Sull’approccio di Lenin alla questione nazionale

Sull’approccio di Lenin alla questione nazionale

 Di Mustafa Yalciner.

Relazione svolta al Seminario sul 100° anniversario della morte di Lenin tenutosi a Karachi, Pakistan, nell’agosto 2024.

Saluto gli illustri partecipanti e il pubblico e, in occasione del centenario della sua morte, rivolgo un pensiero alla memoria del grande maestro Lenin e delle sue opere senza tempo.

Lenin, che ha sviluppato e realizzato le idee di Marx ed Engels, compresa la questione nazionale, è ancora vivo attraverso le sue opere e il marxismo-leninismo continua a illuminare il nostro cammino.

Sappiamo che Lenin era prima di tutto un internazionalista, e che era contrario ad ogni forma di nazionalismo. “Il marxismo è inconciliabile con il nazionalismo, sia pure nella sua forma più ‘giusta’ e […] civile. Il marxismo sostituisce a ogni nazionalismo l’internazionalismo…” [“Osservazioni critiche sulla questione nazionale”, Lenin, Opere complete, volume XX. N.d.T.] D’altra parte, secondo Lenin, “ogni nazionalismo borghese delle nazioni oppresse ha un contenuto democratico generale diretto contro l’oppressione”. [“Sul diritto di autodeterminazione delle nazioni”, Lenin, Opere complete, volume XX. N.d.T.]

In una società capitalista emergente, il principio di nazionalità è storicamente inevitabile e i marxisti riconoscono pienamente la legittimità storica dei movimenti nazionali. Tuttavia, tale riconoscimento non si traduce in una difesa del nazionalismo, ma sostiene solo l’aspetto progressista dei movimenti nazionali contro l’oppressione nazionale.

Il nazionalismo borghese antepone la nazione e il suo sviluppo a tutto il resto e si basa sulla sua superiorità rispetto agli altri; questa è la fonte del suo carattere monopolistico, da cui nascono continuamente lotte nazionali. L’operaio cosciente, invece, non osserva il mondo attraverso la “lente” della nazionalità, non considera la nazionalità come un punto di partenza e invita le masse a tenersi lontano dalle lotte nazionali.

Nella sua polemica con Rosa Luxemburg, Lenin formulò il seguente giudizio: “In quanto la borghesia della nazione oppressa lotta contro la nazione che opprime, noi siamo sempre, in tutti i casi, più risolutamente di ogni altro, in suo favore, perché noi siamo i nemici più implacabili e più coerenti dell’oppressione. In quanto la borghesia della nazione oppressa difende il proprio nazionalismo borghese, noi le siamo contrari. Lotta contro i privilegi e le violenze della nazione che opprime; nessuna scusante verso la nazione oppressa che aspira a conquistare dei privilegi.”

I marxisti, comunque, sostengono pienamente il diritto delle nazioni all’autodecisione. Ciò è condizionato dall’esistenza della oppressione nazionale e della disuguaglianze di diritti. L’essenza di questo diritto è il diritto delle nazioni oppresse di separarsi e stabilire propri stati nazionali.

È la “grande scala” che favorisce lo sviluppo delle forze produttive e la lotta della classe operaia contro la borghesia. “A parità di tutte le altre condizioni“, dice Lenin, “il proletariato cosciente difenderà sempre lo Stato più grande“.

Tuttavia, sotto il capitalismo, di solito “le altre condizioni non sono uguali“; ciò che diventa la regola è l’oppressione nazionale, le pretese di supremazia e le lotte nazionali. Inoltre, “la tendenza di ogni movimento nazionale è a costituire uno Stato nazionale che meglio corrisponda a queste esigenze del capitalismo moderno […] in tutto il mondo civile […] lo Stato nazionale è lo Stato tipico e normale del periodo capitalistico”.

Lo sfruttamento e l’oppressione continueranno nello “Stato nazionale“, ma i marxisti non possono ignorare i potenti fattori economici che hanno dato origine all’aspirazione degli Stati nazionali, né possono negare il diritto delle nazioni oppresse alla statualità.

Il riconoscimento incondizionato del diritto all’autodeterminazione nazionale vale, ovviamente, anche per il periodo dell’imperialismo.

