L’aggravamento della situazione e la via da seguire per avanzare nel cammino rivoluzionario

La situazione economica e politica nei paesi imperialisti e capitalisti si aggrava. L’avvento della presidenza Trump rafforza lo sciovinismo nella politica economica e la lotta per i mercati esteri, inasprisce i rapporti fra i vari paesi, creando le basi per nuovi conflitti militari come mezzo per una nuova spartizione del mondo.

Ciò determinerà una maggiore frammentazione e divergenza dell’economia  capitalista in un quadro di incertezza politica, instabilità, tensioni e dispute geopolitiche, scontri sociali crescenti in numerosi paesi.

Un aspetto di questo processo sarà la continuazione del calo del commercio mondiale e dell’indebolimento della produzione, che in genere, nei maggiori paesi capitalisti e imperialisti già sono in declino.

In Italia l’economia, dalla metà dello scorso anno, è in stagnazione e l’industria manifatturiera in crisi profonda (23 mesi di calo consecutivo della produzione). Le vendite al dettaglio sono in contrazione, stante le riduzioni del salario reale, la Cig in aumento, la povertà dilagante. L’export è in flessione, anche a causa della recessione della Germania e della crisi dell’auto. L’inflazione è di nuovo in risalita nell’Eurozona e con il protezionismo economico, i dazi e le crescenti restrizioni commerciali, aumenterà ancora.

Il debito pubblico italiano ha sfondato quota tremila miliardi di euro. Un’ascesa inarrestabile che fa aumentare la spesa per interessi e spinge verso ulteriori tagli di sanità, pensioni, scuola pubblica e stangate antipopolari.

Ciò non solo riduce i margini per concessioni economiche a strati intermedi, ma crea anche un fattore di seria vulnerabilità e instabilità economica e politica in caso di crisi finanziaria.

L’aumento delle spese militari che nel 2025 assommeranno a 32 miliardi con un aumento del 14% sul 2024, e che solo per le armi cedute all’Ucraina supera i 3 miliardi, contribuisce a rendere sempre più stretti i margini del bilancio statale.

Questa situazione, che smentisce completamente i “grandi successi” governativi, si verifica nonostante i 122 miliardi ricevuti per il Pnrr, di cui ne sono stati spesi circa il 30%, più che altro per il sostegno alle “sei sorelle” (Enel, Eni, Leonardo, Terna, Poste, FS) e altri gruppi monopolistici delle costruzioni, dell’elettronica, etc.

Intanto, nel corso del 2024 sono raddoppiati i lavoratori ufficialmente coinvolti da crisi aziendali: a dicembre 2024 sono diventati circa 106 mila mentre a gennaio erano 58 mila. A questi vanno aggiunti circa 13 mila gli addetti di piccole e medie aziende che hanno perso il lavoro. Complessivamente si tratta di circa 119 mila lavoratori e lavoratrici sotto attacco.

I settori maggiormente colpiti sono l’auto e la sua filiera, la chimica di base, il sistema moda, l’industria della carta, l’energia.  Vanno inoltre considerate anche le decine di migliaia di lavoratrici e lavoratori di aziende in crisi che hanno tavoli aperti a livello regionale, per i quali non esiste una mappatura nazionale da parte delle istituzioni.

Negli ultimi tempi alcune importanti vertenze si sono aggiunte a un quadro già drammatico. Solo per fare alcuni esempi:

