO DI VICO”, a causa della proroga della durata, riperimetrazione dell’area e trasferimento del titolo minerario alla società bolzanina Geothermics Italy Lazio srl, in una zona particolarmente vocata all’agricoltura di qualità ed al turismo.
Proteste simili si sono accese nell’area di Bolsena, soprattutto perché, dal punto di vista paesaggistico e di conservazione ambientale, le ricerche minerarie su aree vaste condizionano non poco la difesa di quei suoli.
L’attività mineraria italiana è regolata dal Regio Decreto N° 1443 del 1927, successivamente modificato, ma la Regione Lazio sembra subire del tutto il fascino discreto del green power, nella sua più aggressiva e moderna accezione liberista.
Oltre allo sfruttamento minerario alla ricerca del litio, nella Tuscia sta decollando la posa in opera di impianti eolici. Già preceduti dal primo maxidistretto delle rinnovabili, individuato dal Governo Draghi al largo di Civitavecchia, anche l’eolico su terra sta prendendo piede all’interno dell’area viterbese con autorizzazioni regionali alla FRI-EL spa, ma per il momento negata alla milanese IRIS Rinnovabili srl, in quanto l’evidente impatto ambientale della sua richiesta non lo permette.
La società FRI-EL Green Power spa ha ottenuto il permesso regionale per la costruzione d’un parco eolico per un totale di 29,4 MW ad Arlena di Castro, Tuscania e Cellere. Specializzata in parchi eolici e in impianti a biogas, la società è stata partner di EDF e di ENI.
Appare invece di forte e continuo impatto la presenza degli impianti fotovoltaici su terra agricola, in tutta la Tuscia viterbese.
Le coperture di suolo autorizzate dalla Regione Lazio sono molte decine solo nell’ultimo biennio. Da Tuscania ad Acquapendente, da Arlena di Castro a Tarquinia, da Tessennano a Cellere, da Montalto di Castro a Valentano, la provincia di Viterbo è percorsa dalla rapacità di piccole e grandi società che propongono ad agricoltori locali “l’affare del secolo”, che consentirà di non pagare la corrente elettrica ma a costo di perdere per molti anni la gestione di centinaia di ettari di suolo agricolo.
Associazioni locali hanno dato l’allarme su questa perdita secca di terreno che potrebbe essere evitata, se solo si coprissero di pannelli fotovoltaici i capannoni agricoli, le stalle, le abitazioni di campagna o si ponessero gli impianti rialzati dal suolo coltivato, come in rari casi accade in altre regioni.
Nella giungla delle autorizzazioni concesse dalla Direzione regionale AIA-VIA-VAS-VINCA, appaiono impianti fotovoltaici che vanno ad occupare fino ad oltre 100 ettari di terra strappata alle coltivazioni, per produrre singolarmente anche fino a 75 MWP e contribuendo così all’inaridimento dei suoli, tanto che alcuni comitati locali stanno chiedendosi cosa produrrà più l’agricoltura della Tuscia e cosa mangeranno i viterbesi, se si continuerà ad occupare terreno agricolo.
Coccolate dalla cecità dei governanti asserviti al capitale, le varie aziende della “svolta green nazionale” stanno aggredendo anche la tranquilla Tuscia, trasformandola in un laboratorio del profitto privato, a discapito di popolazioni contadine e di quel che resta dell’agricoltura locale.
U.C.
Da Scintilla n. 144, aprile 2024
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