Le democrazie popolari europee del Novecento: una forma specifica di dittatura del proletariato

  1. Fra l’agosto 1944 e il maggio 1945 l’Armata Rossa, nella sua travolgente avanzata verso Berlino, liberava dal dominio nazista la Polonia, l’Ungheria, la Romania, la Bulgaria, la Cecoslovacchia e la Germania orientale, favorendo anche la liberazione della Jugoslavia e dell’Albania.

In quei paesi si erano formati, contro gli occupanti nazisti, dei Fronti antifascisti (per esempio, il Fronte patriottico in Bulgaria, il Fronte dell’indipendenza in Ungheria, il Fronte democratico nazionale in Romania, il Fronte nazionale antifascista in Cecoslovacchia, il Fronte antifascista di liberazione Nazionale in Albania, e altri). Ad eccezione dell’Albania, nella quale il Partito comunista (poi Partito del Lavoro) assunse da solo la direzione del nuovo Stato democratico-popolare nato dalla guerra di liberazione, in altri paesi furono formati dei governi d coalizione con la partecipazione di vari partiti politici, espressione di diverse classi sociali.

Compito dei comunisti che partecipavano a questi governi di coalizione fu, inizialmente, quello di assicurare lo sviluppo democratico di quei paesi contro le sopravvivenze reazionarie e fasciste, costruire all’interno del Fronte un blocco di sinistra ed impedire che le forze di destra rafforzassero i loro tradizionali legami con i ceti medi delle città e la popolazione delle campagne. Furono attuate delle profonde riforme agrarie e introdotte alcune nazionalizzazioni; furono creati nuovi organi di potere popolare, come i Consigli popolari in Albania, i Comitati del Fronte Patriottico in Bulgaria, i Comitati  del Fronte Nazionale in Cecoslovacchia, ecc.

Ma si poneva per i comunisti, sotto il profilo teorico e politico, il problema della prospettiva. Qual era la natura di classe di questi nuovi regimi di democrazia popolare? E quale “via” essi avrebbero dovuto seguire nel loro sviluppo in direzione del socialismo?

In questo articolo ci proponiamo di esaminare – attraverso le dichiarazioni di alcuni loro dirigenti – quali furono le posizioni assunte da alcuni partiti comunisti di quei paesi nei primi anni di esistenza degli Stati a democrazia popolare, e come esse furono, più tardi, modificate attraverso un processo di profonda critica e autocritica bolscevica (i neretti evidenziatori sono nostri).

 

  1. «La lotta per il socialismo è diversa oggi da quella che era nel 1917 e nel 1918 nella Russia zarista, nel tempo della rivoluzione d’Ottobre. Allora era essenziale rovesciare lo zarismo russo, era essenziale la dittatura del proletariato per poter passare al socialismo. Da allora sono trascorsi oltre tre decenni, e l’Unione Sovietica, come Stato socialista, è diventata una grande potenza mondiale. […] Che tutte le nazioni grandi e piccole siano destinate a passare al socialismo non può esservi dubbio alcuno, perché ciò è storicamente inevitabile per i piccoli come per i grandi popoli. Il punto cruciale della questione, e noi marxisti-leninisti dovremmo saperlo bene, è questo: ciascuna nazione effettuerà il passaggio al socialismo non per un cammino già tracciato, non esattamente come è avvenuto nell’Unione Sovietica, ma seguendo la propria strada, a seconda delle sue peculiarità storiche, nazionali, sociali e culturali» (Giorgio Dimitrov, Rapporto al Congresso del Partito Operaio Bulgaro, febbraio 1946).

«Il nostro popolo è per una repubblica parlamentare che non sia una repubblica plutocratica. Esso è per un regime repubblicano popolare e non per un regime repubblicano borghese. Cosa vuol dire ciò? Ciò vuol dire: 1) che la Bulgaria non sarà una repubblica sovietica, ma una repubblica popolare nella quale la funzione dirigente sarà assolta dalla grandissima maggioranza del popolo – dagli operai, dai contadini, dagli artigiani, dagli intellettuali legati al popolo. In questa Repubblica non ci sarà nessuna dittatura, ma il fattore fondamentale e decisivo sarà la maggioranza lavoratrice della popolazione». (Giorgio Dimitrov. Discorso del 16 settembre 1946).

