Marxismo e genere

Organizzazione per la costruzione di un partito comunista degli operai di Germania
In questo articolo vogliamo affrontare alcune delle questioni che sono sorte negli attuali dibattiti sul genere, sia in Germania che, per quanto possiamo vedere, in altri paesi. L’obiettivo è quello di difendere la posizione materialista contro diversi punti di vista non scientifici e di contribuire alla discussione sulla posizione dei marxisti-leninisti negli attuali movimenti delle donne e LGBTI (LGBTI sta per “Lesbiche, Gay, Bisessuali, Transessuali e Intersessuali”).
Negli ultimi anni il dibattito sulle questioni di genere è diventato sempre più acceso, in particolare nell’ambito della lotta culturale tra un campo reazionario-conservatore e uno liberale progressista nella politica borghese. Al centro delle discussioni c’è la domanda su cosa sia effettivamente il genere, dalla cui risposta si possono ricavare le politiche specifiche delle varie correnti. È chiaro che gli attacchi politici reali da parte del campo conservatore in molti paesi si traducono in attacchi ai diritti delle donne per i quali si è combattuto, così come in massicce restrizioni dei diritti democratici delle persone LGBTI e in un aumento della violenza contro questo gruppo già vulnerabile. Essi sono uno strumento di propaganda popolare, in particolare per le forze populiste di destra, che hanno ottenuto un significativo successo elettorale in diversi paesi. Il rafforzamento e il consolidamento di modelli conservatori di ruolo tra uomini e donne va di pari passo con gli attacchi al diritto all’aborto e all’indipendenza economica delle donne.
Allo stesso tempo, si nota una chiara mancanza di controproposte scientifiche convincenti nel campo della sinistra liberal-progressista. Piuttosto, da anni si assiste al rifiuto di qualsiasi approccio politico alle questioni citate e al ripiegamento su un punto di vista meramente culturale della diversità delle identità, in cui le teorie post-strutturaliste esplicitamente irrazionali sono il fondamento. Naturalmente, queste carenze ideologiche sono anche espressione del carattere di classe borghese dell’attuale movimento delle donne e del movimento LGBTI, in cui gli elementi proletari e materialisti sono ancora molto deboli. L’influenza di queste teorie non significa solo che si può contrastare poco gli attacchi ai diritti democratici, delle donne e delle persone LGBTI. Sulla base di queste teorie, vediamo anche la tendenza a rendere la questione femminile una questione subordinata in un generale “movimento queer” che rivendica il proprio obiettivo come la liberazione di tutte le “identità” oppresse. Questo approccio, che non si basa su alcuna analisi materialista, impedisce di riconoscere le cause dell’oppressione specifica di genere e i suoi effetti specifici sulle donne e sulle persone LGBTI. Di conseguenza, non è possibile sviluppare un programma politico fondato contro questo fenomeno. Naturalmente, la questione di cosa sia effettivamente il genere tocca sia la questione delle donne sia quella delle persone LGBTI – ma l’attuale confusione tra i due temi deriva da una debolezza ideologica e ha conseguenze negative per entrambe le lotte politiche. Più aumentano gli attacchi alle donne e alle persone LGBTI in tutto il mondo, che devono essere intesi anche come parte del rafforzamento generale delle forze fasciste in tutto il mondo, più diventa importante la chiarezza ideologica su questi temi per rafforzare la nostra lotta.
La maggior parte delle teorie e dei punti di vista che troviamo oggi nei movimenti femminili e LGBTI sono una reazione al determinismo biologico. Nel campo conservatore, troviamo numerosi punti di vista deterministici biologici che presuppongono che uomini e donne abbiano ruoli chiari e biologicamente determinati nella società. Le donne sono destinate dalla loro biologia non solo a generare figli, ma anche a crescerli, a prendersi cura della casa e a fornire assistenza emotiva. Alcune teorie si spingono fino a sostenere che le donne non sono destinate a essere casalinghe e madri solo per il loro ruolo nella riproduzione, ma anche per il loro fisico, le dimensioni del loro cervello o il loro equilibrio ormonale. Gli uomini, invece, sono destinati a essere coloro che mantengono la famiglia, il sesso forte, i politici e i leader per le stesse ragioni. Questa idea, che oggi viene propagata in modo più o meno radicale da politici e media religiosi e conservatori, è ovviamente antiscientifica – proprio come la Rassenlehre (la visione del mondo che divide l’umanità in razze diverse), per esempio, che i razzisti cercano ancora di giustificare biologicamente. I modelli di ruolo conservatori sostengono uno stato di natura che si suppone sia disatteso dalle idee femministe moderne. Questo presunto stato di natura si basa in particolare su idee religiose e non regge nemmeno a un breve esame storico. Il matrimonio monogamico e la famiglia borghese sono un fatto storicamente recente, la cui necessità si basa su una certa condizione economica. Il concetto di famiglia borghese, con un uomo che guadagna denaro fuori casa, analogo alla caccia, e una donna che, in quanto madre, rimane limitata alla sfera domestica e ai doveri materni, non poteva e non può esistere per la classe operaia. La società capitalista di classe rappresenta questa realtà giorno dopo giorno. Non ci dilungheremo oltre su queste idee antiscientifiche e reazionarie, se non per dire che i ruoli sociali non possono essere semplicemente derivati dalla biologia, ma sono il risultato di un processo storico, differiscono a seconda del periodo storico e sono indissolubilmente legati e determinati in ultima analisi dalla base della vita umana, il modo di produzione e riproduzione.
