Note sul revisionismo moderno

I parte
La lotta spietata contro il revisionismo moderno in tutte le sue forme e correnti, saldamente basata sula teoria marxista-leninista, è fondamentale per la costituzione di un autentico Partito comunista del proletariato nel nostro paese capace di dirigere la lotta per la rivoluzione e il socialismo.
Di qui la necessità di approfondire la conoscenza di questo fenomeno, delle condizioni che permisero la sua diffusione nel movimento comunista internazionale, del suo rapporto intrinseco con l’imperialismo e la reazione mondiale per soffocare la lotta di classe rivoluzionaria della classe operaia e dei popoli oppressi.
Il revisionismo moderno non può essere compreso come una semplice deviazione dal marxismo-leninismo, una corrente ad esso ostile sorta nel suo stesso seno, come fu nel caso del vecchio revisionismo, che si sviluppò nell’epoca del capitalismo pre-monopolistico, quando la rivoluzione socialista non aveva ancora trionfato.
Per comprendere il fenomeno del revisionismo moderno (Browder, Tito, Krusciov, Togliatti, Mao, etc.), dobbiamo anzitutto osservare che esso si è originato in un momento storico in cui il proletariato era al potere in alcuni paesi e il socialismo era una realtà che avanzava, dimostrando agli occhi dei lavoratori di tutto il mondo la superiorità del sistema socialista e aggravando i problemi della borghesia.
Capitalismo e socialismo sono i due opposti di una contraddizione antagonista fondamentale. Fra questi opposti vi è stata una lotta permanente e senza quartiere; uno ha cercato di distruggere l’altro, di sostituirlo nel processo dello sviluppo storico.
La lotta fra capitalismo e socialismo divenne particolarmente acuta dopo la seconda guerra mondiale, con il distacco di una serie di paesi dell’Europa dal sistema capitalista-imperialista, a seguito della disfatta del nazifascismo, la disgregazione del mercato mondiale unico, la creazione del campo socialista e la divisione del mondo in campi opposti.
Il moderno revisionismo, quale fenomeno internazionale manifestatosi in quel periodo, ha le sue origini in due fenomeni:
- Sul piano esterno, l’accerchiamento capitalistico e l’enorme pressione esercitata dall’imperialismo – soprattutto dall’imperialismo degli Stati Uniti che si era rafforzato, e dal blocco anticomunista da essi egemonizzato – sul movimento comunista e operaio internazionale (sia sui Partiti che erano giunti al potere, sia su quelli che non vi erano giunti). Una situazione storica specifica, con l’intera borghesia mondiale, le sue istituzioni, agenzie, forze di riserva, etc., schierata dietro la direzione della borghesia imperialista statunitense per combattere il socialismo.
- Sul piano interno la formazione di una nuova classe privilegiata nell’apparato statale sovietico e la successiva liquidazione della proprietà socialista, che hanno determinato la tendenza alla conciliazione, alle concessioni, alla collaborazione e infine alla capitolazione di fronte alla pressione imperialista.
Questi fenomeni di ordine esterno e di ordine interno non vanno concepiti isolati l’uno dall’altro; sono infatti strettamente collegati fra di loro, si intrecciano, determinando il quadro complessivo entro il quale si è svolta la degenerazione revisionista.
Occorre osservare che dopo la seconda guerra mondiale l’imperialismo non poteva condurre e vincere la lotta contro il marxismo-leninismo direttamente, con una aggressione.
Il socialismo aveva dimostrato di saper sconfiggere il nazifascismo e non sarebbe crollato di fronte a un attacco esterno. L’imperialismo, una volta privato del monopolio nucleare, pur continuando a minacciare l’attacco atomico (e preparando piani in tal senso), concentrò la sua capacità controrivoluzionaria nel rendere più attive tutte le forze dell’opportunismo nel sabotaggio e nella degenerazione dall’interno dei paesi socialisti e dei partiti comunisti.
Si può dunque affermare che il moderno revisionismo è stato – in una variante o nell’altra e con le diverse tattiche seguite a seconda delle condizioni specifiche esistenti nei differenti paesi – il risultato della pressione esterna dell’imperialismo e della pressione interna della borghesia e della piccola borghesia che si svolgeva su più piani: ideologico, politico, strategico-militare, economico e finanziario, psicologico, culturale, etico, estetico, etc. Pressioni che hanno trovato un terreno favorevole in alcuni limiti soggettivi del movimento comunista, specialmente sul piano ideologico.
L’offensiva condotta dall’imperialismo fu una lotta a morte, in cui la borghesia, di fronte alla formazione di un potente campo socialista, antimperialista e democratico, raccolse tutte le sue forze in un solo campo imperialista, guerrafondaio e reazionario diretto dagli Stati Uniti d’America, per lottare contro lo sviluppo del movimento rivoluzionario della classe operaia e dei popoli e il ribaltamento dei rapporti di forza fra capitalismo e socialismo su scala mondiale.
