Maternità e lavoro: condizioni inconciliabili nel capitalismo

Gli esponenti del governo in carica questa estate ci hanno dato un’idea chiara di cosa intendono per “famiglia”, delle loro famiglie borghesi almeno.

Sarebbe fin troppo facile cascare nel gossip e allontanarci dai problemi reali delle famiglie proletarie che non riescono ad arrivare a fine mese, perché sono queste a cui noi comunisti guardiamo con attenzione, non solo perché le vogliamo tutelate, ma per risvegliarne lo spirito di riscossa.

Ci ha colpito soprattutto l’immagine della presidente Meloni e della figlia durante un viaggio istituzionale in Cina.

La premier dopo aver “lavorato” così intensamente per noi proletari, che spesso in vacanza i nostri figli non ce li possiamo portare perché non ce lo possiamo permettere, ha utilizzato demagogicamente il viaggio in compagnia della figlia per farci vedere com’è possibile conciliare famiglia e lavoro. Uno schiaffo in faccia alle tante lavoratrici che devono fare i salti mortali per poter mandare avanti lavoro e figli, alle prese con il ricatto occupazionale, il demansionamento, la mancanza di welfare statale e aziendale. Oggi in Italia una donna su cinque è costretta a lasciare il lavoro dopo la maternità. Ma la premier si fa bella col viaggetto!

Ci sembra fin troppo chiaro che per questo governo la denatalità sia solo colpa delle donne che preferiscono bere lo spritz, come affermò lo scorso anno la ministra per la famiglia, e non sia colpa di politiche che sono solo specchietti per allodole e non servono a risolvere i problemi.

È inutile che la presidente Meloni dica che meglio di così non poteva fare, perché i dati la smentiscono. Nonostante i vari bonus che il governo ha messo in atto, infatti, nel 2023 si è registrato un ulteriore calo delle nascite: il numero medio di figli per donna, è sceso da 1,24 del 2022 a 1,20 del 2023 (dati Save the Children).

È inutile che dica che l’occupazione non è mai stata così alta dai tempi di Garibaldi e che soprattutto siano aumentate le donne che lavorano, perché ancora una volta sono i dati a smentirla. L’occupazione è aumentata (quella precaria soprattutto), ma è diminuito il monte delle ore lavorate. Questo come ce lo spiega?

È vero che sono aumentate le donne che lavorano, ma sono soprattutto le over 50 ad avere trovato un’occupazione, o meglio un lavoro povero e precario.

Tutto ciò come può favorire le donne che vorrebbero metter su famiglia o fare un figlio? Con un “bonus mamme” che però non vale nel caso di un primo figlio o se uno dei due figli ha più di 10 anni? O rendendo gratis gli asili nido, ma solo dal secondo figlio in poi? E per i giovani che un lavoro ancora non riescono a trovarlo cosa ha intenzione di fare questo governo? Continuare a dare la colpa ai giovani che non si accontentano?

Il capitalismo ha caricato sulle spalle della donna che lavora un peso che la schiaccia. L’ha trasformata in operaia, in lavoratrice dei servizi, in impiegata, senza alleviarla dai suoi compiti di donna di casa e madre. Nel periodo attuale di restaurazione a tutto campo, di tagli ai servizi sociali, è soprattutto sulla donna proletaria e degli strati popolari che va a ricadere il doppio o triplo peso dell’oppressione generata dal sistema capitalistico, che in tal modo si assicura in maniera gratuita tutti quei servizi di cura che spetterebbe alla società garantire.

Il futuro non sta nel modello propagandato dalla Meloni, buono solo per le borghese sue pari.

La sola società capace di conciliare lavoro e maternità, di liberare la donna dalla servitù domestica, di assicurare l’educazione dei figli e la sussistenza delle madri, di realizzare la famiglia come unione di affetti e di solidarietà fra persone libere e uguali, è la società socialista!

Da Scintilla n. 147, settembre 2024

 

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