No al riarmo e alla politica di guerra! Via il governo Meloni!

La strategia USA e l’aggravamento delle principali contraddizioni
La fase attuale è caratterizzata da profondi cambiamenti nelle relazioni fra paesi imperialisti e dall’accelerazione dei processi e dei fenomeni economici e politici che li determinano.
La cricca di Trump, una banda di miliardari, fascisti e crociati, è il prodotto del declino storico di una superpotenza, quella statunitense, che vuole mantenere l’egemonia mondiale a ogni costo, in una situazione che vede l’erosione del suo potere globale.
Trump rappresenta un settore monopolistico molto aggressivo, caratterizzato dalle grandi aziende industriali e hi-tech alle prese con un’aspra concorrenza internazionale. Monopoli che vogliono trincerarsi e accaparrare la parte più importante e strategica delle ricchezze e delle risorse naturali per rilanciare il dominio a stelle e strisce.
L’imperialismo USA è all’offensiva a livello nazionale e internazionale. Essa si manifesta in una riorganizzazione reazionaria dello stato federale e del suo bilancio, include l’assalto ai lavoratori sindacalizzati e alla contrattazione, l’attacco ai migranti e alle voci critiche della stampa, e si accompagna ad una veloce ridefinizione della propria politica estera.
Trump ha capito che la guerra in Ucraina è persa ed ha perciò effettuato una svolta a 180° riducendo il sostegno a Kiev, mettendo in chiaro fin da subito che l’era dell’isolamento di Mosca era finita.
La ragione di ciò va trovata nel tentativo USA di sganciare la Russia dalla Cina, che è il vero rivale strategico degli USA nella lotta per l’egemonia mondiale fra potenze imperialiste. L’imperialismo USA deve concentrarsi sul suo principale nemico, cercando di contrastare la sua crescita con una politica aggressiva.
Il tentativo di accordo fra Trump e Putin è ampio, non comprende solo la spartizione dell’Ucraina, ma anche un’intesa sull’Artico, l’energia, il ruolo del dollaro, le terre rare, etc.
Putin si è detto disposto a delle aperture in questo senso, ma non sarà facile staccarlo dalla Cina, stante l’intensità e il livello di relazioni stabilite negli ultimi decenni, in particolare negli ultimi anni, fra Russia e Cina.
Contemporaneamente Trump porta avanti una serrata competizione con la Cina basata su un complesso di misure: il “disaccoppiamento” economico, le restrizioni commerciali e finanziarie, il veto al trasferimento di tecnologie, le sanzioni, i dazi, il controllo dell’Artico e del Canale di Panama, etc.
Sul piano militare gli USA varano cacciabombardieri di nuova generazione, intensificano la lotta nello spazio, puntano a rafforzare le loro alleanze nella regione dell’Indo-Pacifico adottando una posizione più aggressiva verso le attività militari cinesi per “contenere” il dragone asiatico e contrastare la sua crescente influenza nell’area. Mentre la Cina risponde con contromisure, la tensione nel Mar del Sud della Cina, così come in Medio Oriente, è destinata ad alzarsi.
Il rafforzamento della lotta per i mercati esteri e il protezionismo per impedire ai concorrenti l’accesso a quelli interni, lo sciovinismo in politica economica, la guerra commerciale e monetaria, uniti ai piani di riarmo, determinano maggiore instabilità dell’economia e della finanza capitalistica, debolezza del commercio e della produzione a livello globale, alta inflazione, interruzioni delle catene di rifornimento e di spedizione, crisi di sopravvivenza di alcune branche industriali “perdenti” con licenziamenti di massa.
Creano anche le basi per nuovi scontri militari e pongono all’ordine del giorno la guerra per una nuova spartizione del mondo e delle sfere di influenza a beneficio delle potenze imperialiste più forti.
“Make America Great Again” esacerba tutte le principali contraddizioni del capitalismo, non solo quelle fra potenze imperialiste e gruppi finanziari, ma anche le contraddizioni fra imperialismo e popoli oppressi, fra borghesia e proletariato.
La questione della guerra e della pace imperialista in Ucraina
Trump ha delegittimato il fantoccio Zelensky, ridotto gli aiuti militari all’Ucraina ed emarginato l’UE, escludendola dai negoziati in corso sulla divisione del bottino con la Russia, privando gli alleati europei di una credibile linea strategica.
Gli USA hanno un forte interesse alle terre rare, indispensabili per sostenere la concorrenza internazionale con la Cina nell’ambito delle nuove tecnologie, dei mezzi di trasporto e di comunicazione.
Perciò hanno imposto all’Ucraina una compensazione di 500 miliardi di dollari per gli aiuti militari forniti.
L’accordo lascerebbe agli USA il controllo quasi totale sui giacimenti minerali e sulle infrastrutture dell’Ucraina.