Più di un secolo fa, il marxismo ci ha fornito gli strumenti per andare a fondo sia del razzismo sia dell’oppressione specifica di genere: il materialismo storico era già stato applicato direttamente al ruolo delle donne e della famiglia da Friedrich Engels (ed è per questo che Clara Zetkin ha definito la sua opera “L’origine della famiglia, della proprietà privata e dello Stato” come “di fondamentale importanza per la lotta di liberazione dell’intero sesso femminile”[1]– ne parliamo più avanti). Tuttavia, a differenza del movimento proletario femminile, tuttavia, il materialismo storico è naturalmente estraneo al campo femminista borghese che oggi domina il movimento femminile e LGBTI. Le due teorie comuni sul genere mostrano chiaramente la deficienza che questa circostanza provoca. Quindi, quali sono i modi comuni di guardare al genere in questi movimenti e quali sono le loro carenze?
Non c’è un genere biologico?
Da un lato, c’è la corrente che nega l’esistenza di due sessi nel tentativo di rifiutare il determinismo biologico. Questi punti di vista, in gran parte riassunti nella Teoria Queer, sono radicati nel post-strutturalismo, un movimento filosofico che percepisce la realtà sociale stessa come costruita e vede nella cosiddetta decostruzione delle ideologie la chiave del cambiamento. Per il post-strutturalismo, le condizioni sociali non sono fondamentalmente contingenti dal punto di vista materiale, ma sono il risultato di un discorso che viene costruito dalle persone (in primo luogo attraverso la loro terminologia) e che può essere decostruito di conseguenza. In breve, il post-strutturalismo è oggi un’alternativa molto popolare al marxismo nelle università occidentali (uno dei suoi fondatori, Michael Foucault, lo formulò nel 1977 come segue: “[…] dobbiamo mettere fondamentalmente in discussione l’importante tradizione del socialismo, perché tutto ciò che questa tradizione ha prodotto nella storia è da condannare“[2]). Judith Butler è una delle più importanti rappresentanti della Teoria Queer e pone in discussione le seguenti considerazioni: “L’essere femminile costituisce un «fatto naturale», una performance culturale, oppure è naturalità costituita attraverso atti performativi discorsivamente obbligati che producono il corpo attraverso e all’interno delle
categorie del sesso?“.[3] Questa domanda (tipicamente complicata per il post-strutturalismo) mira a suggerire che non solo i modelli di ruolo sociali, ma anche la stessa biologia è socialmente costruita. Nei circoli femministi e nella letteratura di oggi, troviamo opinioni che rifiutano fondamentalmente l’idea della binarietà dei sessi nella biologia; interpretare due sessi nella biologia è il risultato di un ordine sociale sessista e non ha alcuna base nei processi biologici stessi.