Ma il riconoscimento di questo diritto non implica necessariamente il sostegno a ogni movimento nazionale e a ogni separazione. Come dice Lenin, il diritto allo Stato indipendente va riconosciuto: “… non è marxista […] chi non riconosca e non difenda la parità giuridica delle nazioni e delle lingue, chi non si batta contro ogni oppressione e disuguaglianza nazionale“; ma i marxisti non sostengono le richieste di privilegi nazionali, i movimenti nazionali reazionari o la creazione di Stati che rafforzano la reazione. Una cosa è riconoscere il diritto, un’altra è sostenerne la sua attuazione in una forma o nell’altra.

D’altra parte, riconoscere questo diritto non significa adottare la divisione dei lavoratori in base alla nazionalità; ciò significherebbe adottare il nazionalismo e fare il gioco della borghesia. Mentre riconoscono il diritto delle nazioni oppresse alla separazione statale, i marxisti sostengono la più stretta unità e l’organizzazione di tutti i lavoratori, di qualsiasi nazionalità, in un unico partito, entro i confini dello Stato in cui combattono la borghesia.

*

Lenin inizia il suo notevole articolo del 1913, “Osservazioni critiche sulla questione nazionale”, con le seguenti parole:

Che la questione nazionale occupi oggi un posto di prim’ordine fra i problemi della vita sociale della Russia è cosa evidente. Il nazionalismo militante della reazione, il passaggio dal liberalismo controrivoluzionario e borghese al nazionalismo (anzitutto grande-russo, ma anche polacco, ebraico, ucraino, ecc.) e, infine, l’accentuarsi delle esitazioni nazionalistiche fra le varie socialdemocrazie “nazionali” (cioè non grandi-russe), tanto che si è arrivati a violare il programma del partito: tutto questo ci impone l’obbligo assoluto di dedicare più attenzione, che in passato, alla questione nazionale.”

Quanto sono diversi i paesi di oggi dalla Russia zarista  per quanto riguarda l’importanza della questione nazionale? Anche se prendiamo in considerazione solo la questione del Kashmir, sono l’India e il Pakistan, per esempio, molto diversi? O la Turchia e l’Iran, dove la persecuzione dei curdi non si ferma mai? Per non parlare di Israele, che sta compiendo un genocidio in Palestina. La Russia, che fomenta il nazionalismo religioso ceceno, invade l’Ucraina e la definisce una “nazione artificiale”, e dove Putin incolpa Lenin di aver approvato la separazione dell’Ucraina, è oggi diversa da quella che era prima? E la Cina, che non riconosce nemmeno il diritto alla vita degli uiguri? Quanto potrebbero essere diversi dalla Russia zarista, i paesi europei quando annegano i migranti nei mari e appoggiano senza riserve il genocidio della Palestina e gli Stati Uniti che costruiscono un muro al confine con il Messico, continuano la discriminazione razziale mentre la polizia uccide i cittadini di colore?

Un’altra realtà del mondo è l’aggressione internazionale, che non riconosce i diritti nazionali, saccheggia le risorse di altre nazioni e viola la loro indipendenza attraverso le occupazioni.

La Gran Bretagna ha dominato l’India e il Pakistan fino alla metà del XX secolo. Il Pakistan ora gode di indipendenza politica, ma quanto è indipendente in realtà? Qual è la misura dell’indipendenza della Turchia oggi, che ha ottenuto la sua indipendenza attraverso una guerra di liberazione? Le basi americane e della NATO in Turchia forniscono assistenza e supporto alla “Cupola di ferro” [Sistema di difesa aerea. N.d.T.] di Israele, che Erdogan accusa a parole.

Lenin, fa l’esempio di “paesi asserviti che formalmente sono indipendenti dal punto di vista politico, ma che in realtà sono avviluppati da una rete di dipendenza finanziaria e diplomatica“, e dice che l’Argentina era “pressappoco, una colonia commerciale dell’Inghilterra“, mentre il Portogallo “da oltre duecento anni […] si trova sotto il protettorato dell’Inghilterra“. Considerando le loro relazioni con gli Stati Uniti, la Cina e la Russia, quanto l’Iran, il Pakistan e la Turchia sono meno dipendenti finanziariamente e diplomaticamente rispetto all’Argentina e al Portogallo del passato, nonostante la loro apparente indipendenza politica?

Quando Lenin era in vita, il mondo era economicamente e territorialmente diviso tra gli stati imperialisti; le esigenze di una nuova spartizione avevano trascinato l’umanità in una guerra mondiale. Oggi, non stiamo forse assistendo al rinnovarsi della divisione del mondo e della competizione imperialista che sta trascinando l’umanità in una nuova guerra mondiale?

