Presidenziali USA: i candidati del grande capitale
Anche nel nostro paese, i mezzi d’informazione accreditano una visione manieristica della lotta in corso negli Stati Uniti per la carica di presidente.
C’è un candidato, Biden, troppo vecchio, smemorato, confuso, ma ripetutamente dipinto come un democratico simpatico, di fronte a un candidato imprevedibile, grossolano e reazionario, Trump, le cui posizioni sono descritte come illogiche, sciocche confuse, addirittura frutto di pura arbitrarietà.
Chi rappresentano? Negli Stati Uniti, nessuno può salire alla Casa Bianca senza disporre di milioni e milioni di dollari. Nelle elezioni presidenziali del paese, le campagne mediatiche sono lo strumento più dispendioso. Ogni mezzo viene usato: sondaggisti che colgono gli stati d’animo della popolazione (specialmente della classe media su cui è ritagliato il sistema elettorale), esperti di media che agitano temi che si associano ad un determinato candidato, agenzie che imbastiscono campagne su Internet, televisione e stampa.
Poiché tutto il meccanismo delle elezioni presidenziali si basa sul voto a maggioranza e non sulla rappresentanza proporzionale, vince sempre il candidato che riporta il maggior numero di voti, anche se non si aggiudica i suffragi della maggioranza. Più spesso molti voti vengono dispersi, come capita quando il 20% vota per un candidato che non è né “repubblicano” né “democratico”.
Di conseguenza, i nuovi candidati non hanno praticamente alcuna possibilità di riuscita senza un enorme apparato e grandi quantità di denaro.
È qui da ricercare il vero motivo per cui sempre si assiste a un duello tra repubblicani e democratici negli Stati Uniti. Non c’è alternativa all’interno di questo sistema. Solo chi ha ricchi mecenati, cioè chi ha alle proprie spalle i rappresentanti del capitale, ha una possibilità di prevalere.
Non ne fa mistero la stampa della borghesia yankee, la quale, a proposito della campagna elettorale per le presidenziali del 2020, così commentava:“centinaia di miliardari hanno stretto un’intesa dietro le quinte”. Circa 150 miliardari avevano fatto donazioni per la campagna elettorale di Biden e circa 100 per quella di Trump.
Molte delle donazioni non sono raccolte dal candidato o dal suo partito, ma da organizzazioni chiamate “PAC”, che sta per Political Action Committee, le quali, sin dal 2010, in seguito ad una sentenza della Corte Suprema, sono state affiancate da “Super PAC”. Queste ultime possono raccogliere e spendere qualsiasi somma a favore di un candidato, a patto che rimangano formalmente indipendenti da esso.
I “Super PAC” sostengono posizioni politiche ed ideologiche facilmente riconducibili ad un certo candidato, e in alcuni casi sono addirittura gestiti da suoi collaboratori. Dietro la loro facciata, si muovono dunque i ricchi prodighi donatori che promuovono gli interessi delle fazioni del capitale cui appartengono.
Nelle elezioni presidenziali del 2020, risultarono registrati 2.276 “Super PAC” che raccolsero quasi 3,5 miliardi di dollari e spesero più di 2 miliardi di dollari per finanziare le campagne elettorali dei vari candidati. Complessivamente per quelle elezioni furono spesi 5,7 miliardi di dollari, l’importo più alto fino allora.
È uno spettacolo sorprendente, non c’è che dire. Entrambi i candidati erano e sono ovviamente rappresentanti del grande capitale, ma si combattono furiosamente, lanciandosi l’accusa reciproca di rappresentare una grave minaccia per la democrazia americana.
Cosa li unisce e che cosa li separa allo stesso tempo, dunque?
Prendiamo in esame due delle più importanti questioni politiche.
Guerra e armamenti. Sia Biden che Trump stanno conducendo una campagna per un maggiore riarmo della NATO e dei “partner” europei. Biden lo fa nella forma più diplomatica, Trump non usa alcun tatto. Ma entrambi rappresentano gli interessi dell’imperialismo statunitense.
Sia Biden che Trump sono i fautori risoluti del ritorno degli Stati Uniti sulla scena internazionale contro i loro vecchi e nuovi rivali. Biden ha incentrato nel continente europeo la lotta per la difesa degli interessi dell’imperialismo statunitense, ma sta anche prendendo di mira il principale rivale degli Stati Uniti, l’imperialismo cinese. Trump punta il dito sulla Cina e quindi non vuole un secondo fronte in Europa. Quelli di Biden e di Trump non sono annunci di progresso e di pace, ma di riarmo e di guerra. Entrambe le posizioni sono una minaccia per la classe operaia e i popoli degli Stati Uniti, dell’Europa e di tutto il mondo.
Economia. Sia Biden che Trump difendono gli interessi delle grandi imprese, vogliono tagli alle tasse, sussidi statali e un rafforzamento della posizione internazionale del capitale statunitense. Entrambi si possono definire come il prodotto della pressione esercitata sugli Stati Uniti dalla avanzata economica e politica dei loro concorrenti, in particolare la Cina che in un contesto di guerra ha aumentato la propria influenza internazionale.
Ciò ha come conseguenza, da una parte l’aumento dell’aggressività del capitale statunitense ma dall’altra anche lo sviluppo della lotta tra le diverse fazioni del capitale.
Biden trova tra gli uomini d’affari del capitale “moderno” della Silicon Valley e dell’internet economy i suoi mecenati più numerosi, anche se non gliene mancano tra i nomi celebrati degli hedge fund e dei servizi finanziari. Trump, dal canto suo, ha i suoi amici prodighi nell’”antico” capitale del petrolio, del gas e della speculazione immobiliare.
Il lento declino del capitale statunitense ha esacerbato le contraddizioni tra i diversi gruppi di interesse. Quando il capitale degli Stati Uniti occupava indiscutibilmente il primo posto nella scena economica e politica mondiale, era sempre possibile concordare una divisione del bottino nonostante i contrasti; ora non sembra più essere così.
D’altra parte, questa estrema intensificazione delle contraddizioni all’interno del capitale statunitense reca insieme un ulteriore indebolimento dell’imperialismo statunitense.
Reazione borghese e alternativa proletaria. Ciò comporta un avanzamento della reazione politica su tutta la linea. Si tratta di uno sviluppo molto pericoloso non solo negli Stati Uniti, ma anche nel nostro paese.
L’alternativa non è tra Biden o Trump negli Stati Uniti o, come viene rappresentata in casa nostra, tra i governi di coalizione di partiti borghesi e piccolo-borghesi, i quali ultimi sotto denominazioni diverse, sono accomunati dal medesimo intento di difendere l’esistente ordinamento economico e sociale capitalistico, di agire in funzione della salvaguardia di concreti interessi della borghesia.
A qualunque di questi partiti vogliano dare la loro fiducia le masse degli elettori, la danno al regime capitalistico. È il capitalismo, causa di questo corso reazionario, a dover essere eliminato, un sistema diventato estremamente distruttivo in tutto il mondo. Se lo si lascia continuare nella sua corsa incontrollata, trascinerà i popoli nel suo vortice di miseria, rovina della natura, fascismo, guerra.
Si tratta di dare carattere organico alla lotta per porre fine al marcio ordinamento capitalistico sostituendolo con un nuovo e superiore ordinamento sociale, il socialismo.
Una lotta la cui riuscita può essere assicurata solo con la ricostituzione dell’organo politico principale della classe operaia, il partito comunista.
Da Scintilla n. 145 – maggio 2024
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