Sull’industria automobilistica, la situazione in Stellantis e la condizione operaia

Pubblichiamo il seguente documento di analisi economica e orientamento politico, realizzato anche grazie ai contributi e alle informazioni di operai e delegati del settore, che ringraziamo.

La produzione di auto nel mondo

Nel 1995 nel mondo si producevano circa 50 milioni di auto. Nel 2024 si sono prodotte circa 85 milioni di auto. Di queste circa 50,2 milioni in Asia e 33,98 milioni tra Europa e America  (di cui circa 16,4 milioni nella sola Europa).

È evidente lo spostamento della produzione di automobili verso l’Asia. La Cina nel 1995 aveva una produzione simile all’Italia, nel 2024 ha prodotto 30 milioni di auto.

La Cina ha realizzato due obiettivi: aumentare la produzione e realizzare il passaggio tecnologico con enormi investimenti supportati dallo Stato e con numerosi nuovi modelli particolarmente di tipo elettrico. Nel 2024 la Cina ha prodotto 79 nuovi modelli contro 47 modelli usciti da tutte le fabbriche in Europa.

Sempre in Cina nel 2024 sono state vendute 23 milioni di auto di cui 10,9 milioni elettriche, il 50% in più rispetto al 2023.

Lo sviluppo diseguale capitalistico ha comportato la modificazione dei rapporti fra potenze economiche. I monopoli asiatici, specialmente cinesi, hanno realizzato tutto l’incremento produttivo del settore automobilistico.

Sono state sottratte quote di mercato ai monopoli degli altri paesi, specie quelli europei,  che si trovano in una sovrapproduzione relativa di capitale e di merci, causata dal conflitto fra l’estensione della produzione e la valorizzazione del capitale, che si manifesta nella caduta del saggio di profitto.

La complicata transizione ai veicoli elettrici ha acuito questa condizione che ha portato all’intensificarsi della concorrenza fra monopoli e Stati.

Essa oggi si manifesta nella lotta per le quote di mercato, per le fonti di materie prime necessarie alla produzione di vetture high-tech, per gli investimenti di capitali, nelle politiche protezioniste e dei prezzi, nell’aumento del grado di sfruttamento della classe operaia impiegata nell’industria automobilistica che a livello mondiale ha aumentato la propria consistenza.

L’industria automobilistica dimostra in modo lampante la contraddizione intrinseca della produzione capitalistica, che consiste nella tendenza allo sviluppo delle forze produttive che entra in conflitto con le specifiche condizioni di produzione in cui il capitale si muove.

Un limite che può risolversi solo abbattendo il capitalismo e passando a un nuovo e superiore sistema sociale.

L’automotive in Europa

Per decenni l’industria dell’auto ha rappresentato la struttura portante dell’industria e della stessa economia dei paesi dell’Unione europea con 14 milioni di occupati diretti e indiretti. Il settore genera ancora oggi circa il 7-8% del Pil continentale e contribuisce al 30% delle spese in Ricerca & Sviluppo.

Le grandi aziende della Germania avevano prodotti di avanguardia che permettevano loro di occupare la fascia alta del mercato e ricavare alti margini di profitto; inoltre, nel mercato asiatico realizzavano una parte consistente delle vendite e dei profitti. Queste condizioni oggi non esistono più. Con avvento dell’auto elettrica e della supremazia produttiva cinese sull’intera filiera anche queste aziende hanno perso quote di mercato in Cina e in altri mercati.

Mentre in USA e in Europa la produzione è rimasta grosso modo stabile, in Italia la produzione di autovetture è passata da 1,6 milioni del 1995 a 475 mila nel 2024.

Stellantis in Italia

La produzione di auto in Italia è sostanzialmente realizzata da un solo monopolio, Stellantis, in grandi fabbriche altamente automatizzate (Mirafiori, Melfi, Pomigliano, Verrone, Pratola Serra, Termoli, Atessa, Cassino, etc.).

Negli ultimi tempi è diventato visibile il disimpegno di Stellantis dovuto ai mancati investimenti e allo spostamento di capitale, e quindi di produzione, all’estero per ottenere un saggio di profitto più alto.