«L’esperienza e l’insegnamento marxista-leninista mostrano che la dittatura del proletariato e la costruzione di un regime sovietico non sono la sola strada che conduce al socialismo. In determinate condizioni, il socialismo può essere raggiunto per altre vie. La disfatta del fascismo e le sofferenze dei popoli hanno rivelato in molti paesi il vero volto della classe dominante e hanno insieme accresciuto la fiducia del popolo in se stesso. In simili momenti storici appaiono nuove vie e nuove possibilità. […] Noi stiamo marciando sulla nostra strada verso il socialismo» (Klement Gottwald, Discorso al Comitato Centrale del Partito Comunista Cecoslovacco, ottobre 1946).

«Dobbiamo mostrare da che cosa dipendono l’una dall’altra l’edificazione della democrazia popolare ungherese e la via che conduce al socialismo. I partiti comunisti hanno imparato durante quest’ultimo quarto di secolo che non c’è una sola via del socialismo, ma che la sola che effettivamente vi conduce è quella che si prende tenendo cono della situazione propria di ogni paese.[…] Solo la democrazia popolare permette al nostro paese di marciare verso il socialismo attraverso l’evoluzione sociale, senza guerra civile» (Mathias Rakosi, Discorso al II Congresso del Partito Comunista Ungherese).

 

  1. In queste analisi e in queste posizioni teoriche e politiche è evidente la presenza di indeterminatezze, confusioni ed errori, dovuti sia a un’esperienza ancora iniziale e poco matura delle «nuove vie», sia a un rapporto poco chiaro fra il compito immediato (il consolidamento del nuovo regime democratico sorto dalla vittoria antinazista e antifascista) e i compiti a più lungo termine dell’edificazione del socialismo. Vi è anche un’accentuazione eccessiva e unilaterale dell’elemento nazionale, che viene «isolato» e sciolto dai suoi nessi con l’internazionalismo.

Si riconosce e si afferma giustamente, in queste dichiarazioni, che ciascuna nazione effettuerà il passaggio al socialismo non «per un cammino già tracciato», ma «seguendo una propria strada, a seconda delle sue peculiarità storiche, nazionali, sociali e culturali». Vi erano delle effettive particolarità in quella situazione storica: per esempio, l’estromissione dal potere delle vecchie classi dominanti non a conclusione di una guerra civile, ma a sèguito della presenza armata – sul territorio – dell’Esercito Rosso; la sopravvivenza dell’istituto parlamentare (eredità del periodo prebellico), che coesisteva con i nuovi organi di potere popolare. Ma queste particolarità vengono confuse con la questione fondamentale della natura di classe del nuovo potere. Non viene chiarito il problema della direzione politica. Non viene affermato, o viene mezzo in ombra, il ruolo dirigente della classe operaia e del suo partito – il partito comunista – nel sistema di potere della democrazia popolare (ruolo che, nella dittatura del proletariato, è decisivo e insostituibile).

Negli anni successivi questi errori di analisi e di prospettiva poterono, come abbiamo già detto, essere corretti autocriticamente, Ma non va neppure dimenticato che, all’interno di alcuni di quei partiti comunisti, erano presenti anche tendenze opportuniste di destra che giungevano fino all’aperta revisione teorica dei fondamenti del marxismo-leninismo.

La posizione revisionista più organica fu quella espressa, in seno al Partito Operaio Unificato Polacco (P.O.U.P), dalla tendenza di destra rappresentata, in quegli anni, dal suo segretario generale Wladislaw Gomulka, Nel suo discorso del 30 novembre 1946 all’Assemblea degli attivisti di Varsavia del Partito Operaio Polacco e del Partito Socialista Polacco [che poi si fusero nel P.O.U.P.] Gomulka così si esprimeva:

«Il Partito operaio polacco ha basato la sua concezione di una via polacca verso il socialismo che non comporta la necessità di violente scosse rivoluzionarie nell’evoluzione della Polonia ed elimina il bisogno di una dittatura del proletariato, come forma del potere nel momento più difficile di transizione Sulla base di elementi reali, abbiamo avvertito la possibilità di una evoluzione verso il socialismo attraverso un sistema popolare democratico, nel quale il potere viene esercitato dal blocco dei partiti democratici».              

Proseguiva poi indicando «le tre principali differenze che esistono fra la via di evoluzione dell’Unione Sovietica e la nostra».

«La prima differenza sta in ciò, che i cambiamenti politico sociali vennero realizzati attraverso rivoluzioni sanguinose, mentre da noi vengono realizzati in modo pacifico. La seconda differenza sta nel fatto che, mentre l’Unione Sovietica dovette passare per un periodo di dittatura del proletariato, da noi un periodo tale non c’è stato, e può essere evitato. La terza differenza che caratterizza le vie d’evoluzione nei due paesi è che, mentre nell’Unione Sovietica il potere è nelle mani del Consiglio dei Deputati, ossia del Soviet, che riunisce in sé tanto le funzioni legislative quanto quelle esecutive, il che rappresenta la forma del governo socialista, da noi invece le funzioni legislative e quelle esecutive sono separate, e alla base del potere nazionale vi è una democrazia parlamentare».