Questa situazione permise all’imperialismo per la prima volta, anche se temporaneamente, di lanciare un attacco unificato e coordinato da un unico centro contro il socialismo e il movimento rivoluzionario della classe operaia e dei popoli. Si tratta di una situazione storica difficilmente replicabile.
Il capitale finanziario rinnovò e rafforzò i suoi rapporti con l’aristocrazia e la burocrazia operaia e sindacale, con i Partiti e gli elementi vacillanti, cercando di attrarli e manipolarli.
L’offensiva imperialista trovò dapprima i suoi primi punti di appoggio in alcuni partiti che erano sotto la pressione diretta dell’imperialismo USA (v. il fenomeno del browderismo sorto negli Usa nel 1944, che fu il precursore del moderno revisionismo), o che, oltre ai legami con l’imperialismo, presentavano gravi deviazioni dal marxismo-leninismo (v. il revisionismo jugoslavo, manifestatosi nel 1948 in un partito al potere e in un momento in cui si acuiva la lotta fra il socialismo e l’imperialismo).
Queste forze si misero rapidamente al servizio dell’imperialismo anglo-americano e della sua strategia controrivoluzionaria.
L’offensiva imperialista proseguì senza soste, approfittando di una serie condizioni favorevoli per l’affermarsi del revisionismo moderno.
II parte
Già durante la Seconda guerra mondiale si manifestarono profonde deficienze nell’analisi e nel lavoro dei partiti comunisti (ad es. in Italia, Francia, Spagna, Gran Bretagna), che non avevano compreso né applicato correttamente la politica dell’Internazionale comunista, allontanandosi gradualmente dal marxismo-leninismo e scivolando su posizioni riformistiche e di alleanze senza principio con settori di borghesia.
Anche in Unione Sovietica si manifestarono una serie di fenomeni negativi in quegli anni.
Invece della mobilitazione rivoluzionaria dei quadri e delle masse per assicurare il consolidamento del socialismo e il graduale passaggio al comunismo, si notò una flessione nel carattere e nella morale in un partito indebolito dalle gravi perdite subite nel campo di battaglia contro il nazifascismo.
Vi fu una parziale e limitata comprensione della caratteristiche del nuovo periodo che si era aperto, delle forme in cui si sviluppava la lotta dell’imperialismo contro il socialismo e il movimento della classe operaia.
Nel Partito bolscevico non si afferrarono a fondo le nuove contraddizioni che si erano originate nella società socialista, in particolare il fatto che le contraddizioni non antagoniste (che fino al comunismo conservano un carattere di classe) potevano trasformarsi in contraddizioni antagoniste sotto la pressione imperialista.
Non si comprese a fondo che la risposta al quesito “Chi vincerà?” non era risolta con la edificazione della base economica del socialismo; che la contraddizione antagonista fra via capitalista e via socialista continuava a sussistere per tutto il periodo di transizione al comunismo, parallelamente alle contraddizioni non antagoniste, assumendo forme nuove; che fintanto non si risolveva questa contraddizione anche in campo ideologico, dove la borghesia aveva la sua trincea avanzata, essa non si poteva considerare risolta neppure nel campo economico e politico, sussistendo quindi la possibilità della restaurazione dei rapporti borghesi.
Come spiegava Stalin, la vittoria del socialismo in un solo paese è assolutamente necessaria e possibile, ma la vittoria definitiva del socialismo, nel senso di una piena garanzia contro la restaurazione del capitalismo, è possibile solo con lo sforzo congiunto del proletariato internazionale.
Queste e altre incomprensioni, limiti e deficienze teoriche determinavano in taluni settori del partito bolscevico, influenzati dalle idee della borghesia e della piccola borghesia che venivano espresse in nuove forme, la micidiale illusione che l’imperialismo potesse accettare l’esistenza del socialismo proletario, che si potesse convivere pacificamente con esso (questa stessa posizione si diffuse in quegli anni a livello internazionale sotto forma di teoria della convergenza dei due sistemi economici e sociali, il capitalismo e il socialismo).
Sul piano economico si erano diffuse teorie secondo cui l’ampliamento della sfera e del grado di azione della legge del valore, con l’introduzione di prezzi di mercato (Voznosenky e le posizioni buchariniane, con tutto il seguito che queste correnti hanno avuto in URSS) desse dinamicità al sistema economico socialista. In realtà non volevano rompere il cordone ombelicale che lega il socialismo alla vecchia società, ma irrobustirlo per poi restaurare il capitalismo, come purtroppo è avvenuto dopo la morte di Stalin che era il maggiore ostacolo contro questa linea di destra, controrivoluzionaria.
ll Partito bolscevico cominciò a ricoprirsi di ruggine. Nel corpo dei militanti si manifestò la presunzione per le gloriose battaglie vinte unita all’apatia e allo spirito di autocompiacimento dopo decenni di durissime lotte e guerre. Le norme leniniste e gli insegnamenti di Lenin e di Stalin vennero trasformati in formule burocratiche. Vi furono molti difetti nell’esecuzione dei compiti e una mancanza di attenzione alla corretta gestione della proprietà socialista. Nell’esercito venne a crearsi una casta che estese il proprio dominio prepotente e arrogante anche sul Partito, alterandone il carattere proletario. Un certo numero di individui abusavano del loro potere nel Partito e nello Stato e nell’apparato economico, dove trovarono lo spazio per far valere i loro interessi privati. I privilegi si accumularono, assieme a molti altri vizi e concezioni distorte.