Tuttavia, questa idea è molto facile da confutare. La riproduzione umana è fondamentalmente basata sul sesso binario. Gli esseri umani hanno una doppia serie di cromosomi. Questi sono costituiti da DNA e contengono le informazioni genetiche. Le donne hanno cromosomi XX e gli uomini hanno cromosomi XY. Durante la riproduzione, metà serie di cromosomi del padre e metà della madre si uniscono, dando origine a una doppia serie nell’ovulo fecondato. Le uniche cellule che non sono diploidi ma aploidi, cioè con una sola serie di cromosomi, sono le cellule germinali: ovuli e cellule spermatiche. A seconda di quali cromosomi si uniscono nella prole – un X e un Y oppure un X e un X – si determina il sesso della prole. Gli esseri umani sviluppano quindi caratteristiche sessuali, per cui la produzione di ormoni gioca un ruolo nel determinare quali caratteristiche sessuali primarie (genitali) e secondarie (seni, peli del corpo, ecc.) sviluppiamo. Naturalmente, non tutti gli uomini hanno la stessa quantità di peli sul viso e non tutte le donne hanno un seno altrettanto pronunciato. Ci possono essere anche deviazioni nelle caratteristiche sessuali primarie, cioè negli organi sessuali. Il termine intersessualità descrive il fenomeno dell’ambigua appartenenza al genere, ad esempio a causa di caratteristiche sessuali primarie o secondarie ambigue (in passato, in Germania e in altri paesi, i bambini nati con caratteristiche sessuali ambigue venivano operati dopo la nascita per essere chiaramente assegnati a un genere – una pratica pericolosa con gravi conseguenze per le persone colpite). Questi interventi sono uniformemente rifiutati dai gruppi di difesa dell’intersessualità in Germania. Tuttavia, il fenomeno (piuttosto raro) dell’intersessualità rappresenta una deviazione e non è affatto la prova (come talvolta si sostiene) che la sessualità in biologia sia uno spettro e che maschio e femmina siano solo due poli di esso.
Il difetto fondamentale di questa corrente non è il tentativo di rifiutare il determinismo biologico. Il problema è che la Teoria Queer non ha assolutamente nulla da opporre al determinismo biologico: non riesce a spiegare come le differenze biologiche e i modelli sociali di ruolo siano collegati, ma butta le differenze biologiche fuori dalla finestra insieme ai modelli sociali di ruolo. C’è un detto che dice: “gettare il bambino con l’acqua sporca” – in altre parole, eliminare ciò che vale la pena conservare con buone intenzioni. I post-strutturalisti sono in realtà in gran parte d’accordo con il determinismo biologico, perché condividono implicitamente l’assunto che se ci fossero differenze biologiche, queste porterebbero inevitabilmente a modelli e vincoli sociali rigidi. Lo stesso post-strutturalismo rivela quindi di essere del tutto incapace di spiegare da dove possa derivare l’oppressione specifica di genere (e cosa possa avere a che fare con il fenomeno della società divisa in classi, del tutto estraneo ai post-strutturalisti). Privo di qualsiasi potere esplicativo, ricade nell’irrazionalismo ed entra in diretta contraddizione con i fatti biologici, invalidando inevitabilmente il suo progetto di rifiuto del determinismo biologico.
Esiste un sesso biologico e uno sociale?
C’è un’altra teoria, ormai così diffusa nel movimento delle donne e in quello LGBTI, e anche nelle scienze sociali tedesche, che a volte non viene nemmeno più messa in discussione: la distinzione tra sesso biologico e genere sociale (in tedesco non esiste una differenziazione linguistica tra sesso e genere, in quanto Geschlecht funge da termine per entrambi). In contrasto con il sesso biologicamente determinato, il genere sociale include le implicazioni sociali che vanno di pari passo con i termini uomo e donna – dalle professioni tipiche e dalle caratteristiche ascritte o reali all’identità e all’immagine di sé della rispettive persone. L’idea originaria di chi ha introdotto la distinzione era anche quella di rifiutare il determinismo biologico, cioè l’idea che i ruoli sociali di uomini e donne siano determinati da fattori biologici. La distinzione cerca di prendere in considerazione i fattori biologici, privandoli però della loro effettività aggiungendovi un’altra categoria indipendente accanto al sesso biologico: il genere sociale, che è visto come la categoria decisiva e formatrice di identità ed è inteso come indipendente dalla biologia. La separazione tra sesso biologico e genere sociale è quindi un’apparente soluzione alla contraddizione che l’identità umana non può essere divisa in due categorie rigide e biologicamente determinate. Ma questa soluzione è solo apparente, perché la distinzione non spiega assolutamente nulla, anzi solleva ulteriori interrogativi: da un lato, la rigida separazione tra sesso biologico e genere sociale non dice nulla sul