Allo stesso tempo Stellantis continua a chiedere sostegno al governo senza dare nessun impegno concreto su produzioni, occupazioni e mantenimento degli stabilimenti.

FIAT ha rappresentato l’industrializzazione italiana nel XX secolo, grazie a significativi aiuti di stato a fondo perduto. Si stima che dal dopoguerra a oggi siano stati concessi aiuti per circa oltre 500 miliardi di €.

Lo stabilimento di Melfi venne pagato dallo Stato per il 50% (€ 1,5 miliardi); € 4,5 miliardi sono stati dati per lo stabilimento di Termini Imerese. Ricordiamo anche la vendita alla FIAT del gruppo Alfa Romeo a condizioni di saldo (€ 500.000).

Negli anni ‘90 lo Stato italiano ha elargito 287,7 miliardi di lire (pari a € 122,9 milioni) per sperimentare veicoli elettrici e ibridi; FIAT dopo aver preso i soldi ha accantonato tutto e non ha più investito.

Solo per la cassa integrazione nel periodo compreso tra il 2014 e il maggio 2024 FCA-Stellantis è stata sostenuta dallo Stato con quasi un miliardo di euro.

Si tratta di classici esempi di subordinazione dell’apparato statale ai monopoli capitalistici, allo scopo di assicurare il massimo profitto, socializzare le perdite e consolidare il dominio dell’oligarchia finanziaria.

Gli aiuti erano accompagnati da piani e promesse per l’aumento della produzione e dell’occupazione; ma la stessa  nascita dello stabilimento di  Melfi rappresentò la chiusura degli stabilimenti di Desio, Rivalta, Arese e in seguito anche di Termini Imerese.

Il CEO di FCA, Sergio Marchionne, presentò ben 7 piani strategici, che puntavano a produrre 3,5 milioni di auto per giustificare lo spostamento delle produzioni all’estero.

Questi obiettivi non sono mai stati realizzati, ma gli aiuti statali al monopolio sono stati sempre elargiti.

Le minacce sull’occupazione sono state una costante della politica aziendale.

La Fiat di Marchionne minacciò lo spostamento della produzione da Pomigliano se non fossero accettate le modifiche organizzative proposte e se il sindacato non fosse stato garante dell’intesa.

Marchionne spaccò il sindacato, lo rese ancor più subalterno e uscì da Confindustria (l’associazione dei padroni) per avere le mani più libere per imporre ritmi di lavoro più massacranti in fabbrica e meno vincoli contrattuali.

Nel 2009 FIAT acquisì una quota di minoranza della Chrysler; nel 2014 dalla fusione fra i due monopoli nacque FCA che però non risolse i problemi della FIAT.

Nel 2019 FCA venne acquisita da Peugeot e nacque così Stellantis, unendo marchi storici come Fiat, Jeep, Maserati, Lancia, Alfa Romeo, Peugeot, Citroën, Opel, etc. Stellantis, quarto produttore mondiale di auto, è una società per azioni: il principale azionista è Exor, la holding della famiglia Agnelli che detiene il 14,4%.

Peugeot avrebbe incrementato le vendite in Europa, sarebbe entrata nel mercato americano dove era praticamente assente, con il vantaggio di dividere gli oneri sullo sviluppo delle nuove tecnologie e sull’elettrico.

Per FCA il vantaggio era quello di adottare le tecnologie sulle vetture elettriche su cui era arretrata.

La vendita di FCA a Stellantis ha risolto i problemi degli azionisti, ma ha creato ulteriore sovraccapacità produttiva con più marchi, surplus di stabilimenti e duplicazioni delle attività manageriali e di progettazione, con serie conseguenze fatte ricadere sui lavoratori.

Per Stellantis, acquisito un concorrente, si poneva il problema di una ristrutturazione per integrare prodotti e organizzazione, determinando un problema occupazionale drammatico per i dipendenti diretti e per quelli dell’indotto.