In tal modo si creò nel seno della società socialista un nuovo strato arricchito e privilegiato che costituì la base sociale del revisionismo sovietico.
Non possiamo dimenticare alcuni fattori che incisero negativamente nella situazione, quali: l’estrema concentrazione del potere in un gruppo dirigente ristretto e la perdita dei migliori militanti proletari durante il secondo conflitto mondiale; l’entrata in massa nel Partito di milioni di iscritti nel dopoguerra con l’abbassamento del loro livello qualitativo; una concezione unilaterale del centralismo democratico (prevalentemente dall’alto); l’affievolimento della disciplina, della vigilanza rivoluzionaria e del controllo, della critica dal basso quale metodo per scoprire gli errori e le deficienze nel lavoro; la sottovalutazione dell’importanza del lavoro ideologico; la diffusione del liberalismo, l’indifferenza e la passività verso le posizione errate; il parziale coinvolgimento delle masse “senza-partito” senza il quale viene meno un fattore primario nella dinamicità del sistema socialista verso il comunismo.
Questi limiti e difetti diedero modo agli opportunisti (fra cui elementi megalomani e fautori del culto della personalità) di farsi strada, di privare il partito della sua vigilanza, di corroderlo dall’interno, nonostante l’accanita lotta di Stalin contro di essi.
La classe proprietaria (capitalisti, latifondisti) era stata sconfitta come classe, ma sopravviveva sia a livello internazionale, sia interno con i suoi elementi.
La sua capacità e influenza si manifestava nella sovrastruttura, soprattutto nella sfera dell’amministrazione statale/aziendale e in quella ideologica (particolarmente nella teoria economica). Come accennato, la borghesia eresse le sue barricate attorno all’ampliamento della legge del valore e dunque della circolazione mercantile nel socialismo, su cui operò una resistenza accanita e da cui ripartì all’attacco subito dopo la morte di Stalin nella devastante opera di restaurazione del capitalismo.
La piccola borghesia invece non era stata abolita come classe e sopravviveva nella piccola produzione e nella circolazione mercantile, sia pure posta entro limiti ben definiti, nel mercato non organizzato, oltre che nell’ideologia proprietaria che essa continua a diffondere.
Essa era la fonte delle contraddizioni che sussistevano fra operai e colcosiani. Si trattava di contraddizioni non antagoniste, che contenevano in sé la possibilità di essere superate sulla base della trasformazione socialista dell’agricoltura e dei contadini; ma anche di trasformarsi in contraddizioni antagoniste se si fosse affermata la linea opposta, quella che si è storicamente e ideologicamente sviluppata lungo l’asse Bucharin-Yaroscenko-Voznosenky-Krusciov- Breznev-Gorbaciov.
III parte
Nella prima parte di queste note, pubblicata su Scintilla n. 146, abbiamo accennato al browderismo (da Earl Browder, ex segretario del Partito Comunista degli USA) che fu la prima corrente che precedette il revisionismo moderno.
Questa corrente entrò in scena nel corso della Seconda Guerra mondiale, quando all’orizzonte si profilava la vittoria dei popoli sul fascismo e l’imperialismo statunitense mirava a imporsi come la forza egemone del blocco capitalista-imperialista.
Fu allora che Browder si presentò pubblicamente con un programma da cima a fondo riformista. Egli fu il primo portabandiera di una linea ideologica e politica capitolazionista che l’imperialismo statunitense avrebbe tentato di imporre ai partiti comunisti e ai movimenti rivoluzionari, specialmente nel continente americano.
È interessante ripercorrere le caratteristiche ideologiche del browderismo, che ritroveremo nelle successive forme di revisionismo moderno.
Browder, prese come punto di partenza e di giustificazione alla formulazione delle sue teorie borghesi e revisioniste, la Conferenza delle potenze alleate svoltasi a Teheran nel 1943, analizzando e interpretando i risultati di questa Conferenza in modo antimarxista e completamente falso.
Presentò l’intesa degli alleati antifascisti di condurre la guerra contro la Germania nazista come l’inizio di una nuova epoca storica, in cui il socialismo e il capitalismo avevano scoperto la via della collaborazione nel quadro di «un mondo unico e identico».
Browder sostenne che lo spirito di collaborazione fra le potenze alleate, emerso dalla conferenza di Teheran, fosse attuato non solo fra lo Stato socialista sovietico e gli Stati capitalisti, ma anche all’interno di ogni paese capitalista nei rapporti fra le classi antagoniste.
Di conseguenza, l’unico obiettivo che i comunisti dovevano perseguire era quello di realizzare, in un’atmosfera di armonia fra le classi, l’«unità nazionale», ovvero un blocco comprendente i gruppi del capitale finanziario, le organizzazioni monopolistiche, i partiti repubblicano e democratico, i comunisti e i movimenti sindacali.
