Referendum: cinque SI senza illusioni, come impegno di lotta, unità e organizzazione di classe

L’8 e 9 giugno saremo chiamati a votare per i 5 quesiti referendari di cui 4 promossi dalla Cgil “sul lavoro” ed il quinto da associazioni della società civile per estendere il diritto alla cittadinanza dei migranti dopo cinque anni di residenza.

Con i primi 4 quesiti si richiede:

  • di abrogare nelle imprese con più di 15 dipendenti le modeste sanzioni in caso di licenziamento illegittimo introdotte dal governo Renzi con il “Jobs Act” nel 2015, per ritornare alla disciplina sanzionatoria che era stata introdotta nel 2012 dal governo Monti, che tuttavia già modificava peggiorandolo quanto previsto dall’art. 18 dello statuto dei lavoratori.
  • di abrogare, nelle stesse imprese, i massimali economici di risarcimento in caso di licenziamento ingiustificato. Ciò non significa che gli indennizzi del magistrato sino necessariamente più favorevoli al lavoratore, che comunque non tornerà al suo posto.
  • di abrogare il sistema dei contratti a termine senza causale disponendo la possibilità di rinnovare tali contratti solo nei casi previsti dai CCNL oppure per sostituzione di altri lavoratori. Per il resto la disciplina rimarrà invariata: contratti “lunghi” e rinnovabili per ben 4 volte, fino a due anni.
  • di estendere la responsabilità al committente di appalti e subappalti in caso di infortuni.

Come si può vedere, solo il quarto ed il quinto quesito sulla cittadinanza, se passassero, apporterebbero benefici certi.

Anche se “annacquati” e parziali, i quesiti referendari sono tuttavia sentiti da ampi settori della classe operaia e degli altri lavoratori dipendenti come giusti, perché volti ad abrogare norme che peggiorano le proprie condizioni di lavoro e di vita.

In quanto comunisti che si battono per gli interessi immediati della classe operaia, in stretto legame con quelli complessivi e gli scopi futuri, diamo l’indicazione di andare a votare SI e di far andare a votare.

Allo stesso tempo dobbiamo dire la verità ai lavoratori, anche se amara.

In primo luogo, questi referendum di stampo democraticistico e ad uso riformista sono stati usati come sostituto di una vera mobilitazione di massa a partire dai luoghi di lavoro.

Una mobilitazione che la confederazione guidata da Landini non ha voluto mettere in campo, proseguire e intensificare interrompendo un percorso che aveva portato lo scorso anno a uno sciopero generale, seppure con manifestazioni regionali.

Una politica non nuova, frutto di una linea che a partire dall’assemblea dell’Eur del 1978 (sacrifici a favore dell’economia nazionale, ovvero riduzione dei salari senza toccare i profitti) inaugurò una lunga stagione di cedimenti.

Ricordiamoci dello scioperetto di 4 ore contro il Jobs Act, quando la classe operaia esigeva un lotta dura e a oltranza. E di quello di appena 3 ore contro la maledetta riforma Fornero. E finora nessuno sciopero generale indetto contro la “legge sicurezza” che attacca il diritto di sciopero e criminalizza la protesta sociale!

In secondo luogo, il referendum sulle questioni del lavoro è uno strumento interclassista che ha portato a pesanti sconfitte, perché vengono chiamati a decidere su importanti tematiche che riguardano i lavoratori sfruttati anche classi e ceti non proletari e possidenti, in Italia numerosi. Ricordiamo quello del 1985 sulla scala mobile, perso in condizioni più favorevoli per la classe operaia di quelle odierne.

I promotori della campagna sapevano perfettamente che negli ultimi decenni l’affluenza alla maggior parte dei referendum difficilmente ha superato il 30%. E che i padroni, il governo di estrema destra e la sua maggioranza, i sindacati corporativi che li appoggiano avrebbero lavorato per abbassare l’affluenza alle urne.

Una sconfitta per mancato quorum ai referendum creerà condizioni più sfavorevoli per il movimento operaio e verrà presa al balzo dal governo Meloni per varare ulteriori misure antioperaie, dai  leader politici borghesi e dai burocrati sindacali di destra per isolare i settori più avanzati della classe e spezzare l’unità di azione delle masse lavoratrici.

Pensare di recuperare per via referendaria, in un contesto politico reazionario, quello che non si è voluto difendere o conquistare con la lotta è un delitto imperdonabile.

La strategia referendaria ha per scopo quello di deviare su obiettivi secondari e rallentare momentaneamente la ripresa della mobilitazione operaia e popolare, generando maggiore frustrazione e delusione in tanti proletari.

Lo strumento referendario su questioni che attengono ai lavoratori sfruttati non solo è rischioso e spesso perdente, ma è soprattutto errato perché interno agli strumenti che la borghesia e i suoi aiutanti usano per rinchiudere la lotta della classe operaia nell’ambito dell’ipocrita democrazia borghese.

Perciò il SI ai cinque referendum, espresso senza spargere alcuna illusione sui risultati, non può che avere un significato: quello di un impegno di resistenza, di lotta, unità e organizzazione di classe per esigere aumenti di salario e diritti, per rilanciare la lotta degli sfruttati contro i padroni e il loro governo, per farla finita con la linea collaborazionista dei vertici sindacali e di sostegno dei piani di riarmo della falsa opposizione parlamentare.

Oggi l’offensiva capitalistica, la reazione politica e le minacce di guerra avanzano. L’inasprirsi della contesa imperialista impone nuovi costi che un capitalismo in fase di stagnazione cerca di far pagare alle masse lavoratrici. Margini riformisti e keynesiani non ve ne sono. I tempi duri richiedono una lotta dura, non le illusioni referendarie!

Contro la borghesia all’attacco serve da subito una lotta di resistenza che metta in moto le energie presenti nella classe e nelle masse, iscrivendo la battaglia per forti aumenti salariali, per i diritti democratici dei lavoratori, per la salute e la sicurezza sul lavoro, contro la reazione e la militarizzazione, nella più generale lotta per la rottura del sistema capitalista-imperialista.

La democrazia dei lavoratori non si fa con i referendum, ma si realizza nelle assemblee e nei comitati di fronte unico in fabbrica e sul territorio!

La “rivolta sociale” non si fa con le croci sulle schede, ma con la lotta di classe decisa, unita e organizzata!

Maggio 2025

Organizzazione per il partito comunista del proletariato

 

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