Poichè il governo francese detiene circa il 7% delle azioni Stellantis con diritto di veto sui piani strategici, qualora il gruppo, dovesse chiudere stabilimenti o ridurre l’occupazione, prioritariamente lo farà soprattutto in Italia, cosa che sta avvenendo, dato che in Italia non ci sono vincoli di sorta.

Occupazione in picchiata

Nel 2000 i lavoratori Fiat in Italia erano 74.300; nel 2024 i lavoratori Stellantis sono circa 40.000 di cui 20.000 nell’auto che sono per la maggior parte in cassa integrazione una o due settimane al mese.

Dal 2021 si sono persi circa 12.000 posti di lavoro, è stato chiuso lo stabilimento di Grugliasco dove si producevano le Maserati, venduta la palazzina uffici di Cassino, inviate 15 mila lettere a progettisti e impiegati per sollecitare l’uscita incentivata. A Melfi si è passati da 13 mila dipendenti (compreso l’indotto), a 8 mila. Alla Sevel di Atessa (veicoli commerciali) si è passati da 6000 a 4500 lavoratori (1500 sono in cassa integrazione), in coincidenza con la delocalizzazione della produzione in Polonia. A Termoli la giga-factory è ferma.

Mentre l’occupazione continua a diminuire in tutti gli stabilimenti, attraverso licenziamenti incentivati concordati con i capi di Cgil Cisl Uil e Ugl, avvengono  continui trasferimenti da uno stabilimento all’altro per far fronte alle carenze di forza-lavoro nei momenti in cui riparte la produzione.

Tutto fa parte di un unico disegno: tagliare l’occupazione, svuotare gli stabilimenti e non investire sui nuovi progetti.

Il crollo della produzione e delle vendite di Stellantis

Nel 2024 in Europa si sono vendute 12,963 milioni di auto con una crescita dello 0,9% rispetto al 2023. Nel 2024 si sono vendute 1,99 milioni di auto elettriche pari al 13,6 % del mercato. Nello periodo la quota Stellantis si è ridotta del 27,1%, passando dal 19,2% del 2023 al 14,9% del 2024.

In Italia nel 2024 si sono vendute 1.558.704 auto con una diminuzione rispetto al 2023 dello 0,5%. Il gruppo Stellantis ha venduto 454.013 auto, con un calo del -10,2 %. Il marchio FIAT ha avuto una diminuzione del -17,6 %, il marchio Alfa Romeo del -14,6%, il marchio Lancia del -28,3% e il marchio Maserati del -41,7%. La quota di auto elettriche è dello 0,53 % del mercato.

La situazione peggiora nel 2025: nei primi due mesi, a fronte di una diminuzione del 6% del mercato, Stellantis ha perso il 16% di vendite.

La produzione di Stellantis nel primo trimestre 2025 è stata di 109.900 veicoli (- 35,5%), in forte peggioramento rispetto al 2024. Tutti gli stabilimenti auto e veicoli commerciali sono in negativo. È il dato peggiore negli ultimi 70 anni.

Di fronte a questo drammatico calo di produzione e di vendite, Stellantis, negli incontri con il governo ha avuto la faccia tosta di promettere che in Italia avrebbe raddoppiato la produzione di auto portandola a un milione e sta chiedendo ulteriori fondi per incentivare l’acquisto di auto specie elettriche.

Profitti, politica dei prezzi e indotto

Stellantis afferma che il passaggio all’elettrico costa molto e si può produrre di più a patto che gli acquisti vengano sostenuti con incentivi pubblici, perché chi compra (in gran parte lavoratori) ha pochi soldi. In sostanza dice: voi chiedete un milione di auto, noi chiediamo un milione di acquirenti.

La caduta della produzione e delle vendite non è dipesa solo dai mancati investimenti e dal non aver colto la novità dell’elettrico, ma dall’aver data priorità ai dividendi da corrispondere agli azionisti.

Ciò è stato fatto con aumenti dei prezzi e più margini di profitto su una produzione diventata più ridotta e meno diversificata.