[…] «In Russia la dittatura del proletariato rimase una forma di governo necessaria anche dopo l’abbattimento della controrivoluzione. […] Oggi la dittatura del proletariato ha cambiato forma e si può dire che è andata estinguendosi con la sparizione della classe degli sfruttatori e della loro ideologia; il suo posto è stato occupato dalla democrazia sovietica come forma di governo del paese. I nemici dell’Unione Sovietica, coloro che non comprendono che cosa significhi la dittatura del proletariato, continuano a sostenere che questa dittatura esiste tuttora in Russia. Questo è naturalmente un non senso politico (sic!)».

[…] «Abbiamo così scelto una via polacca di evoluzione, che abbiamo chiamato linea della Democrazia popolare. Su questa via e in queste condizioni una dittatura della classe operaia, e tanto meno la dittatura di uno dei partiti, non è né necessaria, né avrebbe uno scopo. Noi pensiamo che il potere debba essere esercitato dalla coalizione di tutti i partiti democratici. […] La democrazia polacca esercita il potere attraverso un sistema parlamentare di più partiti, mentre la democrazia sovietica realizza il potere del popolo attraverso i Consigli. […] La via del socialismo in Polonia non è quella che conduce alla dittatura della classe operaia, e la forma per l’esercizio del potere da parte delle masse lavoratrici non deve necessariamente personificarsi in un sistema di Consigli».

Gomulka – che giungeva a negare l’esistenza della dittatura proletaria persino nell’Unione Sovietica! – così sintetizzava le caratteristiche essenziali della democrazia popolare polacca: «L’eliminazione della reazione dal potere in maniera pacifica e la realizzazione da parte della democrazia di grandi riforme sociali senza spargimento di sangue, senza rivoluzione e senza guerra civile».

Queste posizioni antileniniste (che, è bene ricordarlo, non ebbero mai diritto di cittadinanza nel Partito del Lavoro d’Albania sotto la ferma direzione politica e ideologica di Enver Hoxha), furono sconfitte più tardi in Polonia in seguito all’acuta lotta di classe sviluppatasi all’interno del partito. Ma riemersero con Krusciov nel XX Congresso del PCUS, dando origine alla principale corrente del moderno revisionismo.

Altrettanto carica di errori, e particolarmente significativa, è questa definizione dei paesi di democrazia popolare fornita, in Ungheria, da Eugenio Varga nei primi anni del secondo dopoguerra:

«Non è la dittatura della borghesia, ma non è neppure la dittatura del proletariato. Il vecchio apparato statale non è stato spezzato, come avvenne nell’Unione Sovietica, ma si rinnova mediante il continuo assorbimento dei sostenitori del nuovo regime. Non sono Stati capitalisti nel senso abituale della parola, ma non sono neppure degli Stati socialisti. La loro evoluzione verso il socialismo si basa sulla nazionalizzazione dei principali mezzi di produzione, e sul carattere stesso di questi Stati.  Pur conservando il potere statale come oggi esiste, essi possono passare progressivamente al socialismo  spingendo avanti lo sviluppo del settore socialista che già esiste accanto al  settore mercantile semplice (contadini e artigiani) e al settore capitalistico che sta perdendo la sua posizione dominante».

 

  1. Nella seconda metà del 1947 la situazione internazionale subiva dei profondi mutamenti, dovuti al passaggio dell’imperialismo americano a una politica aggressiva ed espansionistica (creazione di basi militari nella parte orientale del bacino del Mediterraneo, prestiti e aiuti militari ai regimi reazionari in Grecia e in Turchia, riarmo e appoggio a tutte le forze reazionarie internazionali), politica che trovò la sua massima espressione nella «dottrina Truman», nel «piano Marshall» e nella violenta campagna ideologica anticomunista scatenata dall’imperialismo americano a livello mondiale.

Nel suo rapporto alla Conferenza di informazione dei rappresentanti di nove partiti comunisti (Unione Sovietica, Jugoslavia, Cecoslovacchia, Polonia, Romania, Bulgaria, Ungheria, Francia e Italia), svoltasi in Polonia nel settembre 1947, Andrej Zdanov denunciava la tendenza degli Stati Uniti d’America al dominio mondiale, sottolineava la formazione – a livello internazionale – di due campi (il campo imperialista antidemocratico e il campo antimperialista e democratico), e criticava la tendenza, presente in alcuni partititi comunisti, di interpretare «lo scioglimento dell’Internazionale Comunista come se esso «significasse la liquidazione di qualsiasi collegamento, di qualsiasi contatto tra partiti comunisti fratelli».