legame tra le due categorie; d’altra parte, non può spiegare come si crea il genere sociale – in pratica, il genere è quindi di solito semplicemente equiparato all’autopercezione. Una persona può avere un sesso biologico, ma il genere, cioè l’identità, è determinato dalla sua percezione, cioè dal sentimento di appartenenza, che può essere maschile, femminile o ricadere in categorie completamente diverse (ad esempio non binarie). È comprensibile sotto tutti i punti di vista che oggi alcune persone, soprattutto giovani, dicano: “Non sento di appartenere ai due modelli di ruolo che mi vengono presentati in questa società. Se mi chiedete della mia identità, non sarò in grado di darvi una categoria binaria”. Il fatto è che la percezione del genere è un processo psicologico complesso. L’idea specifica di un genere sociale tenta di trovare una categoria per questo sentimento, ma porta con sé ulteriori problemi, perché: cos’è l’autopercezione femminile o maschile? Esiste un’essenza femminile o maschile al di là dei fattori biologici? Questa essenza è innata, come suggerisce l’espressione “nato nel corpo sbagliato”, usata per descrivere i sentimenti delle persone trans? Considerando la categoria del genere come un’identità meramente individuale, essa diventa inevitabilmente una categoria idealistica. (Questo non risolve nemmeno il problema del fatto che il genere costituisce in primo luogo la struttura per la percezione e l’identificazione – in alcuni casi, il genere è addirittura esagerato nel suo significato perché è considerato sinonimo dell’intera identità individuale). Ci troviamo quindi di fronte a una distinzione tra sesso biologico, che, a seconda delle interpretazioni, prevede due sessi e deviazioni intersessuali da essi o una moltitudine di generi biologici, e genere sociale, che è una categoria puramente identitaria. I due non hanno nulla a che fare l’uno con l’altro e non sono collegati all’interno di questa costruzione. La mancanza di potere esplicativo di questo approccio è evidente. È una reazione comprensibile per non costringere la diversità dei sentimenti umani in categorie biologicamente determinate. Ma non offre una piattaforma politicamente significativa che vada oltre il riconoscimento di tutte le identità di genere e che riconosca anche l’origine dell’oppressione e fornisca una prospettiva. Questo è un compito che, ad oggi, solo il materialismo storico ha raggiunto.
L’origine dell’oppressione delle donne
Secondo il materialismo storico “il momento determinante della storia, in ultima istanza, è la produzione e la riproduzione della vita immediata.”[4] Marx ed Engels scrivono che “[…] gli uomini, i quali rifanno ogni giorno la loro propria vita, cominciano a fare altri uomini, a riprodursi; è il rapporto fra uomo e donna, fra genitori e figli: la famiglia”.[5] Il concetto di riproduzione descrive la concreta creazione e conservazione della vita umana. Engels conclude: “Le istituzioni sociali entro le quali gli uomini di una determinata epoca storica e di un determinato paese vivono, sono condizionate da entrambe le specie della produzione; dallo stadio di sviluppo del lavoro, da una parte, e della famiglia, dall’altra”.[6] La questione dell’organizzazione della produzione e della riproduzione è decisiva in ogni momento storico. È la base materiale su cui si possono formare la morale, la legge, la cultura e, in ultima analisi, i modelli di ruolo e le identità. È stato questo approccio storico materialista a permettere al movimento operaio di confrontarsi con qualsiasi idea idealista, reazionaria o religiosa su base scientifica. Che si tratti di razzismo o sessismo, il materialismo storico ci aiuta a capire: questi ordini non sono incastonati nella pietra, hanno condizioni in cui sorgono e condizioni in cui possono scomparire. Per crearli, dobbiamo capirli. Furono Friedrich Engels e Clara Zetkin a occuparsi della questione femminile fin dall’inizio del movimento operaio tedesco e internazionale, esaminando le origini dell’oppressione femminile da una prospettiva storica e materialista. All’interno di queste considerazioni sulla questione femminile, ci sono anche preziosi punti di riferimento per la questione del genere in generale. È vero che né Engels né Zetkin hanno considerato esplicitamente identità di genere diverse da uomo e donna. Tuttavia, i loro trattati sulla questione femminile rivelano l’approccio fondamentale del materialismo storico per quanto riguarda la genesi e il mantenimento dei ruoli di genere. Naturalmente il sesso biologico gioca un ruolo importante, ma il materialismo storico ci mostra che questo non porta necessariamente a modelli di ruolo oppressivi, ma che la società e il suo funzionamento sono determinanti per i modelli di ruolo e la percezione del genere, l’oppressione e la liberazione.
