Pensione a 70 anni per i dipendenti pubblici, una proposta che anticipa un’altra controriforma

Il governo Meloni sta valutando di inserire nella manovra 2025 una norma che permetta ai dipendenti pubblici di posticipare la pensione a 70 anni. Si tratta di un’opzione su base volontaria, che va condannata politicamente senza mezzi termini.
Prima di proseguire con il nostro giudizio su questa nuova trovata governativa, è necessario fornire alcune informazioni preliminari.
Il comparto dei dipendenti pubblici in Italia è tra i più anziani in Europa, mentre negli altri paesi europei l’età è in diminuzione. In Italia si attesta sui 50 anni, con quasi la metà dei lavoratori che sono vicini ai 55 anni. Un aumento di 6,5 anni rispetto al 2001.
Un’età media così elevata implica che entro il 2028, quindi in un futuro prossimo venturo, oltre 680 mila lavoratori raggiungeranno l’età pensionistica. Ed entro il 2033 oltre un terzo taglierà questo traguardo. Il pluriennale blocco delle assunzioni e il continuo taglio delle spese per il personale hanno impedito il ricambio dei pensionandi, falcidiando gli organici. Alcune stime indicano una carenza di almeno il 30%.
A questi dati, che testimoniano la politica di taglio dei servizi pubblici, si aggiunge il fatto che l’Italia è il penultimo paese europeo come percentuale di dipendenti pubblici con il 13,7%; chiude la classifica la Germania con l’11,1%. La media europea è del 16%, ma alcuni paesi superano abbondantemente questa percentuale, un esempio su tutti la Francia con il 19,7%.
Poiché la politica dei tagli alla spesa pubblica prosegue senza soste è fin troppo facile prevedere un futuro buio per i servizi pubblici e gli utenti proletari che ne usufruiscono.
L’attuale proposta governativa si inserisce in questo tragico quadro, con un chiaro obiettivo politico: anticipare la prossima controriforma delle pensioni, che vedrà un ulteriore allungamento della vita lavorativa, come indicato dal governo Meloni nel “Piano strutturale a medio termine” imposto dal nuovo Patto di stabilità della UE.
Rimane comunque una soluzione demagogica, insufficiente ed iniqua. Innanzitutto, si basa sullo sfruttamento del bisogno materiale di quei lavoratori che alla soglia del meritato riposo, si ritrovano con una retribuzione pensionistica da fame e magari essendo monoreddito o con altre problematiche hanno ancora più in difficoltà a far quadrare i bilanci familiari.
Ancora una volta non si dà spazio ai giovani, riducendo in questo modo i posti disponibili a concorso.
Di conseguenza, si mira a spremere personale sempre più anziano e affaticato che non ha più la freschezza fisica e mentale per affrontare al meglio i propri compiti.
Nei primi otto mesi del 2024 sono stati messi a concorso circa 288 mila posti, a cui hanno risposto 2 milioni di candidati, segno evidente che i giovani vedono ancora il pubblico impiego come un posto di lavoro appetibile. Anche se in ogni caso, bisogna fare i conti con i numerosi casi di vincitori in grandi città, dove il caro vita è molto più alto, che appena possono cercano un lavoro più remunerativo o luoghi di vita meno onerosi.
Tutto ciò è grave perché continua ad essere l’ennesimo colpo di maglio al pubblico impiego e conseguentemente ai servizi pubblici. Non dobbiamo dimenticarci che, quando parliamo di servizi pubblici, non dobbiamo pensare solo alla burocrazia che ci fa impazzire, ma a tutte quelle attività che garantiscono quello che rimane dello “stato sociale”. Perciò ci vogliono personale e risorse, che invece vengono continuamente tagliati portando ad un peggioramento dei servizi, alla loro esternalizzazione e riduzione, il tutto sulle spalle delle masse popolari.
Il sistema capitalistico ha ben poco interesse a garantire il buon funzionamento dei servizi pubblici.
Anzi, il loro malfunzionamento apre nuovi mercati alle aziende private e opportunità di lauti profitti sulla pelle dei più deboli.
Il solo “servizio pubblico” ad essere aumentato sono le forze di polizia e militari rivolte contro il popolo.
È evidente che questo sistema è incompatibile con un buon tenore di vita dei lavoratori.
Da Scintilla n. 148, ottobre 2024
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