  • Beko (elettrodomestici) 4.400 lavoratori a rischio;
  • Bellco (biomedicale) 500 licenziamenti;
  • Eni Versalis (chimica di base) 8.000 licenziamenti diretti più 24.000 dell’indotto;
  • In Brianza numerose aziende metalmeccaniche in crisi, con 11 mila posti di lavoro a rischio;
  • Coin e Conbipel (commercio) 2000 + 1400 lavoratori a rischio licenziamento;
  • Meta System (indotto auto) 700 operai;
  • Giano, Gruppo Fedrigoni (cartiera) 300 operai fra diretti e indotto;
  • 494 licenziamenti di Almaviva (telecomunicazioni) al 31 dicembre;
  • Flex elettronica di Triesete, 350 licenziamenti;
  • Lafert di Fusignano (RA), chiusura il 31 marzo con 60 licenziamenti;
  • Berco di Copparo ( Fe) e Castelfranco Veneto (TV) mette fuori 400 operai che saranno “ricollocati” sulla base di un accordo sindacale;
  • Speedline (VE) verso la chiusura mettendo fuori gli ultimi 250 addetti;
  • Navico (FI) delocalizza in Messico, 27 lavoratori per strada;
  • C’è poi la grande crisi di Stellantis e indotto, che non vede soluzione e minaccia il futuro di migliaia di operai.

I fatti parlano chiaro. Il governo Meloni in due anni e mezzo ha realizzato una politica di austerità a difesa di profitti, sovraprofitti e rendite; ha attaccato salari e pensioni, sanità e istruzione pubblica, peggiorando le condizioni di vita e di lavoro della classe operaia e delle masse popolari.

Ha distrutto forze produttive; smantellato ulteriormente la sanità e la scuola pubblica; eliminato misure di sostegno ai disoccupati e i poveri, usato il fisco per saccheggiare le retribuzioni dei. lavoratori; liberalizzato i prezzi dell’energia mandando le bollette alle stelle.

Contemporaneamente ha varato provvedimenti repressivi mandando avanti quel processo di fascistizzazione, di reazione galoppante, di costruzione di uno stato poliziesco che riceve impulso dalla politica di guerra e dal peggioramento della situazione economica e finanziaria.

Nonostante la demagogia sociale diffusa dai media che controlla, il governo di estrema destra non è riuscito ad ampliare e consolidare le sue basi di massa composte essenzialmente da strati piccolo borghesi, non è riuscito a fiaccare la resistenza operaie e popolare.

Anche a livello elettorale ha visto restringere i suoi consensi, come dimostrano le ultime tornate elettorali locali. Ciò significa che vi sono sempre più strati sociali insoddisfatti e colpiti dalle politiche di questo governo.

Sul piano estero, la Meloni è corsa dal monopolista fascio-sovranista Trump due volte nei mesi scorsi.  Vorrebbe proporsi come “ponte” tra i gangster USA e i monopoli UE, rafforzando la subalternità a Washington nella politica di guerra e nelle dispute a livello internazionale, aumentando le spese militari. E gioca anche la carta della direzione di un fronte di estrema destra teso a sostituirsi alla democrazia liberale.

Meloni non riceverà “comprensione” da Trump, ma dazi e tariffe che si ripercuoteranno pesantemente specie sulle piccole e medie aziende esportatrici (l’Italia è fra i paesi più esposti ai dazi USA). E sul piano europeo incontrerà grosse difficoltà e contrarietà a questo ruolo con cui vorrebbe presentarsi all’opinione pubblica, così come incontrerà seri ostacoli nello sviluppo del “Piano Mattei” in Africa e in Medio Oriente.

Le contraddizioni sul piano economico e finanziario (inclusa la disputa per il controllo del “salotto buono” del capitalismo italiano, Mediobanca e Generali, assai rischiosa per il governo che dovrà vedersela con i colossi della finanza internazionale come Blackrock e Natixis che mirano a intromettersi nel sistema bancario per fagocitarlo pezzo dopo pezzo) si intensificheranno nel prossimo periodo assieme a quelle sul piano politico e sociale, mentre il paese sarà sempre più trascinato nella politica di guerra.

In questo periodo il malcontento di massa e la mobilitazione operaia e popolare sono cresciuti, nonostante il tentativo del governo d’intimorire, immobilizzare e reprimere i proletari e le masse, nonostante la politica dei collaborazionisti sindacali  e dei partiti riformisti e liberali che fanno solo una pallida opposizione parlamentare.