In Italia nel 2023 i capitalisti del settore hanno incassato € 45 miliardi, nel 2024 € 47 miliardi  con un mercato ridotto; questi fatturato fino a poco tempo fa si realizzava con un mercato di 2,5 milioni di auto.

Sono scomparsi modelli di auto economici e rimangono solo modelli dei segmenti alti con valore medio oltre i 30 mila euro. Tutti i lavoratori impoveriti del paese sono tagliati fuori dal mercato dell’automobile e ciò è dipeso dai bassi salari, dalla riduzione del welfare e dall’aumento delle tariffe liberalizzate.

Mentre tutto crollava e Stellantis chiudeva il bilancio 2024 con ricavi pari a 156,6 miliardi di €, con una diminuzione del 17%; le vendite sono calate del 12%.

Ciò nonostante l’utile netto è stato di 5,5 miliardi di € che invece di essere investiti sono stati distribuiti agli azionisti (agli operai solo 600 milioni).

All’ex manager Tavares sono stati dati 12 milioni di € di “buonuscita” per aver lasciato inoperosa una parte dei mezzi di produzione e distrutto forze produttive, specie in Italia, per fermare la diminuzione del saggio di profitto.

Il disastro produttivo si ripercuote sulle fabbriche dell’indotto auto e anche sulla logistica. Il calo della produzione di auto si scarica anche sulle aziende della componentistica.

Secondo i dati di Confindustria il settore componentistica auto nel 2024 è calato del 21,3%. In questo settore sono a rischio in Italia 25 mila posti di lavoro. Nel 2025 Stellantis acquista sempre più all’estero i componenti, riducendo il numero dei fornitori di primo livello.

In queste aziende, le condizioni di lavoro sono peggiorate rapidamente. In diverse realtà (ad es. Lear, Speedline, Gkn, Trasnova, Logitech,  etc.),  sono scoppiate dure lotte contro i licenziamenti.

Alcune aziende dell’indotto cercano di continuare a fare profitti firmando contratti con l’industria bellica.

Il “piano Italia 2025”

L’audizione di John Elkann in Parlamento nel marzo 2025 di fatto ha confermato questa situazione. Il rampollo della famiglia Agnelli ha difeso “l’orgoglio” della proprietà nascondendo in modo spudorato le enormi responsabilità del declino del gruppo. Sono stati forniti dei dati aggregati, come  i 16 milioni di auto prodotte in Italia in 20 anni (dal 2004 al 2023) che confermano il disimpegno crescente, lo spostamento all’estero e la caduta degli investimenti.

Analizzando l’audizione si desume che il 40% degli investimenti fatti dal 1990 in poi sono stati pagati dallo Stato. Dal 2021 al 2024 sono state pagate dallo Stato 984 milioni di ore di cassa integrazione; nello stesso periodo l’occupazione è diminuita di 10.000 unità e sono stati pagati 16,4 miliardi € di dividendi agli azionisti.

I 2 miliardi di € di investimenti annunciati per il 2025 sono totalmente insufficienti per invertire la situazione.

Significativo il fatto che i parlamentari della maggioranza governativa e della “opposizione” non sono stati capaci di contrapporre serie obiezioni al ”piano fantasma” di Elkann.

Ciò evidenzia la subordinazione ai monopoli e la totale assenza di una politica industriale da parte del governo e dei partiti borghesi. Essi si limitano a inseguire le promesse non credibili di un’azienda che non ha mostrato alcuna reale intenzione di rilanciare il settore.

Condizioni di lavoro e offensiva antioperaia

In generale negli stabilimenti Stellantis si lavorano pochi giorni al mese. La rotazione della cassa integrazione non si effettua e a lavorare sono quasi sempre gli stessi operai.

Ci sono operai che non lavorano per mesi. Quindi: in molti in cassa integrazione pagata dallo Stato e in pochi a produrre più plusvalore per il monopolio.

Nelle giornate lavorative le direzioni aziendali impongono carichi e ritmi di lavoro impossibili. Si lavora malissimo.

