L’Algeria ricorda alla Francia i massacri del 1945

Corrispondenza
Durante la Seconda Guerra mondiale non fu trascurabile il contributo dei popoli colonizzati
(africani, asiatici, americani) per la sconfitta del nazifascismo. Nella stessa invasione dal fronte sud
europeo, ma anche in quella dalla Normandia, il contributo di sangue da parte dei nordafricani, dei
senegalesi, degli indocinesi, a supporto delle forze alleate, è stato considerevole. Proprio perciò, l’8
maggio 1945, si festeggiò non solo sul suolo europeo la vittoria sul nazismo, ma anche, ad esempio,
in Algeria il popolo si riversò per le strade a manifestare gioia e soddisfazione per il successo
militare.
Il popolo algerino era però, dal 1820, sotto il giogo coloniale della Francia. A Sétif, sull’altopiano
nordorientale (a 300 km da Algeri ed a 130 da Costantina), così come a Kherrata ed a Guelma, la
folla improvvisò grandi manifestazioni rivendicando anche l’indipendenza ed un giovane, Saal,
sventolò la bandiera algerina. Fu il primo caduto di una crudele carneficina operata dalle forze
d’occupazione coloniale.
La repressione della Francia fu particolarmente feroce: secondo gli storici algerini, caddero non
meno di 45.000 abitanti della colonia nordafricana, uccisi dal fuoco dell’artiglieria pesante,
bombardati dagli aerei e dalle navi. Oggi, altri storici di parte francese riducono della metà gli
algerini massacrati nel corso di 40 giorni di esecuzioni sommarie.
La richiesta dei manifestanti, scesi in piazza senza armi, era semplice e, forse, ingenua: “Noi vi
abbiamo aiutato a sconfiggere il nazifascismo in Europa, ora dateci la libertà, l’indipendenza!”. La
potenza coloniale ha risposto con la repressione e col disprezzo e, alla nascita della Quarta
Repubblica (durata dal 1946 al 1958), ha tenuto a definire il popolo algerino come “francese di
seconda classe”.
Nel 1954, lo stesso vessillo sbandierato da Saal a Sétif nove anni prima, ha costituito il punto di
partenza della lotta per l’indipendenza del popolo algerino, ottenuta solo nel 1962, dopo ulteriori
massacri che costarono un milione e mezzo di morti.
Nel 1956, la Francia aveva già concesso l’indipendenza al Marocco ed alla Tunisia.
La seconda guerra mondiale aveva infatti condotto non solo al crollo dei regimi fascisti, ma aveva
anche scosso le basi delle vecchie potenze colonialiste come la Francia, indebolendole e creando le
condizioni per lo sviluppo della lotta di liberazione nazionale dei popoli in Algeria, Congo, Vietnam
del sud, ecc.
Oggi, il presidente algerino, Abdelmadjid Tebboune, un uomo di potere supportato dall’esercito che
non può certo essere definito antimperialista, ha ricordato con parole particolarmente infuocate i
massacri coloniali iniziati l’8 maggio 1945, accusando la Francia di avere la memoria corta, di non
voler ricordare i fatti della storia, di non volersi scusare, di non voler ricompensare le famiglie dei
martiri di allora.
Il problema della “memoria corta” – che non appartiene certamente solo alla Francia – è in effetti un
nodo cruciale che obbliga il Paese transalpino a guardarsi allo specchio e ad affrontare, con estrema
lentezza, il suo rapporto con Haiti, con Guadalupa e Martinica, con la Nuova Caledonia, con i
popoli ex colonizzati del Sahara, del Sahel, del Golfo di Guinea, ecc.
L’odierno imperialismo francese, figlio e continuatore del colonialismo secolare, si sta rifugiando
nella repressione dell’opposizione interna (le ultime decisioni governative contro i ProPal e le
Gardes Rouges lo testimoniano) e nell’ormai esausto tentativo di riproporre un suo ruolo egemone
nell’Unione europea e nei vari scenari internazionali. La crisi economica, politica, sociale, sta infatti
attraversando come non mai anche quel che resta della potenza imperialista francese.
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