Negli ultimi mesi si sono succeduti:

-Sciopero nazionale dei lavoratori del settore automobilistico, 18 ottobre;

-Sciopero generale del 29 novembre e altri scioperi indetti dai sindacati di base;

-Sciopero dei lavoratori della scuola e della sanità e pubblico impiego;

-Numerosi scioperi dei lavoratori dei trasporti, nonostante le precettazioni di Salvini;

-Scioperi per i rinnovi contrattuali (metalmeccanici, pubblici dipendenti e altri settori);

-Scioperi e dimostrazioni per difendere il lavoro, contro i licenziamenti, per l’aumento dei salari, in centinaia di aziende;

-Manifestazioni nazionali contro il Ddl 1660, contro l’autonomia differenziata;

-Manifestazioni e vibranti proteste di strada studentesche e giovanili, delle donne;

-Manifestazioni di solidarietà per la Palestina.

Un panorama tutt’altro che pacificato, in cui la lotta di classe si sviluppa quotidianamente.

I fatti dimostrano che il governo Meloni non ha la forza né la capacità di bloccare il movimento di lotta della classe operaia e delle masse popolari con la sua politica antipopolare, reazionarie e guerrafondaia, le misure repressive e la demagogia sociale.

La sua capacità di tenuta sta più che altro nell’impotenza e nel balbettio della falsa opposizione parlamentare, nella politica di freno e divisione delle burocrazie sindacali collaborazioniste.

Contro la politica del governo Meloni la mobilitazione operaia e popolare crescerà ancora. La difesa del diritto a manifestare e scioperare sarà un terreno di lotta importante, su cui sviluppare la coscienza rivoluzionaria e le necessità di organizzarsi. Così come assumono maggiore importanza il sostegno e lo sviluppo  dell’antifascismo militante e di massa.

Occorre lavorare per aprire una fase di lotta più estesa e intensa di protesta sociale, per far pagare i padroni e i ricchi, per  realizzare un grande movimento di fronte unico proletario e di fronte popolare contro il governo Meloni, che indebolisca e renda ancora più instabile il fronte borghese.

Il prossimo periodo sarà di aggravamento della crisi generale del capitalismo sotto ogni aspetto.

Non siamo di fronte a una stagione di “diritti” come va cianciando Landini, ma a un periodo di offensiva capitalista e imperialista più brutale sul piano interno e internazionale.

La situazione internazionale determinata dall’acutizzazione di tutte le principali contraddizioni di questo sistema porterà la classe operaia e i popoli a rispondere colpo su colpo portando sempre più  la lotta sul terremo della politica rivoluzionaria e non solo su quella economica rivendicativa.

In questo scenario, ogni lotta, ogni sciopero deve diventare  un momento per aprire crepe nel fronte nemico, aumentare la fiducia nelle propri forze e preparare la cacciata del governo Meloni, che è in difficoltà, con la mobilitazione di massa, rendendo più difficile l’avvento e il mantenimento al potere di altri governi borghesi.

Per avanzare su questa via, bisogna avere chiaro che contro il potere della borghesia il proletariato non può agire, in quanto classe, se non costituendosi in  partito politico separato e contrapposto a tutti i partiti  formati dalle classi proprietarie.

La costituzione di un  partito indipendente della classe, con un proprio programma e una linea politica rivoluzionaria,  propri obiettivi e scopi,  è indispensabile per dirigere la lotta degli sfruttati e degli oppressi, preparando e avvicinando la vittoria della rivoluzione socialista.

Tutto deve essere finalizzato a questo storico obiettivo, con chiarezza ideologica e fermezza di posizioni politiche, sviluppando quotidianamente la pratica nella classe e il processo di unità dei comunisti e degli operai coscienti.

Da “Scintilla” n. 151, febbraio 2025

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