NO alla repressione della protesta giovanile

In coda alla manifestazione dello scorso 22 settembre a Milano, vi sono stati una serie di arresti di giovani e giovanissimi accusati di aver partecipato ai tafferugli alla stazione centrale.

Nei loro confronti i partiti governativi hanno scatenato una canea rabbiosa e delirante con il chiaro obiettivo di diffamare la giornata di lotta.

Sintomatico il tentativo, rientrato grazie all’intervento dell’avvocato difensore, di non consentire la frequenza scolastica per i due minori.

Altrettanto escludente e discriminatorio il Daspo inflitto ad un’altra indagata con il divieto di frequentare bar, ristoranti e treni.

Nei giorni successivi la mannaia della repressione si è abbattuta su attivisti a Brescia con perquisizioni.

In seguito  non sono mancate altre azioni repressive, mentre l’esecutivo ha cercato di delegittimare l’azione della Global Sumud Flotilla e di additare i manifestanti del 3 e 4 ottobre come dei fannulloni che vogliono solo fare un lungo fine settimana.

Intanto a Livorno sono stati effettuati arresti di giovani che contestavano Salvini, mentre a Milano la Procura indaga su altri attivisti.

Le ultime dichiarazioni del ministro  Piantedosi vanno verso ulteriori denunce e contestazioni verso i manifestanti che verranno identificati. Come sempre non mancano le criminalizzazioni gratuite dei manifestanti accusati di antisemitismo e di essere partecipi di una strategia della tensione (che è sempre stata attuata dallo Stato borghese e dai suoi apparati speciali).

È evidente l’intento repressivo ed intimidatorio. Il potere capitalista  teme infatti il risveglio della giovane generazione che comincia a  scendere numerosa in piazza.

In questo scenario, denunciamo la  repressione ed esprimiamo solidarietà ai giovani compagni  inquisiti e sottoposti a misure restrittive.

Nel farlo, desideriamo ricordare tre cose, per non lasciare spazio a posizioni “naif” o palesemente errate.

Primo, le tristi parole di Cossiga sui manifestanti: “…lasciarli fare. Ritirare le forze di polizia dalle strade e dalle università, infiltrare il movimento con agenti provocatori pronti a tutto, e lasciare che per una decina di giorni i manifestanti devastino i negozi, diano fuoco alle macchine e mettano a ferro e fuoco le città. Dopo di che, forti del consenso popolare, il suono delle sirene delle ambulanze dovrà sovrastare quello delle auto di polizia e carabinieri”.

Secondo, il fatto che la “Legge  sicurezza” ha ampliato le garanzie di copertura e non punibilità per gli infiltrati dei servizi di Stato, che ora sono liberi di agire in modo provocatorio per scopi reazionari.

Terzo, occorre comprendere che le forme di lotta non sono qualcosa di astratto e di buono per ogni uso, ma cambiano a seconda della situazione concreta e dei rapporti di forza fra le classi. Esse devono essere adeguate agli obiettivi politici che si pongono.

I comunisti devono saperle assimilare e combinarle, evitando la battaglia e non lasciando spazi ad azioni che la borghesia può utilizzare per denigrare e attaccare il movimento proletario, se non hanno ancora accumulato la quantità necessaria di forze o se la situazione è sfavorevole, tenendosi pronti a cambiare rapidamente  le forme di lotta quando le circostanze lo richiedono.

Questo può essere fatto solo da un vero partito comunista che sappia orientare la lotta e modificare la tattica, seguendo le indicazioni della strategia e l’esperienza del movimento rivoluzionario, lo stato delle forze del proletariato e dei suoi alleati.

Pensare che possano fare ciò gruppi movimentisti, spontaneisti o anarcoidi è pura idiozia, se non peggio.

Da Scintilla n. 155, ottobre 2025

 

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