Pubblico impiego: sempre meno risorse per i lavoratori e i servizi sociali

Negli ultimi numeri di Scintilla abbiamo affrontato le prospettive del pubblico impiego, sia perché è un settore che abbraccia oltre 3 milioni di lavoratori, sia perché buona parte di essi è impiegato nei servizi sociali generali di cui usufruiscono (sempre meno) i proletari e le masse popolari.

Smantellare il pubblico impiego, non vuol dire diminuire il debito pubblico, come i governi di tutti i colori ci raccontano da decenni, vuol dire più semplicemente smantellare la sanità, l’educazione, l’assistenza agli anziani, l’edilizia pubblica, ecc., a favore della privatizzazione di questi settori e dunque della speculazione finanziaria. E lo smantellamento dello “stato sociale” non può che ricadere sulle spalle del proletariato e delle classi più deboli.

In precedenza avevamo evidenziato come la situazione fosse minacciosa; oggi non possiamo che confermare le nostre previsioni.

Per i rinnovi dei contratti nazionali di lavoro, il governo ha stanziato risorse che non raggiungono neanche il 6%, quindi abbondantemente sotto l’inflazione reale che nel triennio è stata del 17%. Una perdita secca di potere di acquisto dei lavoratori pubblici e un’indicazione politica per i rinnovi dei contratti dei lavoratori dei settori privati. Un chiaro esempio che nei momenti di crisi la borghesia è disposta a tutto per farla pagare ai lavoratori.

In questo panorama, il fronte dei vertici confederali è più che mai disomogeneo.  Lo scorso 6 novembre la CISL assieme ad alcuni sindacati gialli ha firmato l’ipotesi del contratto nazionale delle Funzioni Centrali. È un atto grave perché grazie alle regole della rappresentatività, volute dai confederali, oggi è possibile che una sigla più grossa, grazie al sostegno di sindacati con poca rappresentatività sui luoghi di lavoro, ma considerati tali in quanto disponibili a firmare qualsiasi contratto gli proponga la controparte, possano sottoscrivere un CCNL senza che vi sia una reale maggioranza. I vertici confederali nella loro ossessione di creare meccanismi che potessero ostacolare i sindacati di base hanno dato il via libera a leggi antidemocratiche che ora gli si rivoltano contro.

Al momento i capi di CGIL e UIL si dicono indisponibili a firmare un contratto di miseria. Ma la prossima primavera si svolgeranno le elezioni R.S.U. nel pubblico impiego, quindi è difficile pensare che con qualche briciola in più non firmeranno anche loro un accordo da respingere in massa.  Vedremo.

Intanto con la finanziaria è riapparso il blocco del turn over con un significativo taglio del 25%, quindi ogni 100 lavoratori che vanno in pensione se ne potranno assumere solo 75, un ulteriore salasso per le disastrate piante organiche dei servizi pubblici.

Allo stesso tempo sono confermati i tagli alla sanità con la mancata attuazione del piano assunzioni di 30 mila medici. A fronte della pesantissima carenza di infermieri, invece di bandire nuovi concorsi e dare spazio ai giovani, si vogliono aprire le porte agli infermieri indiani.  Evidentemente si cerca di introdurre anche nel pubblico impiego la divisione fra lavoratori nativi e migranti per abbassare i salari e i diritti di tutti.

Infine, ancora aumenti per le spese militari: si giunge al nuovo record di oltre 32 miliardi, segnando un incremento del 12% in dieci anni. Di questi, 13 miliardi andranno all’industria militare per nuove e più micidiali armi.

In sostanza: da un lato sempre meno “stato sociale” per le masse lavoratrici, i giovani, le donne; dall’altro sempre più stato militarizzato a esclusivo servizio per i monopoli capitalistici e i padroni.

È chiaro che né i vertici dei sindacati, né la cosiddetta opposizione parlamentare di “sinistra” hanno la benché minima intenzione di opporsi seriamente a queste politiche.

Rimane a noi lavoratori prendere in mano la difesa dei nostri interessi e diritti organizzandoci e mobilitandoci.

Ai proletari più coscienti, ai delegati più attivi, spetta il compito di partecipare in prima persona alla lotta per costruire un Partito comunista realmente di classe e rivoluzionario, senza il quale si rimane subalterni alla classe dominante.

Da Scintilla n. 149, novembre 2024

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