Sviluppiamo la mobilitazione contro l’autonomia differenziata e il presidenzialismo

Alla vigilia dalle elezioni regionali in Lombardia, il governo ultrareazionario di Meloni ha approvato il disegno di legge sull’autonomia regionale differenziata del leghista Calderoli.
La questione del riconoscimento di forme di «autonomia differenziata» si impose nel dibattito politico a seguito delle iniziative intraprese dalle regioni Lombardia, Veneto ed Emilia-Romagna, poi seguite da altre regioni. A monte c’è la controriforma del Titolo V della Costituzione voluta dal centrosinistra.
Il cuore dell’autonomia differenziata sta nel meccanismo di spostamento di miliardi di plusvalore raccolto sotto forma di tributi versati dai lavoratori (Irpef) a favore delle regioni ricche.
L’applicazione del Ddl Calderoli porterà alla rottura dell’unitarietà dei diritti dei lavoratori, aprirà la strada ad un salario regionale o a contratti territoriali differenziati. In pratica le nuove gabbie salariali (il ministro Valditara già ci prova con gli insegnanti), per sfruttare e immiserire ancor più il proletariato sia a livello economico, sia a livello politico, rinchiudendolo in ambiti angusti per aumentarne divisione, impotenza e rassegnazione.
Ciò causerà una maggiore divisione della classe, con il conseguente indebolimento dei rapporti di forza e lo smantellamento delle residue conquiste unitarie del movimento operaio, come i contratti collettivi nazionali di lavoro.
Con l’autonomia differenziata, vi saranno pesanti ricadute sul sistema delle tutele universali e sui livelli dei servizi sociali, sanitari e educativi di cui fruiscono la classe operaia e le masse popolari.
Se oggi abbiamo poche e insufficienti strutture sanitarie e sociali, servizi per l’infanzia e per le donne, trasporti pubblici al collasso, con l’autonomia differenziata il risultato sarà che si accrescerà il dislivello delle prestazioni e peggiorerà la loro qualità, specie nel Meridione.
La fruizione del diritto alla salute, alla casa, sarà sempre più differenziata.
Si metterà in discussione anche l’unità del sistema di istruzione e formazione, passando alla regionalizzazione dei programmi con la trasformazione della scuola in un’agenzia di consenso ideologico alla mercé dei governatori regionali.
L’autonomia finanziaria aggraverà le diversità di sviluppo delle varie regioni, approfondendo il solco fra di esse, in particolare fra quelle del Settentrione e quelle del Meridione abbandonate al loro destino.
Ciò inciderà pesantemente sulle condizioni di vita di lavoratori, pensionati, studenti appartenenti alla classe proletaria e agli strati sociali popolari.
Assieme alle disuguaglianze e ai divari territoriali si estenderà la povertà di massa.
Con il regionalismo asimmetrico si accentuerà il dominio dei monopoli e ad un tempo la tendenza alla creazione di entità territoriali presidiate da cricche corporative e organizzazioni criminali. Verranno istituiti nuovi tributi regionali e locali che peseranno sulle masse popolari.
L’autonomia differenziata, se da un lato introduce nuovi limiti allo sviluppo industriale delle aree meridionali del paese, dall’altro favorisce l’accumulazione di potenza finanziaria nelle mani della borghesia imperialista europeista, la quale controllando i settori industriali fondamentali pone le basi per lo sviluppo di un’industria bellica nell’ambito della NATO e della UE.
Non ultimo il Vaticano, che vede in questo progetto un’occasione per accrescere il suo potere temporale, potenziando il suo apparato sanitario e scolastico privato nel quale fare “opera misericordiosa” e formare ideologicamente i figli del popolo.
Il regionalismo differenziato è un progetto borghese reazionario, che va contro gli interessi della classe operaia e delle masse popolari.
Allo stesso tempo, costituisce un aspetto della crisi organica e del declino dell’imperialismo italiano che verranno acuiti da questo disegno politico.
Attorno all’“autonomia regionale differenziata” si svilupperà il mercanteggio fra i partiti borghesi e piccolo-borghesi.
La Lega di Salvini e Calderoli, espressione degli interessi egoistici e separatisti di settori di padroni e padroncini del Settentrione, far passare la controriforma condizionando la politica di Fratelli d’Italia che punta al presidenzialismo autoritario per centralizzare i poteri dello Stato borghese.
La falsa opposizione liberale e riformista cercherà di compattarsi sul tema dei “livelli di essenziali di prestazione” (LEP) chiedendo di ridurre le materie devolvibili e un maggiore coinvolgimento del parlamento.
I governatori delle regioni e delle provincie autonome si limiteranno a chiedere tempi certi per definire i LEP e a presentare dei rilievi.
Al teatrino della politica borghese si può rispondere solo con la resistenza del movimento operaio e sindacale, delle reti associative di carattere proletario e popolare, delle forze sociali antifasciste.
In quanto comunisti interveniamo sulla questione dal punto di vista di classe e rivoluzionario, chiamando gli operai e le masse popolari a intervenire su tutti i problemi che li riguardano.
Respingiamo l’autonomia regionale differenziata e il presidenzialismo in quanto progetti volti a dividere la classe e impedire lo sviluppo del suo movimento indipendente.
Per battere questi progetti politici il terreno su cui va sviluppata la lotta non è quello parlamentare e giuridico. La spesa pubblica e la forma dello stato sono un campo di battaglia tra i contrapposti interessi di classe. Perciò va sviluppata la mobilitazione di massa.
Fra i nostri compiti c’è quello di sgombrare il campo dalle “illusioni costituzionali” e da quella “fede superstiziosa nello Stato borghese” che, alimentate per decenni dal revisionismo e dalla socialdemocrazia, hanno avuto ampia diffusione fra i proletari.
Altrettanto ingannevoli sono i proclami riformisti sulla uguaglianza dei diritti in regime borghese, poiché non può esservi eguaglianza effettiva tra il padrone e l’operaio, tra il latifondista e il piccolo contadino.
Mentre denunciamo l’autonomia differenziata e il presidenzialismo come politiche reazionarie e antioperaie della borghesia, mentre chiamiamo alla difesa intransigente degli interessi, delle libertà e dei diritti democratici e unitari, conquistati a duro prezzo dalla classe operaia, ribadiamo che il problema di fondo che questa controriforma solleva è quello della egemonia (direzione) del proletariato.
La classe operaia è l’unica forza capace di risolvere i problemi della società italiana, di superare lo squilibrio esistente fra Nord e Sud indirizzando la lotta di tutti gli sfruttati e gli oppressi verso l’abbattimento del capitalismo e alla costruzione di un nuovo ordinamento della società umana.
Ciò di cui hanno bisogno gli operai e gli altri lavoratori è uno Stato che assicuri la fine dello sfruttamento dell’uomo sull’uomo, l’abolizione della proprietà privata dei mezzi di produzione e di scambio, sostituita dalla loro proprietà sociale; una Costituzione che non si limiti a proclamare l’eguaglianza dei diritti formali dei cittadini, ma la assicuri anche per via legislativa con determinati mezzi materiali.
Solo con la rivoluzione e il socialismo questo sarà possibile.
Solo nella nuova società diverrà realtà un’ampia autonomia amministrativa locale.
Da Scintilla, n. 131 – febbraio 2023
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