Browder elaborò su questa base un insieme di proposte e punti di vista.
Propose che nel dopoguerra gli Stati Uniti avrebbero dovuto realizzare un commercio di esportazione di 40 miliardi di dollari l’anno e si dichiarò disposto ad aiutare i liberi imprenditori a realizzare il mercato estero.
Propose che i grandi capitalisti degli Stati Uniti dovevano avere mano libera per portare a termine un programma postbellico di “industrializzazione di tutte le aree devastate e non sviluppate del mondo”.
Negò il pericolo dell’imperialismo yankee e la minaccia imperialista, nascondendo ai lavoratori statunitensi il pericolo più grande per la pace e il progresso sociale.
Sostenne che il capitalismo USA non era più reazionario, che era in grado di guarire le piaghe della società borghese, e che poteva svilupparsi sulla via democratica per il bene dei lavoratori. I grandi monopoli, pilastri di quest’imperialismo, costituivano per Browder una forza progressiva di sviluppo economico, sociale e democratico.
Diffuse tra gli operai l’illusione di un lungo periodo di pace di classe dopo la guerra durante il quale essi potranno tranquillamente impegnarsi a non scioperare perché i padroni avrebbero migliorato volontariamente la situazione dei lavoratori.
Browder negò il carattere di classe dello Stato capitalista e considerò la società statunitense come una società unica e armonica, senza antagonismi sociali, come una società in cui regnano la comprensione e la collaborazione di classe.
Salutò quindi la “Carta per la gestione del lavoro” senza una parola di critica, accettando la collaborazione di classe a livello nazionale e internazionale, e propose l’adozione generalizzata del salario incentivante nell’industria nordamericana del dopoguerra, spalancando le porte a un più rapido e più intenso sfruttamento dei lavoratori di questo paese.
Con il pretesto del presunto mutamento delle condizioni storiche di sviluppo del capitalismo e della situazione internazionale, Browder proclamò «superato» il marxismo-leninismo, definendolo un sistema di dogmi e di schemi rigidi da sostituire con un’ideologia “flessibile”.
Mise il segno d’uguaglianza fra comunismo e americanismo e dichiarò che «il comunismo è l’americanismo del XX secolo». Tutti i paesi capitalisti sviluppati, secondo Browder, sfruttando la democrazia borghese, il cui modello era la democrazia USA, potevano risolvere ogni conflitto e passare gradualmente al socialismo.
Nel 1944 si fece promotore dello scioglimento del Partito Comunista degli Stati Uniti d’America e della creazione di un’associazione culturale illuministica soprannominata «associazione politica comunista», poiché a suo dire l’esistenza di un partito politico particolare dei comunisti non serviva più agli scopi pratici, ma, al contrario, poteva “essere di ostacolo a una più larga unità”.
Che gli effetti pratici delle idee e delle proposte di Browder erano volte a facilitare la strategia dell’imperialismo yankee, in particolare il Piano Marshall con il quale gli USA miravano a stabilire la loro egemonia in Europa, paralizzando e liquidando organizzativamente il movimento comunista degli USA, è fuori discussione.
Tutte le teorie revisioniste e socialdemocratiche di Browder coincidevano con gli interessi dei grandi capitalisti statunitensi ed erano, di fatto, un riflesso del programma aggressivo ed egemonico dell’imperialismo nordamericano.
Browder divenne di fatto un portavoce e un propagandista della grande strategia dell’imperialismo USA, delle sue teorie e dei suoi piani neocolonialistici ed espansionistici.
Egli si sforzò di presentare i suoi punti di vista antimarxisti-leninisti e controrivoluzionari come linea generale del movimento comunista internazionale.
I punti di vista di Browder furono contrastati dai partiti comunisti di vari paesi, come anche dagli stessi comunisti rivoluzionari americani. Il browderismo fu denunciato relativamente presto come deviazione di destra, come un’aperta corrente liquidatoria del ruolo di avanguardia proletaria del partito comunista, come un’agenzia di diversione ideologica alle dirette dipendenze dell’imperialismo USA.
Tuttavia il browderismo arrecò un gravissimo danno al movimento operaio e comunista negli Stati Uniti d’America e in alcuni paesi dell’America Latina (Venezuela, Colombia, Peru). In alcuni partiti si ebbero delle scissioni. È interessante notare che, sebbene nel giugno 1945, nel corso del 13° Congresso del PCUSA fosse ricreato il partito e formalmente respinta la linea opportunistica di Browder (che fu espulso l’anno successivo dal partito), la sua influenza revisionista, intrecciata con quella kruscioviana, non è mai scomparsa nel PCUSA.
In Europa il browderismo non ebbe grande successo. Ciò nonostante questo seme dell’imperialismo statunitense mise radici fra quegli elementi riformisti, antimarxisti e antileninisti mascherati, che aspettavano o preparavano i momenti favorevoli per deviare apertamente dal marxismo-leninismo.