A conclusione di quella Conferenza, fu costituito l’«Ufficio di informazioni fra partiti comunisti e operai», e in seno ai partiti furono riesaminate importanti questioni di natura teorica e politica, fra cui anche quella relative al contenuto di classe degli Stati di democrazia popolare.

 

  1. Nel suo Rapporto al V Congresso del Partito Operaio Bulgaro (19 dicembre 1948), Giorgio Dimitrov così dichiarava:

«Per poter procedere con decisione e fermezza sulla via del socialismo, è necessario chiarire  completamente le idee sul carattere, sulla funzione e sulle prospettive della democrazia popolare e dello Stato democratico popolare. A questo riguardo dobbiamo definire in modo più preciso alcune nostre posizioni avute fino ad ora, e rettificarne altre, partendo dall’esperienza accumulata fino ad oggi, così come dai dati più recenti su questa nuova complessa questione. In che cosa consiste, in breve, la questione?

Primo. […] Lo Stato democratico popolare è lo Stato di un periodo di transizione ed è chiamato ad assicurare lo sviluppo del paese verso il socialismo. Questo significa che, benché il potere dei capitalisti e dei grandi proprietari terrieri sia stato abbattuto e i beni di queste classi siano divenuti proprietà del popolo, le radici economiche del capitalismo non sono ancora state sradicate, permangono e si sviluppano ancora gli elementi capitalistici che tendono a restaurare la schiavitù capitalistica. Perciò la marcia verso il socialismo è possibile solo conducendo un’implacabile lotta di classe contro gli elementi capitalistici, per la loro completa liquidazione.

Secondo. Nelle condizioni create dalla disfatta militare degli Stati fascisti aggressori, nelle condizioni del rapido aggravarsi della crisi generale del capitalismo, dell’enorme aumento della potenza dell’Unione Sovietica, il nostro paese, come anche gli altri paesi a democrazia popolare, assicuratasi la stretta collaborazione con l’URSS e con le altre democrazie popolari, vede aprirsi la possibilità di realizzare il passaggio al socialismo senza creare un regime sovietico, attraverso il regime di democrazia popolare, a condizione che questo regime si rafforzi e si sviluppi con l’aiuto dell’Unione Sovietica e dei paesi di democrazia popolare.

Terzo. Rappresentando il potere dei lavoratori sotto la guida della classe operaia, il regime di democrazia popolare, in queste particolari condizioni storiche, può e deve, come l’esperienza ha già dimostrato, esercitare con successo le funzioni della dittatura del proletariato per la liquidazione degli elementi capitalistici e dei proprietari fondiari rovesciati,  schiacciare e liquidare il loro tentativo di restaurare il potere del capitale».

Non meno importante e ricca di insegnamenti è l’analisi condotta, nel suo Rapporto al I Congresso del Partito Operaio Unificato Polacco (dicembre 1948) dal nuovo segretario del Partito  Boleslaw Bierut, che aveva  denunciato le posizioni di Gomulka come frutto di una «limitatezza nazionalistica» e di una «mentalità piccolo-borghese», come «un ritorno a concezioni opportunistiche socialdemocratiche non completamente sconfitte e continuamente rinascenti, contro le quali il nostro partito ha condotto e deve incessantemente continuare a condurre una lotta senza quartiere».

In quel suo rapporto, Bierut così indicava le funzioni e il carattere dello Stato di democrazia popolare:

«La strada polacca verso il socialismo, malgrado i suoi caratteri particolari, non è qualcosa di essenzialmente diverso, ma solo una variante della strada generale di sviluppo verso il socialismo, variante che può esistere proprio grazie alla precedente vittoria del socialismo nell’URSS, una variante basata sulle esperienze dell’edificazione socialista nell’URSS, con riguardo alla natura specifica del nuovo periodo storico che determina le condizioni dello sviluppo storico della Polonia».