La Cina, che non è stata presa in considerazione nelle precedenti divisioni, e la Russia, che si sta riprendendo dopo il crollo, da un lato, e gli Stati Uniti, il Giappone e gli imperialisti europei a seguito della guerra d’Ucraina, dall’altro, si affrontano, si espandono e si preparano alla guerra armandosi e formando blocchi. La Cina, primo partner della Turchia per le importazioni, con i suoi investimenti da 70 miliardi di dollari in Pakistan e l’accordo da 400 miliardi di dollari con l’Iran, è in competizione con l’imperialismo americano. In vista di futuri guadagni in questa corsa, la Cina, ad esempio, ha prolungato la scadenza del prestito di 2 miliardi di dollari del Pakistan, ma si è anche impadronita del porto di Hambantota dello Sri Lanka e della società nazionale radiotelevisiva dello Zambia in cambio dei loro debiti. Gli europei e gli Stati Uniti si comportano similmente da molto tempo: per esempio, con la sua “Troika“, l’Unione europea ha fatto sì che la Grecia perdesse il porto del Pireo a favore della Cina, dopo averla fatta entrare in una “crisi del debito“. I blocchi imperialisti rivali trattano le nazioni oppresse come colonie.

Il mondo non è quindi molto diverso dal mondo studiato da Lenin. Come è diviso tra imperialisti rivali e tra borghesia e proletariato, così il mondo si divide “in un gran numero di popoli oppressi e in un piccolo numero di popoli oppressori, i quali ultimi dispongono di ricchezze ingenti e di una forza militare poderosa“, che Lenin sottolineava come “un tratto caratteristico dell’imperialismo”. (“Rapporto della Commissione sulle questioni nazionale e coloniale”, Lenin, Opere complete, volume XXXI. N.d.T.)

Il cambiamento è avvenuto con il collasso del sistema coloniale e quindi con la classificazione dei “tipi di paesi” definita da Lenin riguardo la questione nazionale. Lenin suddivise i paesi in tre categorie principali: 1) “i paesi capitalisti avanzati dell’Europa occidentale e degli Stati Uniti” in cui “il movimento nazionale borghese progressivo è terminato da lungo tempo”; 2) l’Europa orientale, dove la questione nazionale non è ancora stata risolta; 3) i paesi coloniali e semicoloniali come la Cina, l’Iran e la Turchia, dove il capitalismo è arretrato.

Oggi si può dire che non ci sono più paesi coloniali e semi-coloniali. Con poche eccezioni, non ci sono paesi a scarso sviluppo capitalistico, non intrappolati nelle maglie del capitale finanziario e senza divisione di classe tra proletariato e borghesia. Il mondo è composto da paesi con indipendenza politica. Il sistema coloniale è stato sostituito da relazioni neocoloniali e, a causa della loro dipendenza economica, finanziaria e diplomatica, l’indipendenza politica di molti paesi, come affermava Lenin, è solo apparente.

Il mondo è ora diviso in un piccolo numero di paesi imperialisti e in un’ampia categoria di paesi indipendenti con diversi gradi di dipendenza.

E, naturalmente, la questione nazionale continua ad esistere in tutto il suo splendore.

Nello stesso articolo, Lenin afferma quanto segue:

Lo sviluppo del capitalismo conosce due tendenze storiche nella questione nazionale. Il primo è il risveglio della vita nazionale e dei movimenti nazionali, la lotta contro ogni oppressione nazionale e la creazione di Stati nazionali. Il secondo è lo sviluppo e la crescente frequenza dei rapporti internazionali in tutte le sue forme, l’abbattimento delle barriere nazionali, la creazione dell’unità internazionale del capitale, della vita economica in generale, della politica, della scienza, ecc. Entrambe le tendenze sono una legge universale del capitalismo. Il primo predomina all’inizio del suo sviluppo, il secondo caratterizza un capitalismo maturo che si sta muovendo verso la sua trasformazione in società socialista.”

Da ciò conseguono le seguenti conclusioni:

1) La tendenza caratteristica del capitalismo maturo, la moltiplicazione dei rapporti tra le nazioni e internazionalismo delle nazioni capitale, è rappresentata dai monopoli e dall’imperialismo. L’“ultraimperialismo” di Kautsky è assurdo; i monopoli e imperialismo continuano a lottare per la divisione del mondo come rivali con una tendenza “nazionale” incentrata alcuni stati: USA, Cina, Russia, Germania, ecc. Ma i monopoli e l’imperialismo non hanno più una relazione positiva con la propria “nazione”.