La questione della riproduzione è particolarmente cruciale per il ruolo dei diversi sessi nella società. Anche qui entra in gioco la biologia. Non è vero, infatti, come sostengono le idee biologicamente deterministe, che le differenze biologiche determinano tutti gli altri compiti sociali di uomini e donne. Certo, le differenze biologiche ci sono, ma la loro portata è completamente esagerata dai sostenitori di questi punti di vista (ad esempio, le differenze medie tra uomini e donne enfatizzate dai deterministi biologici, ad esempio nelle dimensioni del cervello o nella massa muscolare, sono a volte più piccole delle differenze tra singole donne o singoli uomini). Ma c’è, naturalmente, un’innegabile differenza che ha un impatto sullo sviluppo storico dei ruoli di genere, che non può essere sottovalutata: il ruolo dei sessi nella riproduzione. Sono le donne, una metà della società, a portare in grembo i bambini per nove mesi, a partorirli e ad accudirli (cioè ad allattarli), almeno nelle prime fasi dell’infanzia. Questo fatto non è mai stato rovesciato in nessuna società e, a seconda della forma di società, ha portato a una divisione più o meno rigida dei compiti tra i sessi. E non scomparirà nelle società future, indipendentemente dall’organizzazione della produzione e della riproduzione. Il fattore decisivo per i ruoli di genere è quindi il modo in cui la produzione sociale e, in particolare, la riproduzione sono organizzate e se questo tipo di organizzazione porta sistematicamente all’oppressione e alla coercizione, oppure no.
Engels intraprese il primo studio esplicitamente storico-materialista di questa questione in “L’origine della famiglia, della proprietà privata e dello Stato”. In esso si dedica a descrivere dettagliatamente le varie forme di famiglia nella società primitiva e il loro impatto sulla posizione della donna. Secondo Engels, la divisione del lavoro nelle società antiche era primitiva, basata sulle posizioni degli uomini e delle donne nel processo riproduttivo, ma non era affatto rigida o associata a modelli di ruolo svantaggiosi come lo è oggi. A causa del basso livello di sviluppo delle forze produttive, nel comunismo primitivo nessun settore economico era in grado di creare un surplus di prodotto, né nella produzione (dove gli uomini tendevano a svolgere un ruolo più importante) né nella riproduzione (dove le donne tendevano a svolgere un ruolo più importante). Tutti i membri della società producevano collettivamente la base materiale della vita. Engels da ciò conclude che anche il ruolo della donna nella società primitiva doveva essere diverso da quello attuale. Finché la proprietà privata e l’acquisizione di ricchezza non giocavano un ruolo, la divisione naturale del lavoro non poneva nessuno dei due sessi in una posizione di svantaggio significativo. A questo proposito, Engels definisce notoriamente l’emergere della proprietà privata la “sconfitta sul piano storico universale del sesso femminile”.[7]
Con l’emergere della proprietà privata e della società divisa in classi, l’organizzazione della produzione e della riproduzione è cambiata radicalmente. Da allora, la produzione è servita a creare il surplus di prodotto di cui ci si appropria privatamente. Tuttavia, vediamo che anche la riproduzione è ovviamente legata in modo indissolubile alla produzione e che anche il ruolo delle donne, che inevitabilmente svolgono un ruolo speciale in questa riproduzione, assume un carattere diverso nella società di classe. Anche la riproduzione è soggetta alle necessità della società di classe. Poiché il lavoro riproduttivo non crea alcun surplus di prodotto, ma l’ordine sociale è ora basato sulla proprietà privata, le donne perdono la loro posizione precedente: “La direzione dell’amministrazione domestica perdette il suo carattere pubblico. Non interessò più la società. Divenne un servizio privato; la donna divenne la prima serva, esclusa dalla partecipazione alla produzione sociale.”[8]
Si noti: ci sono differenze biologiche, ma non sono, come sostengono i deterministi biologici, principalmente decisive. È la società ed esplicitamente la base economica della società, il modo in cui sono organizzate la produzione e la riproduzione, che assegna ai sessi un posto nella società e porta esplicitamente all’oppressione sessuale per le donne. Il modo in cui i fattori biologici si traducono in un compito di genere e nel loro ruolo è quindi determinato in ultima analisi dalle condizioni economiche di una determinata società. È stato anche il cambiamento delle condizioni economiche che ha portato alla moderna questione femminile, come Clara Zetkin dimostra vividamente, e sono anche queste condizioni che devono essere fondamentalmente cambiate se non si vuole più che il sesso diventi una categoria di oppressione e coercizione. Il fatto che questa visione storico-materialista non solo sia in grado di spiegare le condizioni in cui è nata l’oppressione del sesso femminile, ma mostri anche le prospettive per la sua eliminazione, diventa particolarmente chiaro nelle