 «Cos’è uno Stato di democrazia popolare dal punto di vista della teoria del marxismo-leninismo? Come si può definire l’essenza, il contenuto di classe e il carattere della democrazia popolare? Si fu inclini a pensare che la democrazia popolare fosse un sistema che qualitativamente e fondamentalmente differisse dal sistema basato sulla dittatura del proletariato. Nel definire il sistema della democrazia popolare in Polonia come specifica strada polacca verso il nuovo regime, la sua particolarità venne spesso intesa nel senso che lo si ritenne uno speciale processo di sviluppo, di cui non era possibile, a quanto si diceva, stabilire in precedenza il punto d’arrivo. Alcuni si raffiguravano il risultato come una sintesi «sui generis» del capitalismo e del socialismo, un particolare regime politico-sociale, in cui su due binari paralleli convivessero sulla base del reciproco riconoscimento gli elementi socialisti e quelli capitalistici. Altri, ritenendo che il sistema della democrazia popolare fosse un effetto temporaneo della specifica situazione determinata dalle condizioni postbelliche, si sforzavano di stabilizzare temporaneamente questa situazione, nella speranza che si potesse in un secondo tempo ritornare alla situazione esistente prima del settembre [allude all’invasione nazista della Polonia del 1° settembre 1939, n.d.r.].

[…]La democrazia popolare non è una forma di sintesi o di stabile convivenza di due regimi sociali di diversa natura, ma è la forma mediante la quale vengono scalzati e progressivamente liquidati gli elementi capitalistici, e nel medesimo tempo la forma che permette lo sviluppo e il rafforzamento delle basi della futura  economia socialista.

La democrazia popolare è la particolare forma di potere rivoluzionario sorta nelle nuove condizioni storiche della nostra epoca, è espressione del nuovo schieramento delle forze di classe su scala internazionale.

[…] «Lo sviluppo della nostra marcia verso il socialismo avviene mediante la realizzazione dei princìpi basilari del marxismo-leninismo in nuove condizioni e in una nuova situazione internazionale. I princìpi sono i seguenti:

  • necessità che la classe operaia, alla testa delle masse popolari, conquisti il potere politico;
  • posizione preminente della classe operaia nell’alleanza operaia-contadina e nel fronte democratico nazionale;
  • direzione affidata al partito rivoluzionario;
  • lotta di classe senza quartiere, liquidazione del grande capitale e dei grandi proprietari fondiari, offensiva contro gli elementi capitalistici».

 

  1. L’esperienza storica del movimento operaio e comunista internazionale costituisce uno straordinario patrimonio di conquiste, di elaborazioni e di vicende, grazie al quale sono state scritte pagine fondamentali nel cammino verso il comunismo. La capacità di verificare nella pratica le teorie e le posizioni politiche, di ammettere e correggere gli errori, di giungere a nuove formulazioni e conclusioni, rappresenta un tratto distintivo del marxismo-leninismo.

La creatività rivoluzionaria della classe operaia e dei popoli, ha permesso nello scorso secolo di dare vita a forme diverse della dittatura del proletariato, dai soviet ai regimi di democrazia popolare, apparse nelle concrete condizioni storiche, di cui dobbiamo fare tesoro per lo sviluppo della nostra teoria e della nostra  pratica rivoluzionaria, potenti strumenti per la trasformazione del mondo.

L’apparizione delle democrazie popolari, come nuove forme statali della dittatura del proletariato, stati socialisti nella prima fase del loro sviluppo, i quali hanno attraversato diversi stadi e applicato differenti misure per distruggere i rapporti borghesi di produzione, ha una grande importanza storica e attuale.

Lo studio delle forme in cui si è incarnata la necessità e l’inevitabilità storica del dominio politico del proletariato, in alleanza ed alla testa delle masse lavoratrici,  per il passaggio alla società senza classi, è fondamentale per i comunisti di oggi. Nostro compito è conquistare l’avanguardia del proletariato e guidare le masse al presa del potere, applicando i principi marxisti-leninisti, trovando le forme concrete di avvicinamento ed approccio alla rivoluzione proletaria ed al socialismo, in conformità con le condizioni storiche e le caratteristiche di ogni paese.

L’idea della democrazia popolare è ancora viva nella coscienza della classe operaia e delle masse lavoratrici, mantiene la sua grande forza.

L’Italia del futuro sarà una democrazia popolare? Quello che è certo è che nel nuovo secolo che si è aperto e nel quale noi comunisti continuiamo la nostra battaglia, nuove rivoluzioni proletarie scuoteranno il mondo e nuovi Stati sorgeranno da esse: ma ognuno di essi sarà una forma particolare di dittatura del proletariato. «Che tutte le nazioni giungeranno al socialismo è assolutamente sicuro, ma tutte ci giungeranno con qualche particolarità, ognuna apporterà un qualcosa di peculiare in questa o quella forma di democrazia, in questa o quella variante di dittatura del proletariato» (Lenin).

 

Luglio 2012                                                                   Piattaforma Comunista

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