La quantità di capitale imperialista riprodotto nei paesi in cui viene esportato è quasi pari a quella interna, e il capitale monopolistico e la borghesia imperialista diffusi in tutto il mondo sono già internazionali. Non solo, come dimostrano gli esempi di Apple e dei monopoli automobilistici, per il capitale, la produzione e le catene di approvvigionamento che si realizzano in paesi diversi e il volume del commercio mondiale. L’internazionalizzazione del capitale con le sue istituzioni, come la UE, la NATO, la SCO (Organizzazione per la Cooperazione di Shanghai. N.d.T.), il FMI, la BM, l’OMC, le basi militari all’estero e le attività coordinate sotto l’aspetto politico e strategico, è incomparabile con il periodo di Lenin.

Non è solo la borghesia imperialista a non rappresentare più gli interessi nazionali. A parte i suoi strati inferiori, anche la borghesia dei paesi dipendenti che collaborano con l’imperialismo fa parte della borghesia internazionale; i suoi interessi, che sono in contraddizione con gli interessi della nazione, sono legati agli interessi della borghesia imperialista con cui è unita.

2) Sotto l’imperialismo, il “risveglio della vita e dei movimenti nazionali” non si è arrestato. In passato, esso si è diretto principalmente contro la frammentazione e l’oppressione feudale. Tuttavia, il capitalismo, con il suo sviluppo nelle colonie e nei paesi dipendenti che ha messo sotto le sue ruote, ha limitato l’influenza e il ruolo del feudalesimo e il saccheggio e la tirannia imperialista sono ora le principali cause del risveglio nazionale. Oggi l’imperialismo è anche la principale fonte e roccaforte della tirannia nazionale.

Lenin afferma che la trattazione della questione nazionale non può essere immutabile. Nelle sue considerazioni “la teoria marxista esige assolutamente che essa sia collocata entro un quadro storico determinato e, inoltre, se si tratta di un solo paese […] che si tenga conto delle particolarità concrete che differenziano questo paese dagli altri“. Da questo punto di vista, nel periodo dell’ascesa del capitalismo, quando la questione nazionale era una lotta tra le borghesie di diverse nazioni per il dominio del mercato, Lenin affermava: “c’è soltanto un modo di risolvere la questione nazionale […] ed esso è la democrazia conseguente” e sottolineava: “nella misura in cui è possibile risolverla nel mondo del capitalismo, nel mondo del profitto, del dissidio e dello sfruttamento”.

Con l’accelerazione della tendenza all’internazionalizzazione del capitale e del capitalismo, la questione nazionale cessa di essere un problema interno dei singoli paesi e acquisisce un carattere internazionale. Con la Rivoluzione d’Ottobre, la questione nazionale si è trasformata in una questione di liberazione delle nazioni oppresse, delle colonie e delle semi-colonie, dal saccheggio e dalla tirannia dell’imperialismo. Nelle sue “Tesi” su “La rivoluzione socialista e il diritto delle nazioni all’autodecisione“, scritte all’inizio del 1916, Lenin pone la questione nazionale sotto una luce diversa:

Egli inizia affermando: “Il socialismo vittorioso deve necessariamente realizzare la completa democrazia e, quindi, non deve attuare soltanto l’assoluta eguaglianza dei diritti delle nazioni, ma anche realizzare il diritto di autodecisione delle nazioni oppresse, vale a dire il diritto alla libera separazione politica“, e prosegue dicendo: “La rivoluzione socialista […] non è una battaglia isolata su un solo fronte, ma tutta un’epoca di acuti conflitti di classe, una lunga serie di battaglie su tutti i fronti […] battaglie che possono terminare soltanto con l’espropriazione della borghesia […] Un errore non meno grave sarebbe quello di sopprimere un qualche punto del programma democratico, per esempio l’autodecisione delle nazioni, col pretesto della sua ‘irrealizzabilità’ o del suo carattere ‘illusorio’ durante l’imperialismo”. E conclude così: “… non soltanto il diritto delle nazioni all’autodecisione, ma tutte le rivendicazioni essenziali della democrazia politica sono “realizzabili” nell’epoca imperialista soltanto in modo incompleto, deformato e in via di rara eccezione… Anche la rivendicazione della liberazione immediata delle colonie… è “irrealizzabile” in regime capitalista senza una serie di rivoluzioni. Ma da questo non deriva affatto la rinunzia della socialdemocrazia alla lotta immediata e decisa per tutte queste rivendicazioni… viceversa da questo deriva appunto la necessità di formulare e di porre tutte queste rivendicazioni in modo rivoluzionario … non limitandosi al quadro della legalità borghese … sino alla rivoluzione socialista che espropria la borghesia”.