Gli operai vengono mandati su tutte le postazioni, dove si lavora anche con solo due operai. Sulle linee vi sono sempre meno operai i quali non riescono a reggere i ritmi lavorativi che aumentano in modo forsennato perché viene aumentato il numero di auto da produrre per turno e quindi accelera la velocità della linea di produzione.

Ciò vuol dire che gli stessi operai su un singolo tratto di linea devono fare un numero maggiore di operazioni nello stesso tempo (ad es. in 2 minuti, quando ne servirebbero almeno 4 o 5).  Ogni attività non produttiva di plusvalore è eliminata, ogni poro del tempo di lavoro è saturato.

In tal modo gli operai non respirano e vanno in affanno. Oltre alla salute operaia, ne risente la qualità delle auto prodotte, con ricadute sulle vendite e crescente disaffezione dei clienti verso il brand Stellantis.

Anche i “team leaders” sono di meno e non possono sostenere gli operai nella produzione. La gerarchia aziendale si sta assottigliando.  Vi sono meno capi in alto, mentre alla base, solo operai che forniscono al capitale una massa di valore maggiore di prima, aumentando così il plusvalore relativo.

I cambi turno sono improvvisi. Spesso agli operai vengono affidate anche le operazioni di pulizia, comportando un ulteriore aumento dei carichi di lavoro.

I manager Stellantis vogliono tenere tanti operai in cassa integrazione, a spese dello Stato, e farne lavorare solo pochi, a ritmi infernali, per tagliare i costi di produzione e spremere più plusvalore possibile.

I capi chiamano chi vogliono, puntano a dividere gli operai, a metterli in competizione l’uno con l’altro, perché se si unissero sarebbe un serio problema per la dirigenza e per loro stessi. Li spingono a licenziarsi (con uscite incentivate o senza), soprattutto gli invalidi e chi ha problemi di salute. Se non ti licenzi da solo, allora ti fanno “scoppiare sulla linea”.

Questo è il succo della “politica” antioperaia dei dirigenti Stellantis, in una situazione di incertezza totale sul futuro e di degrado dell’ambiente di lavoro.

Recentemente il malumore degli operai si è espresso con scioperi spontanei e organizzati, specie a Pomigliano, sulla questione dei ritmi di lavoro e del premio di produzione diminuito a 630 euro lorde: un’elemosina.

La protesta si è diretta contro l’azienda e anche contro i dirigenti dei sindacati collaborazionisti che hanno firmato l’accordo. A Mirafiori si è scioperato  per il licenziamento di due dipendenti.

Le trattative per il rinnovo del Contratto Collettivo Specifico di Lavoro (firmato con aumenti che non recuperano il potere d’acquisto perso) e per il CCNL hanno visto scioperi e blocco degli straordinari in diverse fabbriche.

Come è successo in passato, nei momenti critici (ristrutturazione, licenziamenti, etc.) l’azienda aumenta la repressione nei  confronti degli operai, specialmente nei confronti di coloro che si oppongono ai piani capitalistici e sono considerati “pericolosi” perché fanno attività sindacale. I diritti in fabbrica e le agibilità sindacali sono negati ai sindacati e ai delegati che praticano la linea di lotta di classe.

È il management che decide chi rappresenta gli operai, a chi concedere i diritti sindacali, grazie al vergognoso accordo del 2014.

Che fare?

In questa grave situazione, che peggiorerà con l’introduzione dei dazi USA, il solo strumento che hanno gli operai per difendersi è la mobilitazione unitaria, consapevoli di una duplice difficoltà: lo sciopero incide poco quando il processo produttivo è limitato ad alcuni giorni al mese e molti operai sono in cassa integrazione.

Nonostante ciò, si esprime tuttavia una significativa resistenza da parte degli operai che sentono sulle proprie spalle la responsabilità di unirsi, confrontarsi, lottare e che scendono in sciopero quando trovano l’occasione per farlo seriamente.

La maggioranza degli operai ancora subisce, ma stanno maturando le condizioni per una protesta di massa.

