Ondata di cassa integrazione e fosche prospettive per gli operai di Acciaierie d’Italia

Il “piano di ripartenza” messo a punto dai Commissari Straordinari prevede un enorme aumento della cassa integrazione guadagni (Cig) Il totale dei cassintegrati dopo l’accordo del 25 luglio tra amministratori e sindacati assomma a 4050 unità tra cui 3500 a Taranto, 270 a Genova e 175 a Novi Ligure. Per quanto tempo? Non è dato saperlo, ma c’è l’assicurazione che “tutti”, compresi i cassintegrati storici sin dal 2018 saranno assorbiti man mano che gli altiforni 1 e 2 saranno rimessi in funzione, ossia – viene detto – nei mesi tra ottobre ‘24 e febbraio ‘25.
Ma c’è anche un impegno di proroga per altri 12 mesi (il che significa che questa ripartenza rapida non è affatto certa).
Inoltre, da quanto si capisce, che siano proprio “tutti” è una menzogna.
Citiamo un passo dell’accordo: “Ciò determinerà, nonostante non esistano esuberi strutturali, la necessità di incrementare il numero del personale dell’intervento dell’ammortizzatore sociale, in ragione della non transitoria inattività degli impianti, derivata da fermata parziale o anche totale degli stessi, ovvero dalla ridotta alimentazione degli asset produttivi”.
Tradotto: il completamento della ripartenza non significherà affatto l’assenza di tagli di attività e la piena funzionalità degli impianti ripristinati, perché ciò dipenderà da quanto assorbe il mercato.
Un futuro prossimo del tutto incerto quindi, che contrasta con i giudizi positivi dei dirigenti dei sindacati firmatari Cgil, Cisl, Uil e Usb, paghi di “essere riusciti a ridurre”, in sede di trattativa, un 20% di cassintegrati inizialmente previsti sulle 5000 unità. Una mazzata che hanno spacciato per vittoria!
Nell’accordo sta scritto il ripristino di due altiforni, ma tutta la partita del risanamento ambientale a partire dall’abbattimento di fumi e gas cancerogeni come il benzene e la naftalina per arrivare alla sostituzione dei combustibili fossili, dai costi enormi, tali da far impallidire gli sbandierati 620 milioni in cassa (di cui metà a debito con interessi dell’11%) rimane aperta.
Inoltre il futuro a media scadenza non è affatto roseo.
Qualche illuso (ed illusore che in quanto tale fa danni alla coscienza degli operai), pensa ad un percorso di nazionalizzazione, come se nei tempi di oggi, dopo lo smantellamento dell’industria di stato e nel mentre, per far cassa sulla partita del rientro del debito pubblico, si continuano a vendere quote di partecipazioni pubbliche laddove ne sono rimaste, questa fosse una prospettiva anche solo economicamente possibile.
Ciò non solo per la presenza di un governo di estrema destra, demagogico e menzognero, caratterizzato dal disprezzo e dalla vessazione per gli operai, e, più in generale, per le masse popolari. Ma perché questa è la politica neoliberista della borghesia fin dagli anni ‘80 del secolo passato.
Semmai la brutta temperie politica accentua la necessità di rimanere uniti, vigili e mobilitati perché in ogni momento un accordo, per di più vago, può essere stracciato.
La verità è che la gestione straordinaria durerà fino a quando AdI potrà concretamente essere rimessa nel mercato (ci sono già 4 società, due indiane, una canadese ed una ucraina che hanno manifestato un interesse).
AdI non può sfuggire alla logica del grande capitale che ha per obiettivo il massimo profitto: l’azienda, quando sarà in grado di assicurarlo, passerà di mano, dopo un risanamento pagato dagli operai e dai contribuenti. Ciò, anche solo per esperienza, comporterà un’ondata di esuberi, attualmente non quantificabile, ma rilevante.
Senza contare il fatto (per i firmatari effettivamente non conta) che la Cig è al 70% del salario base in un contesto in cui gli operai sono già poveri anche in piena attività, persino quando fanno straordinari, e questo grazie anche alla linea collaborazionista e rinunciataria seguita dalla triplice sindacale da tanti anni a questa parte.
La sordina che i 4 maggiori sindacati di AdI sembrano aver messo dopo l’accordo di luglio è deleteria e contraria agli interessi di classe degli operai.
L’Amministrazione Straordinaria va tallonata giorno per giorno mettendo in campo la forza operaia mantenuta attiva e pronta alla lotta le cui occasioni concrete non mancheranno di certo.
Non smobilitazione (non c’è “alcun peggio che è passato”) perché se AdI non ha finora chiuso non è per uno o due scioperi, benché necessari e partecipati, ma perché la siderurgia continua ad essere strategica per la borghesia italiana. La Cig piuttosto che gli esuberi non è una vittoria e se è vero come l’ipocrita Landini dice che “in Italia esiste una questione salariale grande come una casa” (ma invece di promuovere una lotta generale su questo terreno di classe ha raccolto solo firme per referendum interclassisti) tanto più questa questione vale anche per AdI, specie per i cassintegrati che prendono 840 euro al mese.
La mobilitazione e l’unità di classe è il cammino che operai di AdI, in primo luogo quelli più coscienti, dovranno percorrere senza attendismi per salvarsi. Quindi organizzazione dal basso, assemblee, stato d’agitazione permanente, protagonismo unitario dei delegati, costituzione di comitati operai, secondo una politica di unità alla base e di fronte unico operaio.
Da Scintilla n. 147, settembre 2024
Categorie
- AMBIENTE (29)
- ANTIFASCISMO (36)
- ATTUALITA' (301)
- CIPOML (97)
- DONNE IN LOTTA (30)
- ECONOMIA (38)
- ELEZIONI (9)
- FONDAZIONE PCdI (17)
- GIOVENTU’ M-L (27)
- INTERNAZIONALE (220)
- LOTTA ALLA GUERRA (96)
- LOTTA PER IL PARTITO (48)
- MEMORIA STORICA (98)
- MOVIMENTO OPERAIO (150)
- PANDEMIA (10)
- POLITICA (140)
- PRIMO MAGGIO (7)
- QUESTIONI TEORICHE (55)
- RIVOLUZIONE D'OTTOBRE (23)
- SALUTE E SICUREZZA (37)
- SCIENZA E FILOSOFIA (5)
- SCINTILLA (30)
- SOCIETA' (37)
- TESTI M-L DIGITALIZZATI (18)