osservazioni di Clara Zetkin sulle donne sotto il capitalismo e il socialismo. Nel 1889, Zetkin scrisse: “La questione dell’emancipazione femminile è figlia dei tempi moderni, e la macchina l’ha fatta nascere”. Da un lato, l’industrializzazione ha semplificato i compiti della famiglia; dall’altro, il capitalismo ha catapultato la donna lavoratrice nel processo produttivo sotto forma di lavoro salariato, inizialmente per necessità economiche. Sono stati il capitalismo e l’emergere della donna proletaria a determinare la divisione del lavoro per sesso e le posizioni fondamentalmente diverse dei sessi nella famiglia e nella società. Infatti, se le donne sono coinvolte in egual misura nel processo produttivo insieme agli uomini, la questione della parità di diritti politici non è lontana: “In passato si poteva parlare di un graduale miglioramento della posizione delle donne in un senso o nell’altro, ma non di una questione femminile nel senso moderno del termine, di uno sconvolgimento dell’intera base della loro posizione […]”. Il capitalismo crea quindi la base per la liberazione sociale delle donne. Engels scrive: “Soltanto la grande industria dei nostri tempi le ha riaperto, ma sempre limitatamente alla donna proletaria, la via della produzione sociale.”[9] La necessità del matrimonio per l’eredità della proprietà è abolita anche per il proletariato, la classe senza proprietà. (Zetkin si riferisce anche alle richieste del campo conservatore, ancora oggi prevalenti, di ripristinare la divisione sessuale del lavoro all’interno della famiglia borghese, in cui la donna sarebbe una casalinga pura: questo è reazionario e la casalinga pura nella società capitalista è un “anacronismo”[10]). Il capitalismo crea la prima base per la liberazione della donna. Ma solo nel socialismo, in cui sia la produzione che la riproduzione non sono soggette alla creazione di un surplus di prodotto per l’appropriazione privata, ma al soddisfacimento dei bisogni di tutti, anche le donne saranno liberate come parte dell’intera classe operaia e la separazione tra produzione e riproduzione sarà abolita.
Materialismo storico e genere
Cosa ci dice il materialismo storico e il suo trattamento della questione femminile sul genere in generale? Innanzitutto, riconosce assolutamente che esistono fatti biologici, un sesso femminile e uno maschile, che occupano un certo posto nella riproduzione. Tuttavia, sono la società e la sua organizzazione a creare modelli di ruolo, a seconda delle necessità economiche. Oggi esiste un intero catalogo di caratteristiche presumibilmente femminili e maschili: tenerezza, cura, ingenuità per le donne; leadership, forza e durezza per gli uomini. Questi modelli di ruolo sono rimasti più o meno simili da quando esiste la società classista, poiché in ogni società classista c’è stata una separazione di produzione e riproduzione – ma vediamo anche differenze e variazioni nelle varie società classiste, ciascuna all’interno dei confini del rispettivo ordine sociale. E naturalmente ci sono sempre state persone che si sono discostate da questi modelli di ruolo – questi modelli non sono naturali o dati da un dio, non sono inerenti al rispettivo sesso, ma sono modellati dalla società. L’argomentazione della Zetkin, ad esempio, chiarisce quanto sia fondamentale per lei il cambiamento del ruolo della donna, che è iniziato con il capitalismo e finirebbe con il comunismo. Con il cambiamento della posizione delle donne nel processo produttivo, non cambia solo la visione delle donne, ma anche la loro stessa percezione di sé. Zetkin riconosce alle donne del futuro il ruolo di educatrici e assistenti solo nell’infanzia, dal momento che questo compito è effettivamente determinato in modo naturale. Al di là di questo, è impossibile dire se le donne siano educatrici o insegnanti migliori degli uomini, per esempio, o se abbiano una predestinazione biologica che le costringa a un compito sociale. L’autrice prende quindi una posizione diretta contro le idee biologico-deterministe, ad esempio quando si parla del presunto destino naturale delle donne come educatrici:”[…] la donna che produce nella società è stata privata della sua occupazione ‘naturale’ [virgolette di Zetkin!], che era naturale solo finché coincideva con le condizioni economiche di base”.[11] Il materialismo storico non può presupporre un’essenza maschile, femminile o (in relazione alla discussione sul genere) non binaria, ma riconosce che gli esseri umani sono prima di tutto esseri umani, che i loro sentimenti in generale e i loro sentimenti di genere si sviluppano costantemente a livello psicologico e che questo sviluppo avviene nel quadro dei loro compiti e attività sociali. Quindi, se non ipotizziamo un’essenza idealista di genere maschile, femminile o addirittura non binaria che emerge indipendentemente dal tempo e dalla società, ma solo ruoli di genere i cui confini sono stabiliti dalla rispettiva società e che quindi possono anche essere abbattuti, allora diventa chiaro anche il significato che il socialismo ha per la liberazione