Per spingere avanti il processo di lotta e costruire rapporti di forza adeguati alla situazione bisogna difendere in modo intransigente l’occupazione, rivendicare forti aumenti del salario operaio e combattere l’intensificazione dello sfruttamento, rendendo gli operai protagonisti della lotta, partendo dalle condizioni economiche e lavorative e dalle loro conseguenze, utilizzando tutte le occasioni che si presentano, come le  assemblee per i contratti, gli scioperi.

La tattica di fronte unico, sulla base di una piattaforma di difesa intransigente degli interessi economici e politici degli operai, è la via da seguire per avanzare.

Molti operai si stanno impoverendo, con un solo salario non si riesce più a mandare avanti la famiglia.

È quindi oggi fondamentale rivendicare forti aumenti salariali, specie per le qualifiche inferiori, non limitati a recuperare solo il potere d’acquisto perso. Il premio di produzione deve essere almeno pari a quello dell’anno scorso (2000 €).

Nel 2025 la cassa integrazione dilagherà, comportando un taglio di circa il 40% dei salari. In queste condizioni occorre esigere che Stellantis integri la quota della cassa integrazione, spostando una parte dei profitti verso i salari dei lavoratori, invece che darli agli azionisti.

Quando c’è la produzione tutti gli operai devono essere chiamati e non solo una minoranza che sopporta carichi di lavoro gravosi.

Deve essere adottata la rotazione obbligatoria della cassa integrazione. I ritmi di lavoro e l’impostato della produzione devono essere diminuiti, le pause aumentate.

Nei prossimi mesi è probabile che la crisi peggiori con una forte caduta occupazionale in Stellantis e nell’indotto. Bisogna opporsi strenuamente alla chiusura degli stabilimenti e ai licenziamenti di massa, anche con l’occupazione delle fabbriche.

Da un punto di vista di classe bisogna dire chiaro e forte:

NO ai licenziamenti! NO alla cassa integrazione “a perdere” e all’ulteriore diminuzione del salario.

Va ridotto il tempo di lavoro senza contropartite, in forma generalizzata.

Devono pagare i padroni e i parassiti della società!

Dobbiamo combattere la repressione nei luoghi di lavoro che viene praticata per eliminare chi difende diritti individuali e collettivi. Gli operai e i delegati combattivi vanno difesi in massa dalla repressione.

E’ necessario creare un “fondo di resistenza”, come già realizzato nel caso di licenziamenti politici.

Oggi la lotta per le libertà politiche e sindacali (di organizzazione, di sciopero, di elezione di delegati, di contrattazione, etc.), per le rivendicazioni democratiche legate alla lotta per il salario, contro i licenziamenti, etc., si identifica sempre più con la lotta per l’abbattimento del regime capitalistico che le nega in fabbrica e fuori.

Su questa base va realizzata l’unità di azione degli operai di tutti gli stabilimenti, indipendentemente dall’organizzazione a cui appartengano (o non appartengono).

Bisogna promuovere e costruire organismi di fronte unico (Comitati di lotta, etc.) per organizzare scioperi  mobilitazioni, senza rimanere subalterni alla linea collaborazionista centrata sui “tavoli ministeriali”.

Allo stesso tempo occorre spingere i delegati di base dei sindacati a mobilitare e organizzare i lavoratori di tutta la filiera automobilistica per guidare una lotta contro Stellantis e contro il governo Meloni su tutti gli aspetti che ci hanno portato al disastro attuale.

Per questo è fondamentale rafforzare e unire l’opposizione sindacale di classe in fabbrica.

Il rapporto unitario con gli altri lavoratori e lavoratrici del territorio, con gli studenti, etc., deve essere sviluppato per avere più forza nella lotta.

Si deve lavorare per un coordinamento nazionale dei delegati e degli operai combattivi, per discutere e giungere a decisioni comuni. In questo coordinamento dovrebbero essere presenti anche delegati dell’indotto e della logistica.

Di grande importanza sono i rapporti con gli operai e i sindacalisti degli stabilimenti situati negli altri paesi.

Da Scintilla n. 153 – giugno 2025

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