La soluzione della questione nazionale non risiede più in un coerente democratismo borghese. Lenin lo enuncia nelle sue “Tesi per il II Congresso dell’Internazionale Comunista“. La quarta delle “Tesi” dichiara: “Dalle tesi fondamentali sopra enunciate risulta che la pietra angolare di tutta la politica dell’Internazionale Comunista nelle questioni nazionale e coloniale deve essere l’avvicinamento dei proletari e delle masse lavoratrici di tutte le nazioni e di tutti i paesi ai fini della lotta rivoluzionaria comune per rovesciare i grandi proprietari terrieri e la borghesia. Solo questo avvicinamento potrà infatti garantire la vittoria sul capitalismo, senza la quale è impossibile abolire l’oppressione e la disuguaglianza nazionale.”

In primo luogo, mentre esiste ancora la questione della liberazione delle nazioni sottoposte all’oppressione nazionale e all’disuguaglianza dei diritti nei vari paesi, la trasformazione della questione nazionale nella questione della liberazione delle nazioni dipendenti e colonizzate oppresse dal giogo imperialista è tuttora valida.

In secondo luogo, il programma della classe operaia sulla questione nazionale si basa ora sulla solidarietà degli operai e dei lavoratori di tutti i paesi nella lotta contro la borghesia dominante e i grandi proprietari terrieri e il loro potere. Con la seconda delle stesse tesi, la soluzione della questione nazionale come questione di liberazione dalla tirannia imperialista è ora legata alla lotta per rovesciare il potere della borghesia e instaurare la democrazia socialista.

In terzo luogo, la Grande Rivoluzione d’Ottobre non aveva come obiettivo solo la borghesia imperialista e il suo dominio. Le tesi di Lenin distinguevano anche tra la borghesia delle nazioni e delle colonie oppresse e i movimenti nazionali, condizionandone il sostegno, e, con particolare rilievo al mantenimento dell’indipendenza del movimento proletario, richiamavano l’attenzione sull’inganno dell’imperialismo e della borghesia delle nazioni oppresse unita ad esso sotto la maschera della “costruzione di Stati indipendenti”.

Nel “Rapporto della Commissione sulle questioni nazionale e coloniale” presentato da Lenin al Congresso, l’atteggiamento nei confronti dei movimenti nazionali è chiaro: “… la borghesia imperialistica cerca con tutti i mezzi di trapiantare il movimento riformistico anche tra i popoli oppressi. Tra la borghesia dei paesi sfruttatori e quella dei paesi coloniali si registra un certo ravvicinamento, sicché molto spesso – e, forse, persino nella maggior parte dei casi – la borghesia dei popoli oppressi, pur sostenendo i movimenti nazionali, lotta in pari tempo d’accordo con la borghesia imperialistica, cioè insieme con essa, contro tutti i movimenti rivoluzionari e contro tutte le classi rivoluzionarie […] in quanto comunisti, dovremo sostenere e sosterremo i movimenti borghesi di liberazione nei paesi coloniali solo quando tali movimenti siano effettivamente rivoluzionari, solo quando i loro rappresentanti non ci impediscano di educare e di organizzare in senso rivoluzionario i contadini e le grandi masse degli sfruttati. In assenza di tali condizioni anche nei paesi arretrati i comunisti devono lottare contro la borghesia riformistica […]”. (Lenin, Opere complete, volume XXXI. N.d.T.).

Le tesi sono indubbiamente valide oggi, quando è instaurato il sistema coloniale è crollato e il sistema degli Stati politicamente indipendenti è divenuto generalizzato, seppure limitato da molteplici rapporti di dipendenza e indipendenza che rimangono in apparenza. Assieme all’esportazione di capitali e alla divisione economica del mondo, al processo di sviluppo del capitalismo in quasi tutti i paesi e la formazione di monopoli esteri e nazionali, si è verificato il processo di fusione con l’imperialismo degli strati superiori della borghesia nei paesi indipendenti caduti nella rete di dipendenza.

Adesso la grande borghesia dei paesi dipendenti paesi, se non si è sviluppata come borghesia imperialista sotto condizioni speciali, non solo è scesa a compromessi con l’imperialismo, ma è diventata collaborazionista e completamente reazionaria collegando i suoi interessi e destino con quelli della borghesia imperialista. Lo ha fatto tradendo completamente la propria nazione, con la quale non ha alcuna unità di interessi. Assieme all’imperialismo, essa rappresenta non solo il bersaglio della liberazione sociale, ma anche della lotta per la liberazione nazionale.