dei ruoli di genere. Questa osservazione ha forti implicazioni non solo per la liberazione delle donne, ma anche per le richieste politiche relative alle identità di genere alternative. Più di 100 anni fa, per la Zetkin era già chiaro che i modelli di ruolo della società capitalista sarebbero inevitabilmente entrati in contraddizione e avrebbero portato a una questione femminile. Oggi possiamo constatare che questi modelli di ruolo non si sono affatto dissolti, ma si stanno sempre più ingarbugliando in contraddizioni, soprattutto nelle società occidentali, rese ancora più influenti da una propaganda mediatica onnicomprensiva. Il marketing esplicito di prodotti specifici per il genere e la loro influenza psicologica sull’immagine di sé dei giovani, l’ipersessualizzazione inevitabilmente creata dai media e dalla pubblicità e la contraddizione stridente di tante aspettative e richieste diverse sui due generi portano inevitabilmente a una maggiore non-identificazione e al desiderio di allontanarsi dal sistema binario di genere e dalle sue barriere allo sviluppo. All’interno della società borghese, nel mondo accademico e nello spettro dell’ideologia borghese, questo desiderio trova espressione nella forma di idee post-strutturaliste e idealiste che mirano all’uguaglianza e allo sviluppo individuale dell’identità. A causa della debolezza del movimento operaio e quindi del movimento proletario delle donne, nonché della relativa ignoranza riguardo alle spiegazioni materialiste di come i ruoli di genere siano nati e di come debbano essere combattuti di conseguenza, i movimenti delle donne e LGBTI oggi stanno diventando sempre più un movimento che essenzialmente non può fare altro che politica identitaria.
In Germania, ad esempio, la Giornata internazionale della donna, l’8 marzo, viene ora celebrata in molti luoghi come “FLINTA-Day” (FLINTA significa donne, lesbiche, persone non binarie, inter-, trans- e agender), in cui tutti coloro che sentono di appartenere ai rispettivi generi sono benvenuti, ma gli uomini sono esplicitamente esclusi dalla partecipazione. Il termine FLINTA è un sintomo esplicito della suddetta commistione di questioni diverse, che impedisce di prenderle sul serio a livello politico. Questa confusione indebolisce tutti questi temi e soprattutto la lotta delle donne, che diventa una delle tante sigle diverse (oltre al fatto che questo termine non significa nulla per la stragrande maggioranza delle persone – comprese le donne – in Germania). Questo cambiamento terminologico va di pari passo con la degradazione delle proteste a semplici dimostrazioni di diversità, che hanno il solo scopo di responsabilizzare invece di avanzare rivendicazioni politiche di cui oggi c’è estremo bisogno. L’attuale forza delle teorie post-strutturaliste e la loro attenzione all’identità devono essere collegate anche alle ideologie capitaliste e neoliberali e, non senza ragione, in molti casi possono essere facilmente integrate nei concetti di diversità aziendale in cui il beneficio dello sviluppo personale è inteso a promuovere la produttività della forza-lavoro. Infine, ma non meno importante, il carattere di classe di questi punti di vista deve diventare chiaro quando vengono sempre più spesso utilizzati contro gli approcci materialisti. Nei movimenti sopra citati, ad esempio, le forze che insistono sul termine “donna” perché politicamente indispensabile e categoria centrale dell’analisi sono accusate di determinismo biologico. Gli approcci materialisti sono generalmente caduti in discredito come “ostili ai queer” e vengono combattuti ideologicamente e politicamente. Tuttavia, solo il materialismo storico ci fornisce esplicitamente i mezzi per rispondere scientificamente e politicamente alla questione femminile (come ha fatto storicamente il movimento proletario femminile, che merita una riflessione a sé stante) e per indicare la strada per la più ampia liberazione dai ruoli di genere in sé, che sarebbe così importante per coloro che si vedono limitati da essi (che nella società di oggi plausibilmente non sono solo le persone non binarie e trans, ma una parte molto più ampia della società). L’obiettivo deve essere quello di lottare per ottenere condizioni sociali in cui il genere non costituisca più il quadro entro il quale le persone possono o non possono svilupparsi. Non ha senso nominare categorie per sentimenti divergenti e fermarsi al fatto che tutte queste categorie devono essere accettate: questo non solo non elimina le cause materiali che portano all’oppressione nella nostra società, ma le distrae. Al contrario, una comprensione materialista dell’oppressione delle donne e il rafforzamento del movimento femminile su questa base è allo stesso tempo la chiave per la liberazione dall’oppressione basata sul genere e sui ruoli di genere in generale e non dovrebbe quindi essere subordinata a un movimento generale per la “liberazione dei sessi”, ma dovrebbe essere affermata come un movimento indipendente che comprende metà della classe operaia con le sue richieste corrispondenti.
