Un congresso a sostegno dell’imperialismo e del nazionalismo cinese

In mezzo a un fiume di retorica si è svolto il XX congresso del P”C”C revisionista, che ha visto la terza elezione a primo segretario generale di Xi Jinping, il quale esce dal simposio con un potere politico e militare ancora più concentrato nelle sue mani.

Cosa è emerso dal congresso? Compito centrale dei revisionisti è la modernizzazione del capitalismo monopolistico con caratteristiche cinesi fino al 2035, per poi cercare di strappare agli USA l’egemonia mondiale verso la metà del secolo.

Per farlo servono condizioni particolari: tempo, uno scenario di distensione internazionale, la pace sociale e sviluppo del mercato interno.

Sussistono queste condizioni per avverare il “sogno cinese”?

La Cina ha bisogno di almeno 15 anni per compiere un salto qualitativo nella sua base economica, ma l’imperialismo USA che vuole mantenere a tutti i costi la supremazia mondiale punta a bloccare lo sviluppo cinese, prima che si realizzi.

Ad esempio, di recente Biden ha adottato un embargo sui microchips per fermare l’ascesa  tecnologica di Pechino, mentre procede la strategia di “contenimento” volta a privare la Cina dei suoi alleati (in primis la Russia imperialista) e la proiezione marittima nel Pacifico.

Sull’arena internazionale e in particolare in Ucraina, nel Mar del sud della Cina e su Taiwan, soffiano venti di guerra, che sono destinati a rafforzarsi nel prossimo periodo a causa dell’acutizzarsi delle contraddizioni fra potenze imperialiste.

La pace sociale e la stabilità interna in Cina sono un miraggio, poiché la lotta degli operai sfruttati a sangue non si arresta, le disuguaglianze interne fra le masse popolari e la ricca e corrotta borghesia al potere si amplificano e vi sono problemi seri con le minoranze nazionali e con le credenze religiose non riconosciute da Pechino.

Anche sul piano economico il gigante cinese non attraversa un buon momento. I ritmi di crescita economica si sono dimezzati (oggi sono attorno al 4%, inferiori a quelli di altri paesi asiatici).

La politica di “zero Covid” ha implicato continui e massivi lockdown con chiusure di attività produttive e commerciali che hanno creato problemi alla potenza imperialista cinese che, inoltre, affronta una profonda crisi del settore immobiliare (che in Cina vale almeno il 25% del PIL) il quale rischia di collassare sotto il peso del propio debito (il colosso Evergrande ne ha per 300 miliardi di dollari).

Una crisi nella quale si sta manifestando l’assenza di equilibrio nell’economia cinese, a dimostrazione del fatto che in Cina vige il sistema capitalistico,  nonostante ogni tentativo di nascondere l’origine ultima di questa crisi immobiliare.

A ciò si deve aggiungere il restringimento della domanda mondiale per le sue merci e uno yuan che si è indebolito di fronte al dollaro.

Non sarà per nulla facile in queste condizioni raggiungere gli obiettivi che i revisionisti cinesi si pongono, seguendo una politica spietata nei confronti della classe operaia e una politica estera di apparente “soft power” (multilateralismo) per cercare di esportare capitali nei paesi dipendenti,  attrarre investimenti nel settore manifatturiero e accaparrarsi materie prime.

Il rilancio della Belt and Road Initiative, frenata da pandemia e guerra, e della globalizzazione a guida cinese giocano un ruolo centrale nella strategia che vede lo sviluppo dell’imperialismo cinese strettamente legato a quello dei paesi dipendenti su cui esercita influenza e stringe capestri finanziari.

La politica “cooperativa” dei dirigenti cinesi non deve trarre in inganno perché l’aggressività militare, comunque in crescita in Cina attraverso il rapido riarmo, non è una caratteristica assoluta dell’imperialismo.

La linea di “sviluppo pacifico” e “rispetto della “legge internazionale” seguita delle potenze imperialiste si converte rapidamente nel suo contrario quando si esauriscono i mezzi pacifici per raggiungere una nuova spartizione del mondo.

Non a caso i revisionisti del P”C”C di fronte alla possibilità che vi saranno “pericolose tempeste” (crisi economiche globali, rischi di guerra, ostacoli insuperabili alla riunificazione con Taiwan) mantengono e rafforzano l’opzione militare per affermare gli interessi strategici del capitalismo finanziario cinese.

Ciò comporta anche un maggiore controllo e repressione antioperaia sul piano interno, a cui i burocrati del P”C”C si dedicheranno nei prossimi tempi.

Sul piano ideologico, assieme alla mistificazione e strumentalizzazione del marxismo (che i revisionisti vorrebbero “adattare” a loro uso e consumo) si è osservato nel congresso cinese  il completo abbandono e rifiuto del leninismo e dell’internazionalismo proletario, sostituti dal “pensiero di Xi Jinping” da tempo entrato nella carta costitutiva del P”C”C, segno di una progressiva personalizzazione del potere politico e del recupero dell’idealismo della tradizione feudale cinese, ricoperto di una patina puramente pubblicitaria di cosiddetto pensiero marxista al passo dei tempi.

Sono emersi ancor più il vergognoso nazionalismo che incensa la “civiltà cinese”, l’esaltazione dello “Stato di diritto” che nega completamente la dittatura del proletariato (stadio nel quale la Cina non è mai arrivata, poiché ai tempi di Mao il partito si distinse per una forma di prolungata alleanza di potere con la borghesia nazionale, che nel tempo si trasformò in classe dominante capitalista e imperialista unendosi con l’alta burocrazia).

Nonostante la scenografia, il   XX Congresso del P”C”C non ha potuto nascondere la profonda crisi nella quale si dibatte il “gigante cinese”, nel mezzo di un aggravamento delle tensioni internazionali.

Allo stesso tempo è emerso che i nuovi mandarini si devono sbarazzare delle vecchie forme e dei residui ostacoli al pieno dispiegamento di politiche antioperaie, neoliberiste e militariste, per accrescere al massimo i profitti.

Il giudizio sulla Cina riveste una grande importanza per l’esatta comprensione dei compiti rivoluzionari.

Esso è uno spartiacque, una discriminante nel dibattito esistente nel movimento comunista internazionale.

Il giudizio può essere dato sulla base della analisi concreta della questione cinese e dei principi marxisti-leninisti, da cui deriviamo che il P”C”C è un partito ultrarevisionista e la Cina è un potente paese imperialista che rivaleggia con gli USA per l’egemonia mondiale.

Dietro il carro dorato cinese si accoderanno sempre più le forze revisioniste e opportuniste a livello internazionale e nazionale.

Di qui il compito della più netta separazione con queste forze e la necessità di favorire l’avvicinamento e l’aggruppamento delle forze  comuniste nella chiarezza ideologica, sotto le bandiere del marxismo-leninismo e dell’internazionalismo proletario.

Da Scintilla n. 128 – novembre 2022

 

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