Una conseguenza diretta delle tesi per il presente è che i movimenti di liberazione nazionale che possono essere sostenuti nei paesi dipendenti sono i movimenti realmente rivoluzionari delle principali classi inferiori, degli operai e dei contadini. Nonostante la loro tendenza al compromesso, i movimenti rivoluzionari degli strati inferiori della borghesia possono essere possibili solo se sono diretti a lottare contro l’imperialismo in condizioni particolari, come l’occupazione. A parte casi eccezionali, le azioni della borghesia reazionaria al potere nei paesi dipendenti non possono essere considerate “anti-imperialismo” e sostenute a causa della loro ingannevole retorica “a favore dell’indipendenza“. Le “rivoluzioni colorate” delle cricche borghesi a cui abbiamo assistito nel recente passato, solitamente istigate e sostenute dai rivali degli imperialisti con cui la borghesia al potere collabora, non sono movimenti che possono essere appoggiati in questa categoria.

L’atteggiamento nei confronti delle lotte delle nazioni oppresse è diventato ancora più importante oggi, quando gli Stati imperialisti, la cui rivalità si sta intensificando, cercano di ottenere la superiorità gli uni sugli altri provocando e sostenendo i movimenti nazionali contro i loro rivali.

Indubbiamente, come sottolineava Lenin, “il fatto che la lotta per la libertà nazionale contro una potenza imperialista può essere utilizzata, in certe condizioni, da un’altra ‘grande’ potenza per i suoi scopi egualmente imperialisti, non può costringere la socialdemocrazia a rinunziare al riconoscimento del diritto di autodecisione delle nazioni […]”. I marxisti riconoscono incondizionatamente il diritto delle nazioni oppresse all’autodecisione. Questo però non significa che un movimento nazionale contro uno Stato imperialista, sostenuto da uno Stato imperialista rivale, debba essere sostenuto. Le lotte da sostenere sono determinate da un’analisi concreta delle condizioni e della natura di ciascuna lotta.

Non si può combattere contro un imperialista appoggiandosi su un altro. Anche se usano una retorica “antimperialista“, i movimenti reazionari che sono legati alla lotta per l’egemonia tra gli imperialisti e che ne diventano un elemento non possono essere sostenuti, indipendentemente dalle loro rivendicazioni. Si possono citare come esempio le azioni della borghesia al potere dei paesi membri della NATO e della SCO, che, falsamente a nome dell’intera nazione, con rivendicazioni come “contro l’occupazione” e “protezione e difesa dell’indipendenza e della sovranità dei loro paesi”, al fine di ingannare il popolo, lo opprimono e lo trascinano con sé. Non c’è dubbio che la nazione ucraina, per esempio, ha bisogno di emancipazione nazionale e sociale con il diritto all’autodecisione, e a questo scopo, ha bisogno di una vera lotta contro la propria borghesia. Tuttavia, per quanto sostenga di essere contro l’occupazione, il governo Zelensky e la guerra che conduce in nome della cosiddetta “indipendenza e sovranità” in Ucraina, che è il campo della lotta imperialista tra Russia e NATO, non possono essere sostenuti, così come non può essere appoggiato il regime dei Mullah in Iran che chiama i suoi popoli oppressi a lottare contro gli USA, in alleanza con Russia e Cina e nel nome della “indipendenza e sovranità dell’Iran”, e tanto meno la lotta che conduce per mantenere il proprio dominio.

*

Il marxismo-leninismo, la dottrina che Lenin ha ripreso da Marx ed Engels, è la dottrina dell’emancipazione della classe operaia; essa esprime gli interessi della classe operaia ed è basata sulla lotta di classe.

L’antagonismo tra i popoli oppressi e l’imperialismo è uno degli antagonismi principali nel mondo, ma l’antagonismo e la lotta tra la classe operaia e la borghesia costituiscono il terreno su cui la classe operaia si è basata e ha subordinato altre lotte fin dai tempi di Lenin. I leninisti trattano la questione nazionale al servizio degli interessi della lotta di emancipazione della classe operaia e la sua soluzione risiede nell’unità della lotta per la liberazione nazionale e sociale.

Dalla rivista indiana “Revolutionary Democracy”, Vol. 1, N. 2, Ottobre 2024

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