Le deviazioni e le profonde distorsioni revisioniste di Browder, frutto delle pressioni e delle illusioni imperialistiche del periodo attorno al dopoguerra, furono alla base delle piattaforme politiche e ideologiche dei revisionisti jugoslavi e cinesi, come anche dei partiti revisionisti dell’Europa Occidentale. Anche la “coesistenza pacifica” kruscioviana trovò un antecedente nel browderismo.
IV PARTE
Nello scorso numero abbiamo delineato la deviazione revisionista del browderismo. Ora affrontiamo il revisionismo titista (dal nome del capo del gruppo dirigente revisionista jugoslavo Josip Brož Tito) che presenta delle affinità con il browderismo.
Questa forma di revisionismo moderno nel secondo dopoguerra si impossessò del potere in Jugoslavia e si inserì pienamente nella strategia offensiva scatenata dall’imperialismo, in particolare quello angloamericano, contro il socialismo e la rivoluzione.
Il titismo non si presentò immediatamente come un’aperta deviazione revisionista, ma fino alla condanna e all’espulsione dal Cominform nel 1948 del PC jugoslavo, cercò di mascherarsi dietro il “marxismo creativo”, mentre preparava il ritorno della Jugoslavia sulla via capitalista e si trasformava in strumento dell’imperialismo mondiale.
Per capire la sua genesi dobbiamo fare un passo indietro. L’avanzata delle truppe sovietiche verso occidente frustrò i piani degli imperialisti. I partiti comunisti dell’Europa orientale e balcanica riuscirono, con l’aiuto fraterno e l’amicizia dell’Unione Sovietica, a partecipare a coalizioni governative con altri partiti anti-nazifascisti.
In quel frangente era necessaria tale alleanza per sconfiggere il fascismo che era la dittatura terroristica aperta degli elementi più retrivi del capitale finanziario, come era stato deliberato al VII Congresso del Comintern, e creare le condizioni per instaurare la democrazia popolare.
Questa tappa permise ai partiti comunisti di insediarsi in posizioni chiave nell’apparato statale e ciò si univa alla crescente popolarità che stavano guadagnando grazie alla promozione e all’iniziativa di radicali riforme popolari, così come grazie all’erosione degli altri partiti del fronte attraverso lo smascheramento e la condanna dell’inerzia e della collusione dei loro vertici con l’imperialismo.
I successi registrati non avevano però ancora trasformato qualitativamente le democrazie popolari, malgrado il loro carattere specifico conferitogli dalla presenza sovietica e dall’occupazione dei comunisti di posti chiave, per sviluppare le funzioni proprie della dittatura del proletariato. Si andava sviluppando anzi, a livello generale, l’erronea comprensione del rapporto fra i compiti immediati e i compiti di edificazione del socialismo, in alcuni casi (Gomulka, ad es.) fino a negare apertamente la necessità della dittatura del proletariato per edificare il socialismo.
Come riconobbe Rákosi: “Non l’abbiamo diffuso ampiamente nel partito, perché citando ancora la dittatura del proletariato come obiettivo a livello teorico, i nostri alleati della coalizione sarebbero stati presi dal panico; nello stesso tempo ciò avrebbe reso più ardui i nostri sforzi per conquistare non solo le masse piccolo borghesi, ma anche la maggioranza delle masse lavoratrici”.
Ma gli errori commessi da dirigenti marxisti-leninisti onesti, che in seguito li corressero per realizzare la dittatura del proletariato nelle nuove forme, continuarono ad essere perpetuati dai dirigenti revisionisti e opportunisti. Se l’imperialismo aveva trovato il suo appoggio inizialmente nei vertici dei partiti non operai del fronte, e poi nei socialdemocratici di destra, entrambi sconfitti dai comunisti, successivamente trovò elementi pronti al tradimento nelle correnti revisioniste interne ai partiti comunisti.
Soltanto in Jugoslavia però i revisionisti, che avevano intessuto rapporti con l’imperialismo negli anni della guerra (ad es., i rapporti Tito-Churchill), dominavano uno Stato di democrazia popolare e lì la deviazione antimarxista-leninista si manifestò in modo ancora più chiaro, collimando con gli scopi dell’imperialismo.
Ciò si manifestò dapprima con l’accettazione degli “aiuti” economici (crediti, prestiti, capitali), militari, politici, ideologici, con cui gli imperialisti angloamericani si infiltravano nei paesi di democrazia popolare per staccarli dall’Unione sovietica socialista.
Allo stesso tempo i dirigenti jugoslavi manifestarono un’aperta contrarietà alla teoria e alla pratica del socialismo scientifico, accogliendo molte idee del browderismo, fra cui l’esaltazione del modello della “democrazia americana” e della “via americana” contrapposta alla “via russa” in agricoltura.
In Jugoslavia si considerarono fin dall’inizio i contadini, invece degli operai, la classe più rivoluzionaria, senza effettuare le opportune distinzioni leniniste tra contadini piccoli, medi e grandi. La teoria marxista delle classi e della lotta di classe, che si acutizza nel periodo di transizione dal capitalismo al socialismo, venne rigettata.
