M. RAKOSI, IL CAMMINO DELLA NOSTRA DEMOCRAZIA POPOLARE

PRESENTAZIONE

Presentiamo in quest’opuscolo un importante discorso di Mátyás Rákosi, dirigente comunista che ricoprì dal 1945 al 1956 l’incarico di segretario generale del Partito Comunista d’Ungheria e del Partito dei Lavoratori Ungheresi, e fu a capo della Repubblica Popolare d’Ungheria.

Rákosi, che trascorse sedici anni nelle carceri del fascismo ungherese, fu un compagno onesto e fedele alla linea bolscevica di Lenin e di Stalin, un dirigente del Comintern pieno di abnegazione, un esempio cristallino per i giovani comunisti.

Per le sue posizioni marxiste-leniniste fu calunniato e costretto dai kruscioviani a dimettersi da segretario del Partito e a subire un “pensionamento forzato” in Urss. La congiura favorì l’avanzata del revisionismo, dei deviazionisti di destra e delle attività controrivoluzionarie in Ungheria.

Il discorso tenuto da Rákosi il 26 febbraio 1952 presso la Scuola Centrale del Partito dei Lavoratori Ungheresi, sconosciuto ai lettori italiani, mette in luce la lotta senza quartiere sostenuta dai comunisti ungheresi per la vittoriosa instaurazione della Democrazia Popolare, quale forma specifica della dittatura del proletariato differente da quella sovietica.

Due furono i principali fattori per la realizzazione di questo nuovo tipo di organizzazione politica della società: la liberazione dell’Ungheria dal nazifascismo grazie all’Armata Rossa; la conquista della maggioranza decisiva della classe operaia da parte del Partito ungherese.

Con la pubblicazione del presente opuscolo intendiamo in primo luogo far chiarezza sulla figura e l’opera di Rákosi, quale eminente dirigente comunista, che nella dura lotta che si svolse in Europa in quegli anni contro l’imperialismo, la reazione e il revisionismo svolse un ruolo centrale e rilevante, difendendo i principi del marxismo-leninismo.

Per capire l’asprezza della lotta che si svolse in Ungheria, occorre tener presente le parole di Enver Hoxha: “l’Ungheria e la direzione di Rakosi erano divenute bersaglio della reazione internazionale appoggiata dal clero e dal potente ceto dei kulak e dei fascisti horthiani camuffati, del titismo jugoslavo con i suoi agenti capeggiati da Rajk, Kadar (mascherato) ed altri, e infine di Krusciov e dei kruscioviani, che non solo non gradivano Rakosi e quelli che lo sostenevano, ma lo odiavano perché era fedele a Stalin e al marxismo-leninismo e, all’occorrenza, con il peso della sua personalità, si opponeva a loro nelle riunioni congiunte” (E. Hoxha, I Krusciovani, p. 271).

In secondo luogo, alla luce della concreta esperienza ungherese desideriamo porre in piena luce l’importanza della tattica quando è posta al servizio della strategia rivoluzionaria. Dalla lettura del discorso di Rákosi possiamo infatti ricavare molti insegnamenti utili sul ruolo della tattica, della sua applicazione intelligente, articolata e flessibile, adeguata alle concrete circostanze.

La capacità di iniziativa e di intervento politico del Partito diretto da Rákosi, per non farsi isolare e conquistare, grazie alla sua politica rivoluzionaria volta a soddisfare gli interessi delle classi lavoratrici, sempre maggiori simpatie, influenza e appoggio nella classe operaia e tra i suoi alleati, fu un elemento determinante della vittoria.

Con ciò viene demolito anche un tipico luogo comune della storiografia revisionista sui paesi dell’Europa dell’est, quello secondo cui sono state ”rivoluzioni fatte dall’esterno con modelli imposti da Stalin”.

In terzo luogo, il presente opuscolo ha la funzione di rilanciare il dibattito e lo studio sulla questione della Democrazia Popolare, da decenni travisata e mistificata dalle posizioni revisioniste e opportuniste, in particolare quelle sostenute dal PCI togliattiano e dai suoi eredi.

La varietà di forme politiche che si creano nel periodo di transizione dal capitalismo al comunismo dipende dalle concrete condizioni storiche nazionali e internazionali, dalla particolare struttura di classe della società, dalle tradizioni, dalla mentalità, dal livello di sviluppo politico, ecc.

La loro essenza è però la stessa: la dittatura del proletariato, il cui principio fondamentale è l’alleanza del proletariato con le masse lavoratrici della campagna e della città, sotto la direzione del proletariato, per distruggere il capitalismo ed edificare il socialismo, prima tappa della società comunista.

