L’asse Orsini-Meloni per una politica ad esclusivo servizio dei capitalisti

Il 18  settembre si è tenuta a Roma l’annuale assemblea di Confindustria guidata dal neo-presidente Orsini alla quale è intervenuta la premier Giorgia Meloni.

Essa ha stabilito tra le due parti una notevole concordanza di vedute e di propositi sul tema essenziale del sovvenzionamento, paese e occulto, sotto diverse forme, da parte dello stato al capitale che non riesce a valorizzarsi adeguatamente.

Confindustria e governo rivendicano i “meriti” per una “tenuta”  del sistema economico  e finanziario.

Un’affinità che manda in soffitta il “non disturbare chi fa” sostituito dal “facciamo assieme”, ovvero una politica ad esclusivo servizio dei capitalisti.

Stato e governo devono favorire le imprese e i loro profitti. Il matrimonio d’interesse suggellato all’assemblea di Confindustria vede come regalo di nozze un trasferimento di risorse dallo stato alle imprese che innovano, a detta della Meloni, di 19 miliardi: 6,3 in via diretta e il resto via detrazione d’imposta. Fanno quasi una finanziaria e si aggiungono ai miliardi arrivati via PNRR su progetti “con elevato moltiplicatore” (di profitto).

Questo mentre per gli operai e le masse lavoratrici c’è l’austerità, ovvero sacrifici senza fine.

Secondo Orsini e Meloni l’Italia “cresce più degli altri paesi europei”. Come se un zero virgola in più, contingente ed aleatorio, avesse qualche significato reale; come se “l’Italia quarto esportatore mondiale” non sia la maschera di un “Made in Italy” che spesso si limita all’apposizione di un’etichetta finale a prodotti fatti in paesi terzi e come se un 3% in più di occupazione precaria  potesse cambiare un quadro di prospettive che più importanti rami della produzione di beni materiali rimane a fosche tinte con cassa integrazione che dilaga, esuberi e licenziamenti che incombono.

Sull’occupazione i conti non tornano. A bocce ferme determinerebbe un aumento del reddito nazionale di più punti percentuali, non dello zero virgola.

Ma come abbiamo già rilevato, essa è in relazione con l’artificio della statistica borghese che ritiene occupato anche chi lavora un giorno ogni tanto e con il trasferimento dell’occupazione in settori a basso valore aggiunto incapaci di far crescere l’economia generale nella stessa proporzione.

Lo stesso Orsini ammette un arretramento complessivo dell’industria del 6%, in un quadro di accanita concorrenza fra i diversi rami di investimento del capitale. Meloni rivendica il salvataggio di qualche grossa impresa: dimentica di dire quante lotte sono stare spese dagli operai a questo scopo, e dimentica quante fabbriche, nonostante i “tavoli” ministeriali, hanno chiuso o stanno chiudendo.

Anche il salario per il governo sarebbe in crescita di un 3% con il potere d’acquisto che “recupera” grazie ai contratti patrocinati dal governo ed ai “sostegni alle famiglie con figli”. Ma a chi la vogliono raccontare? Questi signori vanno ogni tanto a fare la spesa? Pagano qualche bolletta? Aggiustano qualche volta la macchina? Cambiano qualche elettrodomestico? Riparano qualche danno da maltempo? Fanno qualche visita privata? O qualche esame medico urgente a pagamento?

A parte questo, un 3% di aumento salariale non è che una piccola frazione di quanto perso in due anni di inflazione galoppante tenuta a stento a freno dal forte aumento dei tassi bancari, che tra l’altro hanno fatto schizzare alle stelle pure i costi dei mutui e dei prestiti in genere.

Secondo Orsini quello dell’aumento della produttività (più prodotto per ora di lavoro) rimane il problema centrale.

Il divario di produttività con gli altri paesi europei è in aumento dagli anni ‘90, si è acuito in questo secolo e non accenna a diminuire.

Da marxisti sappiamo che la produttività del lavoro è determinata da: a) dalla massa e dalla qualità dei mezzi di produzione usati dagli operai; b) dall’intensità del lavoro, ossia dallo sforzo fisico e intellettuale che l’operaio compie lavorando.

Quanto al primo fattore, Orsini e Meloni lo fanno intendere, con l’ordine di decine di miliardi si può fare poco. Il capitale fisso ad alta tecnologia, tra cui, ultimamente l’IA, costa un’enormità, sull’ordine delle centinaia di miliardi l’anno, come si evince dal velleitario rapporto Draghi che prevede investimenti per 800 miliardi l’anno.

I padroni si rendono conto che la prima via costa una mole enorme di investimenti e non è percorribile. Quelle spese non sono in grado di affrontarle, né in Italia – dove tra l’altro non prevalgono le grandi imprese –  né negli altri paesi UE. La dimensione competitiva, oggi, si gioca su aree economiche di centinaia di milioni di abitanti, a colpi di dazi. Se l’UE si trova in evidente difficoltà, figuriamoci un singolo paese imperialista come l’Italia, dove il debito pubblico è alle stelle e lo spostamento di grandi somme a beneficio dei monopoli acuisce l’impoverimento di massa.

Sotto questo punto di vista, ai capitalisti per aumentare la produttività non rimane che concentrare la produzione nell’ambito dei monopoli, limitandola alle imprese meglio attrezzate e automatizzate che eliminano i piccoli produttori.

Ma la seconda via, l’accresciuta intensità del lavoro, non viene certo abbandonata. Al contrario: è all’ordine del giorno per padroni e governo.

Ce lo dicono le proteste e le lotte contro carichi e ritmi di lavoro, le morti sul lavoro in aumento, le esperienze dirette di compagni, amici e conoscenti. Ce lo dice la dinamica del salario reale ferma da decenni. Ce lo dice la tradizione sindacale di moderazione e pace sociale che viene evocata e invocata da Orsini: “noi e i sindacati abbiamo tanto da fare assieme”. Non è difficile capire cosa: spremere come limoni gli operai!

Orsini e Meloni lamentano inoltre un 40% in più del costo energetico. Soluzione? Le centrali nucleari “sicure” di ultima generazione.

Ammesso che parta un piano per costruirle (il disegno di legge 1660 è studiato anche per spazzare via la prevedibile e auspicabile opposizione sociale) ci vogliono dodici anni dal momento della posa del primo mattone.

La revisione dei tempi della transizione ecologica si può  leggere come la difesa dei monopoli dell’energia di origine fossile e del minerario. E intanto i disastri da “clima impazzito” ricorrono sempre più spesso.

Per il resto, il programma dell’asse Orsini-Meloni è chiaro: piena libertà al capitale liberandolo da “lacci e lacciuoli”, approvare rapidamente le controriforme (autonomia differenziata, premierato e giustizia, pensioni e scuola), i Ddl come il 1660 e quello sul Lavoro per estendere il lavoro precario e supersfruttato, reprimere le proteste, coltivare ambizioni imperialiste nel “Mediterraneo allargato”.

Se questo è quanto ci viene prospettato, ritroviamo tutte le ragioni del nostro impegno di comunisti a fianco degli sfruttati e degli oppressi, per un’alternativa di rottura con il sistema capitalista-imperialista,  marcio dalle fondamenta.

Una lotta che oggi deve vedere una tappa importante nella caduta  di un governo padronale che continua a far danni materiali e sociali di cui le larghe masse lavoratrici pagano e pagheranno sempre più le spese.

Da Scintilla n. 148, ottobre 2024

 

 

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