Tito, Kardelj, Djlas, Rankovic, non sono mai stati dei coerenti marxisti-leninisti, ma dei nazionalisti borghesi. Essi negavano il ruolo dirigente del proletariato e del suo partito nel sistema della democrazia popolare, per edificare il socialismo. Il Partito veniva subordinato al Fronte unito socialista comprendente più classi (anche kulaki e speculatori), in cui si era di fatto dissolto e con cui condivideva il programma, peraltro dettato dal Fronte stesso.
Il Partito comunista jugoslavo peraltro mantenne uno stato di semi-legalità che rendeva impossibile il centralismo democratico, la critica e l’autocritica. Alla riunione di Bucarest del Cominform (giugno 1948) a cui furono invitati per discutere del contenzioso, i dirigenti jugoslavi rifiutarono di parteciparvi e, in un clima di scontri interni, decisero di non posticipare il V Congresso del Partito fino a quando si fossero svolte discussioni vertenti su tale situazione. Selezionarono invece solo delegazioni composte da loro sostenitori, contro qualsiasi principio centralista democratico. L’appartenenza al Cominform divenne, per questi ed altri motivi, impossibile.
A seguito dell’espulsione degli jugoslavi dal menzionato organismo internazionale si scatenò la caccia ai marxisti-leninisti (che coinvolsero anche internazionalisti italiani provenienti dalla zona di Monfalcone) che vennero internati in lager.
Lo scontro con le posizioni marxiste-leniniste si acuì ulteriormente quando vennero a galla i legami che alcuni vertici militari e politici delle democrazie popolari avevano con l’imperialismo, accordandosi direttamente con i caporioni di Belgrado per i loro atroci piani.
I crimini andavano dal sabotaggio della collettivizzazione dell’agricoltura e dell’avanzata verso il socialismo, alla pianificazione dell’uccisione di leader comunisti come Rakosi e Hoxha e, non ultimo, l’intenzione di annettere nuove repubbliche nella Federazione jugoslava o addirittura a prospettare la creazione della Federazione balcanica con Belgrado egemone, in modo da rompere il fronte comunista internazionale.
Con la rottura delle relazioni con l’URSS e i provvedimenti internazionalisti del Cominform per aiutare i comunisti jugoslavi, anche tramite la creazione di un nuovo partito rivoluzionario, i revisionisti jugoslavi, pur continuando a dichiararsi comunisti, si legarono sempre più strettamente agli imperialisti economicamente svendendosi ad essi e, convergendo con la loro politica estera, sabotando la rivoluzione greca, appoggiando la Corea del Sud nella guerra di Corea ed entrando in un’alleanza militare con Turchia e Grecia (due paesi NATO).
I titisti teorizzarono e applicarono l'”autogestione” dei “lavoratori”, cioè un sistema corporativo che prevedeva l’ampia autonomia discrezionale dei capi delle aziende dal centro, potendosi intascare grandi somme del plusvalore prodotto dagli operai, il cui sfruttamento veniva edulcorato dalla possibilità di eleggere “delegati operai”.
L’assenza di pianificazione, l’anarchia della produzione e le disuguaglianze portarono in questa società ibrida capitalista-revisionista alti tassi di disoccupazione, emigrazione e inflazione tra i più alti in Europa.
La teoria delle nazionalità leninista veniva abbandonata a favore di una concezione deviazionista, lo jugoslavismo, funzionale all’assimilazionismo e al nazionalsciovinismo serbo e croato, celati dietro la maschera di un socialismo “specifico” e “più umano”. Anche questa teoria fu estremamente fallimentare e contribuì ad acuire i contrasti tra le nazionalità e a riportare progressivamente all’odio viscerale tra esse e alla guerra civile.
Il Partito comunista, riprendendo le tesi di Browder, veniva ridenominato “Lega dei Comunisti” e nei piani dei titisti avrebbe dovuto svolgere un ruolo meramente educativo. L’internazionalismo proletario fu abbandonato da Tito, Kardelj, Djilas e Rankovich dapprima con la loro politica ostile verso l’Unione Sovietica e l’isolazionismo rispetto il campo socialista, poi in nome del “non-allineamento”, ovvero la non-opposizione e la collaborazione con l’imperialismo, per sabotare la lotta antimperialista dei popoli oppressi e la rivoluzione socialista.
Il concetto di “via nazionale al socialismo” fu esagerato fino al punto non solo del rigetto dei principi del comunismo per edificare il socialismo, ma addirittura si riteneva che si potesse edificare il socialismo senza la guida dei partiti comunisti! Il titismo, con i discorsi sul “socialismo specifico”, “nuovo” e “più umano”, svolse un ruolo nefasto a livello internazionale, fungendo da apripista “socialista” per l’imperialismo e gli elementi opportunisti e revisionisti dei partiti specialmente europei.