L’esperienza storica ha dimostrato che la Democrazia Popolare, come conseguenza della conquista del potere politico da parte della classe operaia, può e deve adempiere alle funzioni della dittatura del proletariato per la liquidazione degli elementi capitalisti e l’organizzazione di un’economia socialista sulla base della nazionalizzazione socialista dei mezzi di produzione e della pianificazione centralizzata dell’economia.

Il regime di Democrazia Popolare è dunque un particolare tipo di organizzazione del potere politico che appare in concrete condizioni storiche come risultato di un’acuta lotta di classe nella quale il proletariato conquista la maggioranza decisiva delle masse lavoratrici e attraversa diverse tappe, fino a stabilire la sua dittatura e costruire il socialismo.

Il discorso di Rákosi evidenzia che la Democrazia Popolare non sorge dalle elezioni, ma è la conseguenza di un processo rivoluzionario di carattere socialista che comprende diversi momenti dello scontro di classe.

Non è infatti pensabile che i capitalisti, i monopolisti, possano accettare un governo operaio-popolare, l’espropriazione delle loro ricchezze e la fine della legge del profitto senza opporre una resistenza accanita, senza usare la violenza reazionaria.

Di qui la necessità del rovesciamento del potere del capitale e dell’utilizzazione del nuovo apparato statale come strumento di lotta contro gli sforzi delle classi sfruttatrici che vogliono restaurare l’ordine borghese e il capitalismo.

Al di là delle specificità che la Democrazia Popolare assume nei vari paesi, la questione fondamentale, la sua condizione essenziale è il trasferimento del potere dalle mani di una minoranza sfruttatrice alla maggioranza del popolo lavoratore diretto dalla classe operaia, la costruzione di un’ampia coalizione di tutte le sezioni delle masse lavoratrici sotto l’egemonia della classe operaia, in marcia verso il socialismo. Da ciò derivano tutte le trasformazioni economiche, politiche, sociali, istituzionali.

A queste concezioni diversi dirigenti comunisti arrivarono dopo aver commesso indeterminatezze, confusioni ed errori, dovuti sia a un’esperienza ancora iniziale e poco matura delle «nuove vie», sia a un rapporto poco chiaro fra i compiti immediati e i compiti a più lungo termine dell’edificazione del socialismo.

Vi fu infatti chi, come il polacco Gomułka, pensava che la democrazia popolare fosse un sistema che differiva qualitativamente e fondamentalmente dal sistema basato sulla dittatura del proletariato, di cui non c’era più bisogno.

Negli stessi anni in Italia i dirigenti del PCI, dietro la formula della “democrazia progressiva”, seguivano una linea opportunista di destra, che teorizzava l’avanzata pacifica e parlamentare verso il socialismo, senza il potere proletario, giungendo all’aperta revisione teorica dei fondamenti del marxismo-leninismo.

Rákosi fu fra i dirigenti del movimento comunista internazionale che per primi riconobbero limiti, manchevolezza ed errori teorici e pratici sulla questione della Democrazia Popolare, guidando il Partito al loro superamento attraverso un processo di profonda critica e autocritica bolscevica.

L’apparizione delle Democrazie Popolari, come nuove forme statali della dittatura del proletariato, stati socialisti nella prima fase del loro sviluppo, i quali hanno attraversato diversi stadi e applicato differenti misure per distruggere i rapporti borghesi di produzione, ha una grande importanza storica e attuale.

Lo studio delle forme in cui si è incarnata la necessità e l’inevitabilità storica della direzione politica della società da parte del proletariato, in alleanza e alla testa delle masse lavoratrici, per il passaggio alla società senza classi, è fondamentale per i comunisti, in particolare per la gioventù marxista-leninista. Si tratta di un aspetto della formazione dei quadri del Partito per cui lottiamo.

L’Italia del futuro sarà una Democrazia Popolare? Quello che è certo è che nuove rivoluzioni proletarie scuoteranno il mondo e nuovi Stati sorgeranno da esse: ma ognuno di essi sarà una forma particolare di dittatura del proletariato.

«Che tutte le nazioni giungeranno al socialismo è assolutamente sicuro, ma tutte ci giungeranno con qualche particolarità, ognuna apporterà un qualcosa di peculiare in questa o quella forma di democrazia, in questa o quella variante di dittatura del proletariato» (Lenin).

Novembre 2021

Piattaforma Comunista – per il Partito Comunista del Proletariato d’Italia

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