Una “rimborso” predatorio che si aggiunge alla “richiesta” di importanti concessioni territoriali alla Russia.
Ciò ha anche rivelato agli occhi dei popoli del mondo la vera natura della guerra in Ucraina: una battaglia per la rapina delle risorse, non certo per la “libertà e la democrazia”.
Dopo una guerra imperialista fra il blocco USA/NATO e la Russia, sul territorio ucraino, ora si prepara con il “cessate il fuoco” parziale nel Mar Nero e con i negoziati segreti una pace imperialista, ingiusta, provvisoria, che legittima la spartizione dell’Ucraina e la rapina delle sue materie prime, delle risorse agricole, dell’apparato industriale.
L’accordo di pace fra USA e Russia sarà la “legalizzazione” dell’arbitrio internazionale delle potenze imperialiste, una pesante sfida a tutti i popoli.
In quanto marxisti-leninisti denunciamo non solo la guerra di rapina, ma anche la pace che è il risultato di una politica aggressiva, bellicista, imperialista, ad esclusivo vantaggio dei gruppi monopolisti delle potenze imperialiste coinvolte.
La crisi dell’UE imperialista
Siamo in un periodo di brusca e profonda ridefinizione delle relazioni fra USA e UE.
Nella lotta che impegna le grandi potenze imperialiste, USA, Russia e Cina, sta diventando sempre più evidente che l’Unione europea svolge solo un ruolo minore ed è persino senza riguardo messa da parte dall’imperialismo statunitense e da quello russo, che hanno entrambi l’interesse ad indebolire e dividere i concorrenti del vecchio continente.
Le tariffe doganali del 20% in media, in vigore dal 2 aprile colpiscono settori dell’economia UE, come l’automobilistico, l’acciaio, l’alluminio, le imprese ad alta tecnologia, etc.
I terreni di scontro fra USA e UE sono molteplici: dal ruolo della NATO ai negoziati sull’Ucraina (da cui l’UE è attualmente esclusa), dal commercio al clima, ai rapporti con la Cina che rilancia la politica di dialogo e cooperazione con i paesi UE. Il conflitto in una di queste aree politiche può causare collisioni in altre aree. L’Occidente è ormai spaccato.
In queste nuovi condizioni, stretta fra due fuochi e in una situazione di debolezza economica e politica dei principali governi europei, è emersa una profonda crisi della UE che mette in luce le sue divisioni interne e la sua debolezza strutturale.
A guerra ucraina ormai persa, la risposta delle preoccupate oligarchie europee, per bocca dei loro rappresentanti politici, è stata quella di continuare a sostenere il corrotto regime ucraino, progettando l’invio di una “forza di rassicurazione”, a guida Francia-Regno Unito per cercare di entrare nel tavolo di spartizione dell’Ucraina, e di varare un imponente piano pluriennale di riarmo.
Ma la differenza fra ambizioni e capacità politico-militari di realizzarle è evidente, così come sono lampanti le divergenze emerse.
Il piano di riarmo europeo
In questo scenario si colloca il pacchetto ReArm Europe presentato dalla presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen, che mira a mobilitare un pacchetto di 800 miliardi di euro per potenziare le capacità aggressive dell’Unione europea con sistemi aerei e missilistici, di artiglieria, munizioni, droni e sistemi anti-droni, capacità informatica e mobilità militare.
L’intenzione della cricca di Trump di trasferire ai paesi dell’UE l’onere della difesa dell’Ucraina, si trasforma così nell’occasione per l’imperialismo europeo di procedere a passi da gigante al proprio armamento per partecipare alla lotta imperialistica per la spartizione del mondo. In particolare il grande capitale tedesco punta sul riarmo europeo perché ancora non possiede da solo la forza per giocare un ruolo di grande potenza mondiale.
Il totale degli 800 miliardi è così suddiviso: 650 miliardi dipenderanno dalla volontà degli Stati membri di riarmare “liberamente” aumentando la spesa militare fino all’1,5% del PIL (cioè aumentando il debito pubblico, senza che questi miliardi siano compresi nel calcolo del Patto di stabilità per un periodo di 4 anni); i restanti 150 miliardi verranno raccolti prestando la garanzia statale al passaggio di capitale all’industria bellica.
ReArm Europe si alimenterà anche di fondi già stanziati, come quelli della politica di coesione, destinati alle aree più depresse, come il Meridione italiano.
La spesa militare in Italia si concentrerà sulle truppe (i soldati italiani aumenteranno di 40.000 unità), i sistemi di difesa aerea e i carri armati.