Questo ruolo attivo, che arrivò all’aperta sovversione, emerse in modo evidente in occasione degli avvenimenti di Ungheria nel 1956. Come è noto il revisionismo, dopo la morte di Stalin, prese di fatto la direzione dell’Urss e delle altre democrazie popolari. Il krusciovismo aveva dei punti di contatto con il titismo, ma la dirigenza sovietica non poteva tuttavia tollerare il policentrismo che li avrebbe privati delle proprie sfere di influenza.
Nonostante la “coesistenza pacifica” e la subordinazione agli imperialisti, la logica della lotta fra potenze per la spartizione del mondo, e quindi della rivalità con gli USA, esigeva la sua parte. La Jugoslavia e la cricca titista fu tuttavia riabilitata da Krusciov e nel 1955 trovò cittadinanza nel movimento internazionale diretto dal revisionismo, assieme a tutti i traditori delle democrazie popolari e ai filo-imperialisti.
V PARTE
Dopo aver trattato le deviazioni revisioniste di Browder e di Tito, riprendiamo a considerare quello che accadeva in Unione Sovietica.
Il rapporto presentato da Malenkov al XIX Congresso del PCUS (ottobre 1952), oltre ai successi registrati, mise in luce una serie di fenomeni negativi che stavano prendendo piede: abbassamento del livello di coscienza politica dei membri del partito, negligenze organizzative, metodi amministrativi di direzione, mancanza di autocritica e critica (specialmente dal basso), debolezze nella disciplina, formalismo, passività, burocratismo, autocompiacimento, difetti nella selezione dei quadri e nella verifica dei compiti, sottovalutazione del lavoro ideologico.
In quel periodo, Stalin comprese pienamente che i rapporti di produzione non erano “perfettamente” conformi allo stato delle forze produttive (come era stato affermato anni prima, senza tener conto che differenze importanti, anche se non antagonistiche, continuavano ad esistere nel socialismo), che il socialismo non poteva mantenersi senza lottare per il comunismo, preparando gradualmente questo passaggio dallo stadio inferiore a quello superiore della società comunista.
Un passaggio incompatibile con la vigenza della legge del valore, la circolazione delle merci, la divisione fra lavoro manuale e intellettuale, fra città e campagna, etc.
Allo stesso tempo Stalin comprese l’importanza decisiva del ruolo delle sovrastrutture per condurre la lotta per il comunismo (vedere al riguardo “Problemi economici del socialismo in URSS”, 1952) e cercò di avvicinare il governo sovietico e le masse lavoratrici.
Il tentativo di Stalin, nell’ultimo periodo della sua vita, fu quello di dare battaglia sul terreno ideologico e di rinnovare radicalmente il CC del Partito immettendovi giovani quadri di estrazione operaia, per assicurare la direzione proletaria del partito e lottare contro la burocrazia e gli strati privilegiati.
Nel suo ultimo discorso al Plenum del CC, Stalin chiese il permesso di lasciare l’incarico di Segretario generale e di presidente del Consiglio dei ministri, per condurre più liberamente la lotta contro gli elementi di destra, specialmente quelli presenti nel Politburo.
Il Plenum rifiutò la proposta in una sessione drammatica (nel tristemente famoso “Rapporto segreto al XX Congresso” c’è un esplicito riferimento al discorso di Stalin del 16 ottobre 1952, dove si afferma che faceva parte di un disegno per la futura eliminazione dei vecchi membri del Politburo). Accettò tuttavia la proposta di Stalin di ampliare il Presidium con 25 nuovi membri.
Krusciov, Berja, Mikojan, fiutarono il pericolo e compresero che avrebbero presto perso le loro posizioni se Stalin fosse riuscito a portare avanti il suo piano.
Il grande georgiano lasciò negli ultimi mesi di vita indicazioni di grande importanza sui problemi del socialismo e sui compiti dei comunisti. Approfondì la questione delle contraddizioni non antagoniste che sussistono nel seno della società socialista. Intensificò la lotta contro tutte le tendenze revisioniste, nazionaliste e borghesi, oltre che alla sovversione imperialista.
Forse sopravvalutò il tempo che gli era rimasto per condurre la lotta di classe nel Partito, aspetto della più generale lotta che si sviluppava nell’Unione Sovietica e su scala internazionale. I nemici del comunismo intanto aspettavano il momento opportuno per sbarazzarsi del grande bolscevico e realizzare il piano controrivoluzionario.
Dopo la morte di Stalin – che incarnava la dittatura del proletariato e la cui direzione impediva agli elementi revisionisti di alzare la testa (egli sostenne fino all’ultimo e con tutti i mezzi a sua disposizione la causa della classe operaia, dirigendo i suoi sforzi verso la soppressione dei presupposti materiali ed ideologici di interessi di classe contrari al socialismo, ma non poteva certo agire al di fuori delle condizioni storiche esistenti) – con le misure controrivoluzionarie prese della cricca kruscioviana (il primo atto politico dei rinnegati, con Stalin ancora agonizzante, fu l’abolizione illegale del Presidium allargato), il revisionismo moderno prese il potere nel Partito e nello Stato, si costituì come classe sfruttatrice disponendo in forme particolari dell’insieme dei mezzi di produzione e cominciò a diffondersi largamente in Unione Sovietica, in Europa e a livello internazionale.