In ogni caso, le basi politiche e programmatiche del movimento proletario delle donne indicano la strada per cambiare radicalmente i modelli di ruolo e i vincoli associati nella nostra società: la famiglia borghese non sarà più un’unità economicamente necessaria in cui si svolge l’attività riproduttiva e che assegna ruoli distinti ai sessi nel processo produttivo, come avviene nel capitalismo. L’educazione e il lavoro di cura, come tutta la produzione e la riproduzione, saranno in gran parte socializzati (il che, tra l’altro, ha anche conseguenze positive per questi stessi ambiti, poiché settori come l’educazione, ma anche l’approvvigionamento alimentare, ecc… possono essere collettivizzati, professionalizzati e svolti a un livello superiore se sono organizzati socialmente. In altre parole: non tutte le madri devono avere una formazione pedagogica perché i figli possano godere di un’educazione di qualità, e non tutte le famiglie devono produrre da sole tre pasti al giorno, che possono essere organizzati in modo molto più produttivo tra le famiglie). Il matrimonio perderà il suo carattere di contratto vincolante (come nella giovane Unione Sovietica, dove il divorzio è stato il primo al mondo a essere liberalizzato) – nel socialismo esso non sarà nemmeno più necessario come unità per l’eredità della proprietà privata. È importante capire quanto queste richieste siano centrali non solo per la liberazione delle donne, ma anche per le persone LGBTI. Altre rivendicazioni del movimento proletario femminile sono la parità politica, ma soprattutto sociale, che si concretizza nella parità di retribuzione a parità di lavoro. Questo significa anche sicurezza sociale e indipendenza economica, che oggi mancano sia alle donne che alle persone LGBTI in molti luoghi e che portano alla dipendenza e alla violenza. È la consapevolezza che i ruoli di genere che portano all’oppressione sono radicati nei rapporti di produzione (e non nella biologia) che ci permette oggi e deve continuare a farci formulare rivendicazioni politiche che cambino la base economica dei ruoli di genere. La forza delle teorie borghesi menzionate in questo articolo è un’espressione esplicita e diretta del carattere di classe borghese di questi movimenti oggi, che deve essere coscientemente respinto dai marxisti-leninisti. Nel fare ciò, il materialismo non si trova in una posizione difensiva nei confronti delle questioni di genere e di liberazione, ma deve denunciare coloro che cercano di oscurare le cause dell’oppressione e conquistare coloro che cercano di liberarsi da essa.
NOTE
[1] Zetkin, Clara: Friedrich Engels. In: Ausgewählte Reden und Schriften, Bd. 1, Berlino 1957, p. 82 (traduzione nostra).
[2] Foucault, Michel: Torture is Reason. In: Schriften in vier Bänden, vol. 3, Francoforte sul Meno 2003, p. 514 (traduzione nostra).
[3] Butler, Judith: Questione di genere. Il femminismo e la sovversione dell’identità, Editori Laterza, Lecce 2013, p. XXX
[4] Engels Friedrich: L’origine della famiglia, della proprietà privata e dello Stato
[5] Engels, Friedrich; Marx, Karl: L’ideologia tedesca
[6] Engels Friedrich: L’origine della famiglia, della proprietà privata e dello Stato
[7] Engels Friedrich: L’origine della famiglia, della proprietà privata e dello Stato
[8] Ibid.
[9] Ibid.
[10] Zetkin, Clara: Die Arbeiterinnen- und Frauenfrage der Gegenwart. In: Schippe, Max (ed.): Berliner Arbeiterbibliothek, vol. 3, Berlino 1889, p. 6 (traduzione nostra)
[11] Ibid. p. 27
Pubblicato su “Unità e Lotta” n. 49 (novembre 2024), organo della Conferenza Internazionale di Partiti e Organizzazioni Marxisti-Leninisti (CIPOML)
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