Quest’anno la spesa militare italiana sarà pari a 31,3 miliardi di euro, ovvero l’1,57% del Pil. Se il governo dovesse sfruttare a pieno i margini stabiliti dal piano di riarmo europeo – arrivando così al 3% del PIL di spesa militare – questo significherebbe un indebitamento per almeno altri 30 miliardi di euro l’anno per i prossimi quattro anni. Altro debito pubblico che si aggiunge a quello ingente del PNRR.
Non è difficile capire chi e come pagherà il rimborso del debito venuto a scadenza e la corresponsione degli interessi maturati: la classe operaia e le masse popolari, con maggiori tagli alle spese sociali (pensioni, sanità e istruzione pubbliche, azzeramento dei sussidi per disoccupati e povera gente), con aumenti della tassazione e l’introduzione di nuove imposte.
Il bilancio statale è ormai diventato in larga misura una forma di collegamento tra lo Stato ed il capitale finanziario, che ricava dalle manovre di bilancio enormi profitti attraverso prestiti sempre rinnovati e più elevati.
Chi ne beneficerà saranno anzitutto i grandi monopoli dell’apparato militar-industriale, i mercanti di cannoni come BAE, Rheinmetall, Thales e Leonardo le cui azioni sono salite vertiginosamente nelle ultime settimane.
I monopoli di Francia e Germania, entrati in recessione, sono già pronti a riconvertire parte della propria produzione industriale passando dalle automobili ai carri armati e altri sistemi d’arma.
In Germania, grandi aziende come Rheinmetall stanno già assorbendo manodopera qualificata da giganti dell’auto come Bosch e Continental, mentre Volkswagen è pronta a seguire lo stesso percorso.
In Francia, la filiera di KNDS e Thales si prepara a rispondere alla domanda di tecnologia militare di punta.
La posizione dominante di questi monopoli nel mercato europeo permetterà loro di attrarre la maggior parte dei contratti previsti dal piano Ue. Ma anche i monopoli USA produrranno e venderanno molte armi ai paesi UE.
Un enorme aiuto statale per mettere l’economia su un piede di guerra, accompagnata dalla diffusione di un’incessante propaganda militarista per accrescere lo scarso consenso dell’opinione pubblica alle politiche di guerra.
Emblematiche le parole rivolte dal ministro Crosetto ai giovani; “servono soldi per le armi, se volete studiare”.
Il pacchetto di riarmo, voluto dai monopoli e appoggiato dai liberal-riformisti e dai capi sindacali (pronti a sostenere progetti di riconversione bellica di fabbriche in crisi), si tradurrà in maggiore aggressività contro la classe operaia, le sue conquiste, i suoi interessi, i suoi diritti.
In nome della “sicurezza” la borghesia tenterà di mettere in piedi uno stato di polizia per azzerare tutti quegli spazi e quelle agibilità che possono essere utilizzati dal proletariato e dalle masse popolari contro i loro sfruttatori e oppressori. Il Decreto-legge “sicurezza” va esattamente in tal senso.
Debolezza del governo Meloni e politica comunista
Nonostante la bandierine europee sventolate come simbolo di “pace e di progresso” (il pacifismo borghese è ormai sul letto di morte e le tendenze al disarmo sono sostituite da quelle all’armamento), l’Unione Europea come forma statale sovranazionale di dominio della borghesia si conferma impossibile, oppure reazionaria e guerrafondaia.
L’UE è minata da acuti contrasti e divergenze interne. Alla base delle contraddizioni che si sviluppano dentro la UE c’è la legge dello sviluppo ineguale a livello economico e politico che muta i rapporti di forze fra potenze imperialiste e capitaliste e genera i contrasti fra di esse. Il rallentamento economico, la corsa al riarmo e l’ascesa di forze scioviniste e fasciste inaspriscono i rapporti tanto in Europa quanto a livello internazionale.
Anche il governo Meloni risente fortemente di queste contraddizioni, che si esprimono nei contrasti politici fra le forze della sua maggioranza su questioni interne e internazionali.
L’ambizione meloniana di fare da “mediatrice” tra gli USA e la UE, è sintomatica della ridicola retorica di un governo che segue una linea di politica estera in continuità con il tradizionale vassallaggio filo-USA, cercando di strappare qualche “sconto”.
La scommessa persa sulla “vittoria” dell’Ucraina (dopo 10 pacchetti di aiuti militari), la marginalità nella UE, il flop sui migranti in Albania, i casi Santanchè, Paragon e al-Masri, lo scontro sulla riforma della magistratura, le dispute fra FI e Lega, la recessione industriale, i dazi incombenti, le promesse tradite e soprattutto l’incessante protesta operaia e popolare, ora fanno sì che il governo guidato dall’estrema destra, sia nel suo punto di maggiore debolezza politica.