La sua base sociale era costituita dagli elementi burocratizzati e privilegiati del partito, dello Stato, delle imprese e dei colcos; dai nuovi elementi borghesi che crescevano a fianco dei vecchi elementi borghesi; dagli opportunisti e dai carrieristi, da funzionari e ufficiali di origine non proletaria; da chi all’interno del Partito e dello Stato rappresentava gli interessi, le concezioni e la mentalità della piccola borghesia (specialmente dei contadini); dai rappresentanti delle tendenze più arretrate, specie quelle nazionaliste, che esistevano dentro il Partito.
Tutti costoro esprimevano una decisa resistenza al passaggio al comunismo, erano per l’allentamento e la decentralizzazione della pianificazione, per l’ampliamento della circolazione mercantile e delle leggi economiche di funzionamento capitalistico all’interno del socialismo; erano alla ricerca di un “modus vivendi”, cioè della conciliazione con l’imperialismo, cercavano di guadagnarsi la sua fiducia, cancellando il contenuto di classe delle contraddizioni fra socialismo e imperialismo, spacciando illusioni sulla natura di quest’ultimo, fino a rinnegare completamente la centralità della rivoluzione incentrata sulla funzione della classe operaia e il socialismo proletario.
Tutti costoro videro la possibilità di affrancarsi dal controllo proletario, presentando la propria liberazione come la liberazione di “tutto il popolo” dallo stalinismo, ovvero dalla dittatura del proletariato, che Stalin incarnava.
La linea controrivoluzionaria, che prese la forma del revisionismo moderno, venne ufficializzata e imposta a seguito del XX Congresso del PCUS (1956), che legittimò la fine della dittatura del proletariato in nome dello “stato di tutto il popolo”, sancì l’abbandono della teoria leninista del partito, accelerò la graduale restaurazione del capitalismo nell’URSS (obiettivo fondamentale per il successo della linea revisionista) e abbracciò la linea della conciliazione di classe su scala internazionale.
La proclamazione ufficiale del revisionismo moderno, che divenne ideologia e politica del Partito e dello Stato, accompagnata dalle menzogne su Stalin (è stato dimostrato che tutte le “rivelazioni” del “Rapporto segreto” di Krusciov sono delle grossolane falsità), non fu solo la più grande controrivoluzione della storia, non fu solo di enorme aiuto all’imperialismo, ma contribuì potentemente alla restaurazione del capitalismo in URSS (avviata subito dopo la morte di Stalin, con una serie di provvedimenti volti ad ampliare la sfera d’azione della legge del valore e a reintrodurre le leggi del capitalismo) e al formarsi di condizioni favorevoli alla degenerazione opportunista di molti partiti e allo sviluppo della pandemia revisionista, che prevalse nel movimento comunista e operaio.
Oltre alla pressione e alla propaganda imperialista, si aggiunse la grande influenza che il PCUS aveva sui partiti comunisti e operai, per farli passare su posizioni apertamente revisioniste e socialdemocratiche.
Il revisionismo moderno strumentalizzò il prestigio dell’URSS, manipolò il rispetto e la fiducia conquistati all’interno della classe operaia e dei popoli per svuotare di contenuto rivoluzionario il socialismo scientifico e far regredire la lotta della classe operaia e dei popoli oppressi a un livello molto basso su tutti i terreni.
Laddove non bastò l’influenza, vi furono ingerenze, pressioni (diplomatiche, economiche e militari), minacce ai danni dei Partiti e dei dirigenti comunisti che si opponevano.
La confusione e lo smarrimento creato ad arte dai controrivoluzionari e dai rinnegati, si accompagnò alla repressione e alla espulsione di centinaia di migliaia di elementi comunisti, all’accantonamento forzato dei dirigenti dissenzienti e allo scioglimento delle organizzazioni di Partito che respingevano le tesi del XX Congresso, alle imposizioni subite dai Partiti comunisti che resistevano (uno per tutti, il KKE guidato da Zachariadis, la cui direzione fu brutalmente attaccata dai kruscioviani già nel 1955 e poi arbitrariamente sostituita con elementi di loro fiducia).
Gli elementi fedeli alla causa del proletariato, come Bierut e Rakosi, furono emarginati; altri, come Gottwald, morirono; altri ancora furono “aiutati” a sparire dalla scena politica.
Vi furono tuttavia anche altri fattori, che spiegano la mancata controffensiva degli elementi che si mantenevano su posizioni antirevisioniste: il timore di provocare una profonda frattura nel Partito e nello Stato sovietico, di cui poteva avvantaggiarsi ulteriormente l’imperialismo; l’errata valutazione del krusciovismo come fenomeno passeggero; il ritenere acquisita una volta per sempre la base economica socialista (dopo soli tre decenni di dittatura del proletariato).
CONTINUA….
Da Scintilla, nn. 146, 147, 148, 149, 150
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