Ma di ciò non può approfittare la sedicente opposizione borghese, anch’essa sempre pronta a frenare e dividere la mobilitazione di massa, a deviarla su terreni perdenti per evitare che la classe operaia e le masse popolari tornino protagoniste della situazione italiana.
Le difficoltà, le contraddizioni e l’irrilevanza della borghesia imperialista italiana, con una classe dirigente di infimo livello, aprono spazi alla politica comunista, a condizione di saper legare le questioni internazionali alle questioni sociali, ed entrambe alla prospettiva della rottura rivoluzionaria con il sistema capitalista-imperialista.
Rilanciamo perciò l’appello a lottare contro la militarizzazione, per l’utilizzo dei fondi a scopi sociali e pacifici, per elevare i salari e il tenore di vita della classe operaia, per migliorare la situazione delle masse lavoratrici, dei disoccupati, per incrementare i servizi e le assicurazioni sociali, specie nelle zone più depresse del paese, per mettere in sicurezza il territorio, per far cadere nelle fabbriche e nelle piazze il governo Meloni.
Reclamiamo lo smantellamento delle basi militari straniere e l’uscita dalla NATO e dalla UE, per liberare il nostro paese dai patti militari aggressivi che sono stati imposti dalla classe dominate, contro la creazione di nuove basi militari e per il ritiro delle truppe inviate all’estero.
I nostri nemici principali sono dentro casa, sono coloro che dicono di voler marciare alla nostra testa per la “difesa dell’Europa”. La lotta va dunque sviluppata contro tutti coloro che, in maniera più o meno ambigua, sostengono l’UE e la NATO, contro i monopoli e i loro politicanti, che fanno della falsificazione della storia e dell’anticomunismo viscerale le loro bandiere, che si nascondono dietro le bandiere della pace per fare la guerra.
E’ sempre più necessario formare un fronte comune di lotta contro i preparativi degli imperialisti per una nuova guerra, per difendere i diritti e le libertà democratiche, per lottare contro le forze della reazione, dello sciovinismo e del fascismo, contro l’austerità di guerra e la fascistizzazione dello stato.
Alcuni fenomeni positivi si sono osservati recentemente. Il rifiuto della guerra e del piano di riarmo UE, così come della martellante propaganda sulla “guerra inevitabile contro la Russia” si è espresso in manifestazioni di massa, che sono ancora egemonizzate da settori della piccola borghesia populista o da formazioni socialdemocratiche.
Vi è una crescente resistenza che si va esprimendo anche in ambiti associativi tradizionalmente controllati dai riformisti.
Spetta ai comunisti lavorare fra le masse per impedire che si crei uno stato d’animo di “unità nazionale o europea” in cui gli sfruttati e gli sfruttatori siano sulla stessa barca e combattano contro il “nemico che viene dall’est” e per diffondere posizioni coerentemente antimperialiste, contro qualsiasi alleanza militare imperialista. Il piano di riarmo deve fallire! Basta con le stragi dei popoli! Il nemico principale si trova nel nostro paese!
Stiamo entrando in un periodo di conflitti più aspri tra imperialisti e di aperto attacco alla classe operaia e ai popoli.
La classe operaia dovrà affrontare nuove e più dure condizioni, ponendosi di fronte a nuovi problemi e compiti da risolvere, che la costringeranno ad abbandonare l’illusione di uno sviluppo pacifico e a riorganizzarsi per grandi battaglie rivoluzionarie che non vengono mai da sole, ma che bisogna preparare e organizzare per vincerle.
La questione del partito di classe e rivoluzionario, proletario nella sua composizione, nel suo programma, nel suo indirizzo, nella sua politica, strumento indispensabile per dirigere la classe e i suoi alleati, direttamente e attraverso le loro organizzazioni di massa, si presenta oggi in modo più impellente di ieri.
Se è vero che la classe non esprime il suo partito indipendente e rivoluzionario in una notte, in modo meccanico, è altrettanto certo che il processo della sua costituzione deve essere favorito e avvicinato nel turbinare degli avvenimenti che scuotono la società, causando spostamenti, divisioni e demarcazioni di campo: di qua i proletari rivoluzionari, di là gli opportunisti di tutte le risme.
In questo processo è oggi di fondamentale importanza realizzare l’unità dei comunisti, a partire dalla fusione dei gruppi che sono sul terreno del marxismo-leninismo e dell’internazionalismo proletario, per rafforzare l’intervento politico nel proletariato.
Si tratta di passi ancora quantitativamente limitati, ma su basi corrette e che vanno nella giusta direzione, contrapponendosi alla confusione ideologica e alla frammentazione organizzativa generate dal revisionismo.
Passi che vanno compiuti senza indugi e con il massimo impegno da parte di tutti i comunisti organizzati e da tutti coloro che condividono le nostre posizioni ideologiche e politiche.
Da Scintilla n. 152, aprile 2025
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